Wilco cambiano completamente registro rispetto al disco precedente dell’anno scorso. Lasciano le sonorità elettriche del precedente “Star Wars” (che a me era piaciuto abbastanza) e si rifugiano nelle sonorità acustiche di questo “Schmilco”, nel quale il leader Jeff Tweedy conferma di avere la consueta mano felice nella stesura delle composizioni ed il resto del quintetto suona, come sempre, benissimo Nels Cline, l’altro chitarrista del gruppo, è uscito da pochissimo anche con un disco da solista per la prestigiosa Blue Note e qui cesella letteralmente, assieme a Jeff, le canzoni. Che non sono trascinanti ma vanno ascoltate tantissime volte per essere veramente apprezzate. Non siamo dalle parti dei 3 capolavori della band ma il disco ha una sua forte dignità ed anche un’altrettanto quadrata fisionomia e cresce implacabilmente ad ogni ascolto.
12 composizioni per 36 minuti e 34 secondi di durata complessiva. Come si vede, un disco abbastanza breve come si facevano negli anni settanta. Si comincia con la delicata ballata di “Normal American kids”. Vellutata lineare, semplice ma rifinita con grande cura e con la chitarra di Cline che disegna scenari tra il country, il folk e l’”americana”, doppiando l’acustica di Jeff. Bella! “If I ever was a child” è più ritmata e sagomata, dolce come sono le cose di Tweedy, quando gli va di scrivere. Comunque la loro musica finisce col piacere praticamente sempre perché molto personale. La loro è un ‘impronta spiccatissima in fase compositiva. Si ascolti la chitarra qui. Splendida, con bordoni di organo Hammond b-3 in sottofondo. Un autentico gioiello in piena scioltezza. Splendida! “Cry all day” , nervosa e scattante, cantata sempre in punta di voce col solito gioco nitido delle chitarre e della sezione ritmica, raffinatissima per tutto l’album, è musica americana fin nel midollo. Rolla che è un piacere. Più semplice rispetto alle precedenti ma sempre riuscita alla grande.
“Common sense” è splendidamente sghemba fin dalle note “scordate” e fuori posto delle chitarre. E’ piena di rumori e rumorini, ha un basso ed una batteria splendidi mentre, la chitarra di Cline fa da “Alfabeto Morse”. Davvero mostruosa la modalità di utilizzo della sei corde da parte di questo solista con la faccia intelligente. Il pezzo ha un sottile senso di irrequietezza e lo mette visibilmente sul tavolo. Io ritengo che il critico di oggi non ascolti attentamente i dischi che recensisce: altrimenti come si potrebbe negare uno status di album eccellente a tutta quest’opera? Solo ora, dopo qualche settimana dall’uscita, stanno tornando sulle loro frettolose recensioni (sic), valorizzando questo che è uno dei migliori dischi dell’anno. Dopo la precedente, questo è il secondo grande gioiello del disco. “Nope” va a balzelli, è cantato con stile ed inflessioni quasi alla Mike Jagger. Anche qui le sottigliezze della chitarra sono formidabili. Grande pure il lavoro del basso. La voce di Tweedy fa venire in mente il John Lennon più “nasale” nelle interpretazioni vocali di alcuni brani dei Beatles. Song assai bella! “Someone to lose” ha un attacco che aggredisce le orecchie come il miele col palato. Sempre un grandissimo basso guida le danze. Batteria agile e pulsante, voce e chitarra perfette. Ballad underground che si apre col ricordo dei Beatles sempre ben impresso. Chitarre ben presenti nello sviluppo del pezzo. Ottima. “Happiness” è più scandita e rallentata, sempre con questa 6 corde acustica suonata in modo particolare. Il pezzo è costruito sui bassi e cantato e suonato alla perfezione. Sprazzi di pop di pregevolissima fattura. Grande. “Quarters” è acustica al cento per cento. Suonata in punta di dita. Suoni sempre “disturbati” in sottofondo. E basso e batteria mai invadenti. La copertina del disco è divertentissima. Nel disegno di Joan Cornellà, un padre si sacrifica per far ballare i figli, prendendosi una bella scarica di corrente, sostituendo le sue dita alla presa elettrica. Questo brano che diviene liricissimo da un certo punto fino al termine, è il 3° capolavoro del disco. “Locator” è la meno ricercata del lotto. Ma poi, improvvisamente come sempre, cambia lo scenario e va a scatenarsi in modo schizoide. Comunque, Jeff Tweedy che compone, come sempre, l’intero materiale è un autentico genietto. “Shrug and destroy” caracolla quasi pigramente ma con sguardo sognante. Composizione “lunare” quasi psichedelica, alla lunga risulta il quarto masterpiece del disco. Grande poesia grande bellezza, come solo i Wilco e pochi altri sanno proporre.
“We aren’t the world safety girl” è una ballad scanzonata ma toccante, cantata e suonata alla perfezione. Chitarre ed organo perfetti. Eccellente! “Just say goodbye” conclude questo disco che è uno scrigno di gioie autentiche. Ed il pezzo lo fa con grande efficacia, composizione sempre fuori assetto e “dispari” ed affascinante. Tweedy alla grandissima! Alla fine della narrazione, quanti sono i capolavori del disco? Tantissimi. Da comprare ad occhi chiusi ed ascoltare spessissimo. Piace ogni volta che il lettore va avanti. Grandissimi Wilco e disco almeno eccellente.
Alternative rock
Settembre 2016