Il 1977 di New York e dell’America più nuova, rinnovata dall’ondata del punk, è contrassegnato da TRE CAPOLAVORI: “MARQUEE MOON” dei TELEVISION, “77” dei TALKING HEADS e “CABRETTA” dei MINK DEVILLE.
Dei primi due della “listina” ci occuperemo nelle prossime puntate de “I MONOLITI”, del terzo andiamo a parlarne subito. Willy DeVille (nome reale William Borsey) è morto per un tumore al fegato il 6 agosto 2009.
Willy era un teppista ma conosceva il percorso dell’arte con la A maiuscola. Sapeva generare sentimenti fortissimi con la sua musica, aveva tantissimo talento ed una voce inconfondibile. Era uno gitano, uno zingaro, capace di sopravvivere alla grande nei meandri più scuri di New York. Gente come lui non nascerà più: aveva assorbito pienamente la vecchia lezione del soul di colore, quella del punk appena sbocciato, aveva un talento straordinario nel raffigurare quella sensibilità ispanica della Grande Mela fatta di capelli imbrillantinati, calzoni strettissimi, scarpe a punta e coltello a serramanico nella tasca posteriore dei calzoni stessi.
Venature latine, sensibilità pure da viveur dei vicoli malfamati di Parigi, il lato oscuro , più malfamato della strada sempre sotto controllo. Il critico Robert Palmer lo definiva cantante magnetico con canzoni che richiamavano il blues e ritmi etnici, l’uomo che incarnava meglio di chiunque altro il groviglio di contraddizioni tipico della grande metropoli americana. IL suo sangue, pellerossa, irlandese e basco, ribolliva come un vero e proprio cane randagio, si aggirava nel Lower East Side di New York conquistato dalla musica che si suonava negli Anni Sessanta e Settanta: alla fine era stato capace di mettere su un gruppo fantastico con Ruben Siguenza al basso, Tom Allen alla batteria, Louie X. Erlanger alla chitarra, Bobby Leonards, non vedente, al pianoforte e lui naturalmente, a voce e chitarra. Prodotti dal grande Jack Nitzsche, dopo essere riusciti a suonare nel locale più scalcinato, ma più famoso di New York, il CBGB’s, i Mink DeVille arrivano al loro stupendo disco d’esordio, “CABRETTA”, un autentico scrigno di gioielli che ti fa immergere in suoni, umori e colori che non saranno più. Sette composizioni su dieci sono di Willy. La partenza riverberata, con le “naccherette” ed il piano elettrico nella splendida “Venus on Avenue D”, con lui che canta come un negro, letteralmente, nelle accelerazioni, furiose, prima della ripresa del quieto refrain del brano, la dicono lunga sulla sua capacità immediata di incidere subito nel nostro cuore con questo sax che fa venire i brividi (Jack Nitzsche stesso). Un brano che ben rappresenta le risse da strada magistralmente descritte da Sergio Leone nell’insuperabile “C’era una volta in America”. La chitarra di Louie fa miracoli qui. SENZA FIATO ANCORA OGGI A DISTANZA DI QUARANTA ANNI! “Little girl”, col suo vibrato e cantato gentile stile “Pregherò” di Celentano (tanto per fare comprendere il clima sonoro), a livelli ancora altissimi, con un grande piano elettrico raddoppiato da quello acustico e con un basso superlativo con Willy che canta alla grande, Madonna come canta! Che soul, che rock, che blues, che tutto! Secondo capolavoro consecutivo del disco. “One way street” è rock alla Rolling Stones, cantato con una rabbia con un ritmo che è una percussione sessuale, una chitarra che si lamenta alla grandissima, un gruppo fenomenale, incontenibile. Magnifico il “solo” di Erlanger, Willy era un grande pure nel lasciare lo spazio ai suoi commensali, straordinari musicisti. Un nero-bianco che canta in mezzo ad un inferno di fiamme. Pazzesco ancora oggi. “Mixed up, shook up girl” è una ballata condotta da chitarra acustica, voce e piano. Willy era capace di aperture nel ritmo latino da lisciarsi i baffi. Ancora un piccolo gioiello di grandissima sensibilità e poesia. Bellissima. Avete ancora un cuore? Allora, Willy fa per voi. “Gunslinger” ha un rollare che lascia di stucco. E’ un motore impazzito che romba, arranca, schizza via sulla “Ganslingher” pronunciato dall’autore. Si mangia lo Jagger più scatenato!
La chitarra non si para. La sezione ritmica viaggia più veloce della luce e lui, beh, lui è IMMORTALE. “Solo” di sei corde da paura, mentre gli altri se ne vanno da un’altra parte sbattendo la porta. Grande.
Vogliamo parlare della dolcezza lunare di “Can ‘t do without it”?. Ma come cantava questo qui? Organo, ma soprattutto sax fanno venire la pelle d’oca. 10 e lode. “Cadillac walk” è un rock veloce cantato sui toni bassi, fino al refrain , incontenibile. Ma quanto graffia questa splendida voce! Si starebbe ad ascoltarlo per ore, dopo 40 anni (!). “Spanish stroll” (passeggiata ispanica) è il suo “classico” che tutti conoscevano nella Grande Mela. Le “vocine” sono da “Sorelle Bandiera” (si, proprio quelle di Renzo Arbore!). Il suono è sexy, intrigante, il cantato perfetto, il ritmo semplicemente masturbatorio, irresistibile. Capolavoro lucente di un’era che ringrazio Dio di avermi fatto vivere in piena consapevolezza, ma giovane e vincente. Ma cos’è questo pezzo! Brano davvero irresistibile, sentitelo e me ne darete ragione piena. Pure nella parte recitata in spagnolo, vicoli dove le ragazze non si avventurano perché le mani si allungano sulle loro rotondità. “She’s so tough” è suonata in modo cristallino con arpeggi ampi ma pure grinta indomita. Pezzo più nella norma ma non per questo meno affascinante, ci pensa Willy con la sua voce a renderla straordinaria pure essa. “Party girls” chiude il disco e solo adesso ci si rende conto che non c’è un pezzo “minore” tra questi dieci gioielli. Delicatissima e condotta dal rintoccare del piano elettrico, riesce ad evocare giorni di grande gioia e serenità. Quelli che lui, pieno di eroina e di alcol, non ha mai vissuto, ne sono certo. Ma i grandi sono fatti così. Riescono a darti sensazioni che per loro sono stati solo sogni o dannate sofferenze. Ancora l’ennesimo capolavoro, da reinserire di corsa nei cento dischi rock da avere. Willy, grazie di essere esistito! Hai rincorso un successo che avresti meritato più di mille altri e che non ti è stato concesso. Ma da lassù, spero, riuscirai a guardare tutto col tuo sguardo beffardo e profondo da zingaro del rock, facendotici una grassa risata su. L’UNICO TZIGANO VERO SEI STATO TU!
Punk
1977