Edika, francese di origine magrebina, è il più grande autore comico/demenziale della storia del fumetto. Da piccolo, fra i fumetti che giravano per casa scoprii i “Racconti scellerati”. Per anni furono la mia lettura preferita. In assoluto.
Edika padroneggiava tantissimi espedienti comici: la demenzialità, la caricatura, la parodia, il paradosso, la satira sociale e di costume. Era autoreferenziale, meta-fumettistico, ironizzava su se stesso e sul suo lavoro, sulle difficoltà di chiudere una storia. Aveva un debole per la demistificazione, per il ridicolo, per l’assurdo. Testi gestiti senza equilibri, esondavano improvvisamente con digressioni esilaranti. E poi colpi di scena, caustici ribaltamenti di prospettiva, ripetizioni differenti di vignette in cui i particolari senza peso cambiavano in una escalation di non sense. Nel suo universo non esistevano gerarchie ne regole. Non c’era il bene e il male. La sua riduzione, il suo appiattire la scala assiologia, suggeriva una visione del mondo acuta e critica, dissacrante. Uomini, donne, bambini, animali, preti, politici, puttane, vigili, tizi, cai e semproni diventavano macchiette, caricature isteriche, peccatori erranti con pulsioni ancestrali dietro il velo diafano delle loro specificità. Per non parlare del segno, Edika riusciva a far ridere disegnando, ha stilato un campionario di espressioni, di profili psicologici stereotipati, ha classificato generi e specie della fauna metropolitana degli anni 80’/’90 con cervello fine, occhio clinico e mano esperta. Far ridere non è mai facile e il cerchio si chiude se ci mette del suo il lettore. Bisogna che si sintonizzi, che assecondi un codice. Edika ha formato buona parte del mio modo di cazzeggiare, lo considero come quei vecchi amici a cui sei riconoscente per aver nutrito col suo esempio la tua personalità.
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