Campione di vendite (al n°1 per il mese di settembre attualmente secondo nella classifica di settore), “Teutoburgo” di Valerio Massimo Manfredi è un romanzo “storico”. Attraverso la vita in parallelo dei due fratelli Arminius e Wurf, figli di Sigmer re dei Cherusci, di razza germanica, viene narrata una bella porzione di storia romana con sveltezza di tratto, di situazioni e di eventi. Ed il libro funziona perché emoziona.
La dura disciplina inferta ai due ragazzi, rapiti dai romani e trasferiti a Roma per diventare due “cittadini” dell’Impero, evolve nelle loro avventure mirabolanti nell’incontro con l’Imperatore Augusto, cui nel libro Arminius salva la vita, con la di lui debosciata figlia Giulia, ripudiata dal padre col grande generale Tiberio, successore nel cuore delle truppe di Druso, il più grande fino ad allora.
Vediamo le “mollezze” della vita dei romani, pur inflessibili nella disciplina militare, raffrontate con la selvaggia brutalità dei Germani cui appartengono i due protagonisti. Li seguiamo nelle loro avventure ma anche disavventure, il tutto col battere ritmico di un CUORE inarrestabile, quello del destino della storia. Tauro è il centurione che li svezza, li punisce quando serve, li fa crescere letteralmente ed Arminius, più forte ed intelligente del fratello a cui però deve la vita, finisce con lo svettare decisamente, così come fu nella storia vera.
Teutoburgo è una delle TRE grandi sconfitte di Roma se si eccettuano i sacchi dei Goti (Alarico) e dei Vandali (Genserico) che la colpirono in seguito. Le altre due furono la ben nota Canne (contro Annibale) e la meno nota Carre (strana assonanza di nomi tra le due disfatte) dove, in un luogo buio e tristo come la palude vicino a Teutoburgo, sette legioni romane al comando di Publio Licinio Crasso, furono annientate e dove Crasso e suo figlio ebbero la testa mozzata in una battaglia (che definire cruenta è poco) durata tre giorni e due notti consecutive dato che i Parti, vincitori di questa sanguinosa ecatombe così come i Persiani, non combattevano mai di notte. Fino al momento in cui, mentre il padre Sigmer muore Arminio non fa la scelta che nessuno si aspetta, lui con la toga da cavaliere romano regalatagli da Tauro, si ribella a Roma, compreso a Varo che aveva conosciuto a lungo di persona in un lungo viaggio in Oriente, riunisce tutte le popolazioni germaniche che può e sfida Roma. Nel romanzo si narra brevemente pure delle esperienze di vita del protagonista, lupo tra i cani, spietato “quando serve solo quando serve”, tra amori dell’adolescenza mai dimenticati e che riemergono e sollazzi garantiti dalle prostitute orientali e non solo ma pure dalle vittime barbare delle sue conquiste in battaglia, deflorate senza pietà. “La sua origine ancestrale” lo aveva riportato alle origini di tedesco. Nonostante il fascino dell’Impero. E la fiera che dormiva in lui si era risvegliata. Un lavorio psicologico per capire quali capi germanici potevano far parte del progetto, attraverso sguardi, parole, respiri. Varo governatore della zona, quel Varo con cui aveva condiviso cene e riflessioni e tutti gli altri “amici” romani, incredibile a dirsi, rigettati all’indietro con un unico scatto rabbioso per la salvezza della libertà della sua gente. “Un rumore sordo, profondo, possente: Che cos’è – chiese Varo – Il martello di Thor – gli fu risposto – Significa: nessuna pietà. Arminio non tornerà più”. La più grande azione bellica contro le forze di Roma in Germania. Costringere un fiume di soldati, una colonna larga e lunghissima a muoversi tra sterrati strettissimi e paludi, alla mercè di attacchi proditori e devastanti e Varo era caduto in questa trappola. La foresta di Teutoburgo sarebbe stato il luogo del massacro, un autentico mattatoio per i romani. Attacchi secchi e fughe in boschi impenetrabili, questa la tattica iniziale ed i romani erano atterriti. I carri pieni di donne, bambini e più di una prostituta al seguito, affondavano nel fango mentre infuriava la tempesta ed i germani avevano il viso striato di nero, come spettri lugubri. Poi, le frecce a migliaia sull’esercito romano: un’autentica pioggia. Fu il primo corpo a corpo tra romani e germani. Il rombare del martello di Thor ricordava ai pochi sopravvissuti che sarebbero tutti morti fino all’ultimo uomo e così avvenne. Arminio imperversava senza alcuna pietà per i suoi vecchi “amici romani”. Altri gruppi tedeschi si aggiungevano per la macelleria finale. Al terzo giorno di massacri con le teste dei romani sulle picche dei nemici, la stessa testa di Varo al termine della mattanza, fu inviata ad Augusto sotto sale. “Varo, Varo, rendimi le mie legioni” diceva l’imperatore in preda allo sgomento. Anni dopo qualcuno avrebbe vendicato questo autentico scempio, con i romani accecati, torturati, inchiodati agli alberi della foresta, eviscerati. Questa è la storia.
Grande romanzo che ti prende, grande anche il contrasto dei sentimenti ed alcune figure (TAURO, per esempio) emergono alla grande. Stile scorrevole, leggero, velocissimo nel cambio di scenari. Valerio Massimo Manfredi ha recuperato lo stile e la forza dei 3 volumi su Alessandro Magno e si vede. Non sempre in passato è stato così ma questo suo libro merita il successo che ha avuto. QUATTRO STELLE.
Romanzo storico
Mondadori
2016