“Festa del Proletariato Giovanile” a Parco Lambro, “Festa dell’Unità” a Napoli e Teatro Comunale di Reggio Emilia. Sono questi i luoghi dove gli Area si esibiscono per effettuare un disco live. Loro e il Banco si contendevano il primato di “macchina da guerra” grazie a concerti di svariate ore, senza però dimenticare la teatralità degli Osanna e gli elevati watt de Il Rovescio Della Medaglia. “Are(A)zione” è un lavoro dotato di un’ottima qualità audio, a differenza degli altri live della band, e ripropongono brani pescati dal primo disco, da “Crac” e da “Caution Radiation Area”. Nella parte finale troviamo un pezzo inedito, che dà il titolo all’album, e “L’Internazionale”, che quando la sentì Ceausescu” disse: “E’ una vergogna!”.
Per fortuna non tutti hanno la sensibilità del segretario rumeno, visto che “Areazione” è considerato come uno dei migliori dischi italiani. Stratos e compagni sono tutto tranne che un’etichetta o una costrizione. L’unico gruppo italiano a distendersi sul free jazz (altri esempi non sono alla loro portata, seppur vi siano Il Volo, Napoli Centrale e Perigeo) e a impreziosirsi di sonorità orientali, insieme agli Aktuala e a Battiato. Inutile, forse, soffermarsi sull’estensione di Stratos: un vero strumento diretto dal cuore e dall’anima, che troverà la completa esplicazione in “Maudits” (consigliabili “Gerontocrazia”, “Evaporazione”, “Caos” e “Scum”)
“Are(A)zione” è Inaugurato dalla celebre “Luglio, Agosto, Settembre (Nero)”, la summa di “Arbeit Macht Frei”, esordio eclatante, datato 1973, contenente jazz e ritmi tribali e arabeschi. Con “La Mela Di Odessa” di “Crac” si respira aria di jam grazie all’intro di Capiozzo, che dialoga con rullante e tom come pochi. “Cometa Rossa”, del secondo album, dove si vira decisamente su un anarchico free jazz, sembra perfino più coinvolgente della versione studio. Sembra banale constatarlo, ma il fascino di alcuni live supera nettamente la “matematica” della sala di registrazione.
Il brano inedito che conferisce il titolo all’opera è l’elemento di spicco, dove vanno in gloria i virtuosismi di Fariselli e Tofani (molto vicino allo Zappa di “Burnt Weeny Sandwich”), i vocalizzi che superano gli “urli” della tipica tromba jazz e il sensazionale assolo mantrico di Tavolazzi. E’ un’atmosfera cupa, ma allo stesso tempo teatrale, festosa, surreale che ci accompagna alla fine del concerto. Infatti, si cala il sipario con il rifacimento de “L’internazionale”, ovvero l’inno sovietico in versione jazz rock.
E’ la band più amata e più vicina alla lotta studentesca, sempre coerenti e mai con scelte commerciali, come la PFM di “Jet Lag”, e che solo la morte di Stratos riuscì a interrompere il prolifico processo compositivo del quintetto. Consigliabile è anche un altro live, “Event 76”, registrato nell’Università Statale di Milano insieme a Steve Lacy al sax, dove però sono assenti Capiozzo e Tavolazzi. In questa esibizione la band per ispirarsi nella jam scrive su tre biglietti le parole sesso, violenza e ironia. Dopo tre minuti potevano cambiare parola e improvvisare su un’altra. Da questo gioco si stravolgono “Caos” e “Scum”.
La formidabile fabbrica sonora viene stoppata dalla morte di Stratos nel 1979, lasciando inevitabilmente un vuoto immenso nel panorama artistico e sociale. Da qui in poi ci possiamo appigliare soltanto al titolo dell’ultimo album, “Gli Dei se ne vanno, gli arrabbiati restano”.
Free Jazz
1975