“Più piccolo è il paese più grandi sono i peccati” non è solo l’azzeccatissimo titolo di questo libro di Davide Bacchilega ma ne è anche, in un certo senso, la chiave di lettura, l’invito, se non interpretativo, sicuramente evocativo. Perché già da quelle poche e precise parole ci si predispone a mettersi, con l’autore, quasi seduti ai tavoli di un bar di provincia, guardando le persone e ascoltandone i tic fisici e caratteriali. E da lì, ammirare tutta la miserevole vitalità di una provincia che, in realtà, provincia è solo dal punto di vista amministrativo. Essendo invece il centro di tutto un mondo. Paradigma non solo di una intera nazione ma, ancor più, dell’intera natura umana.
Siamo in una Romagna invernale, piena zeppa di nebbia, ma di quella nebbia che non assomiglia a nessun’altra nebbia. Che tutto avvolge, nasconde, sfuma e nutre nello stesso tempo. Una Romagna sonnacchiosa in cui tutto è così diverso dagli stereotipi estivi da divenire sapientemente stereotipo invernale. Bravo l’autore a dipingerci paesi quasi anestetizzati, languidi, deserti, silenziosi e, apparentemente, tranquilli.
Tre prostitute, un protettore, un giornalista, un tanatoprattore (colui che sistema i cadaveri prima del loro definitivo saluto a questo teatro terreno) un poliziotto ambiguo, un circolo frequentato da politici, medici, professionisti e imprenditori in cui, certamente, non si parla di poesia. Intrecci, meschinerie, delitti, lettere anonime. Vicende in cui tutto sembra una cosa per rivelarsi altro. Illuminante in tal senso una frase in cui uno dei personaggi dice: “stavamo guardando un programma comico che non faceva ridere, un telegiornale che non informava e un reality che tutto era fuorché reale”. Una amara dichiarazione di impotenza ma anche di complicità che unisce, in qualche modo, tutti i personaggi, nell’accettazione del loro muoversi nel mondo.
Bacchilega costruisce un libro che si può leggere su molti livelli diversi: può essere un giallo (con una trama che andrà svelandosi a partire da una lettera anonima e alcuni omicidi) ma può essere anche un noir (in cui in realtà lo svelamento non è funzionale alla storia, reggendosi essa più sulla mancanza di redenzione dei personaggi) però è anche un libro con uno sguardo quasi da entomologo sulla fragilità umana e, tuttavia, è anche un libro che tanto dice sulla società della cosidetta comunicazione odierna e sul giornalismo. Sulla sostanziale mercificazione delle vicende umane, dove per mercificazione non è da intendersi il mero passaggio di soldi ma, soprattutto, l’utilizzo di tali vicende per trarre un qualunque vantaggio. E, proprio per questo, un libro in cui nessuno, alla fin fine, esce completamente colpevole o completamente pulito.
Ma è, sicuramente, un libro che riesce a tenere incollati alle pagine con la sua struttura, il suo uso del linguaggio, i ritratti umani che ne escono, e il modo stesso con cui è “costruito”, con la vicenda raccontata dai diversi personaggi che, quasi come una corsa a staffetta, si passano il testimone sotto forma di capitoli che cominciano con le stesse parole dei capitoli che li precedono.
Non mi è mai piaciuto paragonare uno scrittore ad un altro, ritenendo ciascuno portatore di una sua storia, di un suo stile. Ma qui, in questo libro sono tante, e ben rielaborate da Bacchilega, le suggestioni, gli echi letterari e di atmosfera, tra suggestioni alla Léo Malet, ciniche malinconie alla Chandler perfettamente accordate con le surreali, talvolta, prese di coscienza della realtà così com’è, tanto tipiche di un certo carattere romagnolo.
Non c’è un personaggio fuori posto; a partire da Michele il cronista di cronaca nera che, solo giornalista non è; non lo è Barbara e il suo ruolo che è quello di andare a piangere ai funerali degli sconosciuti per dar loro un’importanza e una dignità che, forse, non hanno mai avuto in vita loro; non lo Didi e il suo italiano stentato; non lo è Ermes, il protettore che ha fatto del ricatto il suo tentativo di sicurezza economica e non solo; non lo è Gola Profonda o il dottor Benelli. Nessuno. Bello leggere un libro in cui a “tenere” è, non solo la storia, ma anche i personaggi e il loro muoversi dentro di essa. Tutti più o meno “spettinati”, piccoli, disperati, miseri, meschini. Tutti tranne due. Forse. Che non vi dirò.
Davvero da leggere, ringraziando l’editore torinese Las Vegas per questa bella scommessa.
Las Vegas
Maggio 2016
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