Con i Camel ci troviamo davanti alla raffinatezza della scena progressiva britannica di inizio anni Settanta. Muovono i primi passi nel 1971 e realizzano l’album d’esordio nel 1973. L’anno dopo, con “Mirage”, toccano il picco più alto della loro espressione, suscitando interesse di critica e pubblico.
I King Crimson, gli Yes e i Genesis hanno già stupito mezzo mondo con preziosissimi affreschi sonori, ma non è ancora tutto.
Una scuola eccelsa, pittoresca ed unica è proprio quella di Canterbury. Gong, Soft Machine, Hatfield & The North e Caravan sono i nomi più famigerati, ma il sottobosco di questa particolare sfumatura del prog è immenso.
Il compagno preferito del Canterbury Sound è ovviamente il jazz e il folk più bucolico e celestiale. Personaggi divinizzati come Robert Wyatt manifestano un grande interesse soprattutto per il dadaismo, amato successivamente anche dalla primordiale scena industrial (i Cabaret Voltaire in primis).
Preferisco essere un occhio. Una rappresentazione nel monitor reale.
I rami nella mente di questo complicatissimo albero come capelli scendono giù. Non viziarli. Non sistemarli. Il vento del destino li plasmerà con lo sfondo del cielo, e sarà li che vedremo l’orizzonte. Si appresta a cingerci l’anima la sulfurea ancestralità di “Song Within A Song”.
Temo che chi non ci comprende, non solo non ci merita, ma non comprenderà mai niente. Non è saccenza. E’ l’analisi del loro modo di vivere. Pensiero che nasce appena rifletto sulla linea di chitarra in “Chord Change”. Con il vento che mi scalpita le guance e il raggio di sole che colora i rami, le foglie e le onde del lago, danzo con l’armonia più eterea.
Vengo travolto da un tramonto inoltrato e da una passeggiata a guardare gli scogli. Attuo piacevolmente una gita turistica dentro i miei ricordi, mentre l’eleganza di “Spirit Of The Water” arricchisce la mia persona, il mio essere più profondo. Una borghesia spirituale dentro un’anima mercenaria che ha perso il potere di una guida.
La grande vita è intrisa in questa piccola dimensione: è geografia. Si colloca l’occhio sull’ itinerario che ci distende di più. Come quello spirito appollaiato sul binocolo del mondo. “Another Night” è la sposa di tali espressioni.
Solo chi si addentra nella solitudine vive con la propria potenza. Le ore a cibare l’ego altrui sono scomparse. La disarmante “Air Born”, con il suo flauto commovente, equivale alle campane a festa del mio status.
La libertà di trovare la verità non è nel caos camaleontico della moltitudine. La biosfera parlante di “Lunar Sea” direziona questo percorso carico di titanismo. Un’espansione dell’io consapevole della limitatezza. Suicidio purificatorio di Saul o persistenza battagliera Alfieriana?
Progressive