Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

Ad ogni inizio di nuovo ciclo, un capolavoro! Questa la storia dei King Crimson. “Larks’ tongues in Aspic” è un tale accecante capolavoro che, ogni volta che lo si riascolta, dà gli stessi brividi della prima volta!
Robert Fripp, il leader della band inglese, aveva dovuto dare una svolta tellurica alla sua formazione. Dagli YES era arrivato Bill Bruford alla batteria, al basso e voce lo stupefacente John Wetton, ex–Family, inoltre, c’erano i due nuovi della band, il pazzesco percussionista Jamie Muir, subito sparito dopo l’incisione di questo disco, dicono impazzito e rifugiatosi in un monastero in Tibet ed il violinista e suonatore di mellotron, così come Fripp, David Cross, nuovo alter ego alla chitarra di Fripp, dopo che, per anni, erano stati i fiati (saxes e flauto) a svolgere questa funzione specifica. Quelle percussioni liquide, ipnotiche, saltellanti di Jamie Muir, imprendibile folletto che ha lasciato il suo marchio indelebile fra mille rumoretti nella meravigliosa ed iniziale “Larks’ tongues in Aspic part One”, 13 minuti e 36 secondi di purissima sperimentazione, mai più raggiunta né da loro né da chicchessia. Un serraglio metallico fa da apripista al violino nevrastenico di Cross ed al digrignare di denti della solista di Fripp. Ancora percussioni qua e là e poi l’esplosione feroce dell’assieme sulle rullate interminabili di Bruford. Ancora il violino a riprendere la narrazione. Fischia la chitarra metallica del leader, prima di precipitare in un “solo” rapidissimo, coadiuvata da una scansione basso-batteria quasi funky (quanti Talking Heads del futuro in queste note!), con una sonorità di difficile digeribilità, con molteplici, coloratissime variazioni. E, dopo questo impressionante caravanserraglio sonoro, Cross, col suo violino sospeso sull’abisso, riprende le fila del discorso, solista improbabile, burattino tenuto in piedi da fili invisibili, inquietante e sconnesso, a concludere in modo sorprendente un brano indimenticabile. Sentito allora, la cosa più difficile al tempo, riascoltata oggi, forse il punto più alto dell’intera raccolta. Il finale è il festival del rock progressivo di cui sono storicamente i fondatori, con voce disperata e salmodiante e l’esplosione del suono che ritorna liquido, infiammabile, gassoso. E pure l’anima evapora. GRANDIOSO! “Book of Saturday” è una porzione di romanticismo breve per quanto intenso, col cantato stranito di Wetton (con Greg Lake, ma forse più di lui, il più grande vocalista della storia del Re Cremisi), Fripp che ricuce alla Gibson, Cross al violino, che vola altissimo. 2 minuti e 49 secondi di poesia commovente, con la voce di Wetton che pare arrivare dalla terza dimensione, tanto appare staccato dalla musica. Secondo capolavoro, che anticipa il terzo consecutivo capolavoro, “Exiles”. Aperta da rumori e suoni quasi indecifrabili che giungono dai meandri della psiche. Suono cupo e lugubre inizialmente, ma pure crepuscolare ed intensissimo. Viola di Cross e piatti della batteria di Bruford, prima che una melodia commovente e splendida prenda vita dal violino di Cross, con Fripp mago all’acustica,qui, e la voce ed il basso di Wetton che, finalmente, esplodono. Poco rock, ma musica straordinaria. E’ da allora che sto cercando un disco migliore di questo e di anni ne sono passati…
Le corde vocali del cantante si estendono in modo incredibile, si sente lo sforzo autentico, per cantare una melodia celestiale, forse nata per essere solo suonata, senza voce. Il mellotron dà solennità, profondità, spessore, ma pure liricità a qualcosa che non si dimentica Basso formidabile, chitarra sofferta, percussioni che rimbalzano da ogni parte come tante pallottole impazzite. E’ progressive rock inarrivabile!
“Easy money” apriva allora la seconda facciata del disco, caratterizzata dal lavoro armonico di tessitura pazzesco della chitarra di Fripp e da un affiatamento invidiabile di tutta la band. Cross si fa sentire per pochissimo, ma gli altri quattro (chitarra – basso e voce – batteria – percussioni) sono alle stelle! La parte strumentale, diluita, ipnotica, liquida, sostenuta da un basso che nei Crimso non suonerà mai più così bello nei successivi 43 (!) anni, va a costituire il top di esecuzione di quegli anni e non scherzo. Provate ad ascoltarla in cuffia, cercando di isolare le partiture dei singoli strumenti. L’effetto è incredibile! Capolavoro inaudito. Si chiude sull’agghiacciante risata del “buffone metallico” (opera di Muir) ed il vento soffia improvviso e forte ed introduce “The talking drum”, che ha il suo padre – padrone nel pazzesco violino di Cross, su una cadenza armonica turco-mediterranea, che resta a lungo nelle orecchie. Infine, “Larks’ tongues in Aspic part two” è una sorta di “bolero” rock progressivo, tutto incentrato sul lavoro della Gibson Les Paul di Bob Fripp, con flash del violino di Cross, per una durata martellante, apparentemente senza fine, nel progressive, di 7 minuti e 12 secondi che conferma che questo disco è il CAPOLAVORO DEI CAPOLAVORI, impensato ed impensabile nel 1973, insuperato ed insuperabile fino ai giorni nostri! Da allora, come Diomede, sto cercando qualcosa o qualcuno che superi questa meraviglia. Senza successo. E’ il meglio che ancora si può trovare in ambito rock intelligente. CINQUE STELLE E LODE. I “VERI” King Crimson chiuderanno con “RED”, da me già recensito in questa rubrica dei dischi irrinunciabili. Poi, sarà tutta un’altra storia.

Larks' Tongues in Aspic Book Cover Larks' Tongues in Aspic
King Crimson
Rock
1973