Se lavorassi ancora in libreria e mi trovassi, dopo averli letti, a dover decidere in quale settore mettere Passaggio in Sardegna e Passaggio in Sicilia di Massimo Onofri, avrei davvero non poche difficoltà. E già questa impossibilità, quasi ontologica dire, di classificazione, mi porta subito a provare enorme interesse per questi due testi. Libri di viaggio? Libri di storia? Libri di letteratura? Queste domande, già di per sé, dimostrano con logica incontrovertibile non tanto la spesso sopravvalutata classificazione libresca, ma semmai l’inutilità della stessa. Almeno quando ci si trova tra le mani libri di questa portata.
Passaggio in Sardegna e Passaggio in Sicilia sono tutto questo ma non solo. Da appassionata di odeporica amo di amore furibondo tutti quei testi che mi ricordano, con forza e potenza, come la geografia contenga tutto. Contenga la storia e contenga la letteratura. Geografia nel senso proprio di “scrittura della terra”. In questo caso “scrittura di due terre”, Sardegna e Sicilia appunto.
Onofri costruisce due libri in cui è evidente, con quella evidenza che appartiene a chi sa scrivere, che non si può parlare di luoghi senza parlare della loro storia, della loro letteratura, della loro architettura e anche dei loro cibi. Perché? Semplicemente perché non è possibile attraversare un luogo con sguardo neutro. Lo sguardo non è mai neutro e, ancora una volta mi trovo a dirlo, ciò che restituisce è estetica che si fa inevitabilmente etica. E, in quanto etica della scrittura, impone di restituire, di un luogo, tutte queste cose.
Detto così sembra che Onofri non abbia potuto fare altro che scrivere come ha scritto. Invece no. La forza di questi due testi risiede anche nel fatto che la loro struttura è frutto (almeno così mi sembra) di una scelta precisa e voluta. Lo dimostra il fatto che, almeno questo è quello che ho avvertito io, non si possono leggere separatamente. O, comunque, non si può leggerne uno senza leggerne anche l’altro.
Non solo per una profonda unità stilistica ma proprio per una profonda unità estetica ed etica. Non è facile parlare di due terre come la Sardegna e la Sicilia senza cadere nell’ovvio, nel luogo comune, nel folklore più bieco perché massificante. Non è facile raccontare un viaggio regalando anche lezioni di letteratura e di storia. Onofri lo fa. Certo non sono libri facili. Se pensate di avere per le mani due guide, avete probabilmente sbagliato strada. Che sembra un ossimoro ma non lo è. Questi sì, in un certo senso, possono essere considerate due guide che fanno sbagliare strada perché non guidano e non vogliono guidare nessuno. La complessità della scrittura e delle pagine non fa che ribadire come i veri libri di viaggio sono quelli che non possono e non vogliono essere chirurgici e neutri. Sono quelli in cui, ad essere raccontato, non è solo il luogo ma l’autore stesso. Ecco le parole che rimandano a Onofri genitore o figlio (sempre accennate ma, per questo ancora più pregnanti) ecco le parole che restituiscono amicizie e attimi conviviali. Ecco le parole che raccontano cibi e vini. Perché tutto può diventare racconto di viaggio. Se lo si sa fare naturalmente. E Onofri lo sa fare eccome.
Si entra in questi due libri solo se ci si lascia andare e si dismette l’idea che debbano necessariamente essere letti dall’inizio alla fine. Io credo che la loro bellezza emerga ancora di più se i capitoli vengono letti senza ordine alcuno. Addirittura, il godimento è massimo se si alternano le pagine dedicate alla Sardegna a quelle dedicate alla Sicilia, volando da Alghero a Palermo per deviare sulla Gallura, derapare sulle Madonie, perdere il fiato sul mare di Stintino e provare il languore di Mondello e le sue ville liberty.
Sempre tenuti per mano dai libri che Onofri cita, dai personaggi che Onofri racconta, dagli episodi storici che Onofri restituisce per darci un quadro davvero complesso e strutturato di un luogo. Perché raccontare luoghi è come raccontare le persone. Come si fa a raccontarne solo il viso senza raccontare cosa, dietro quel viso, si cela o si mostra?
Anche per questo la parola “passaggio” meglio si presta, secondo me, della parola viaggio. Perché il passaggio evoca meglio i passi come reti a cui resta impigliato molto. Passi come raccoglitori. Il passo è lento, il viaggio, talvolta no.
Libri che sono quasi una raccolta di film. Sì perché l’autore, nei titoli stessi dei vari capitoli, ci racconta un film. Come definire diversamente titoli come “Sassari: clamori e segreti” “I Giganti e lo stagno: da Cabras a Oristano” “Per una metafisica della luce: oltre Mazara del Vallo” “Catania felix”. Film senza retorica, senza gli stereotipi barbaricini o sicilianeggianti, in cui Sicilia e Sardegna emergono con tutta la loro complessità che è contraddizione, dolore, bellezza, cultura, sfumature. Non c’è nulla di facile in questi libri (sappiatelo) perché non c’è nulla di facile in terre come queste. Isole mondi, identitarie e cosmopolite allo stesso tempo, fucine di libri, cultura, riviste, musei, ammazzamenti e fatti di sangue certo, ma in una complessità che non si può ridurre al macchiettistico e allo stereotipo. Questo è il vero viaggio/passaggio
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2016
391