Diploma maturità classica – Laurea in Giurisprudenza in 3 sessioni e mezza – Pratica legale – Pallavolista di successo – Manager bancario e finanziario – Critico musicale dal 1977 – 6 mesi esperienza radio settore rock inglese ed americano – Studi continuativi di criminologia ed antropologia criminale – Lettore instancabile – Amante della letteratura noir e “gialla “ – Spietato con gli insignificanti. Fabio è venuto a mancare nel maggio del 2017. Ma noi abbiamo in archivio molte sue recensioni inedite che abbiamo deciso di pubblicare perché sono davvero parte della storia della critica musicale italiana

I padrini/padroni, assieme ai Sonic Youth, del noise (e college) rock di altissimo livello. Black Francis (chitarra, tastiere e voce), Kim Deal (basso e voce), Joey Santiago (chitarra principale), David Lovering (batteria), eh sì, sono i Pixies (Folletti), quel gruppo di Boston che tutti citano sempre come una delle cinque-sei radici indispensabili per il rock moderno. E loro erano bravi. I Pixies ricostituiti di oggi, senza la Deal al basso, sono una cosa diversa e forse un tantino inutile. Ma, allora, erano il massimo! 15 selezioni fulminanti per 38 minuti di durata, per il loro capolavoro, il secondo dopo “Surfer Rosa” dell’anno prima, ma il masterpiece loro più compiuto. Le sciabolate elettriche di “Debaser”, con il cantato del leader forte e quasi urlato, fanno venire i brividi. Quanta forza intelligente in questa musica, capace di regalare melodie indimenticabili. La voce delicata della Deal ai cori, quasi infantile, determina il primo capolavoro dell’album. Sentite le chitarre che incalzano perentorie. Tutto bellissimo e riuscito. Fu il miglior disco del 1989 senza dubbio alcuno. Innovò la sintassi del rock. “Tame” è rabbia al color bianco. La chitarra scava senza interruzioni, la voce, sul basso della Deal, da lei doppiata come sempre, è un respirare affannoso sotto sforzo sessuale. “Wave of mutilation”, cantata dalla Deal direttamente, con Francis che le si sovrappone in continuazione, è un nuovo capolavoro. Il suono continua ad essere noise splendidamente, grasso, sporco, pieno. Bellissima, ancora una volta. “I bleed”, io sanguino, col basso parlante della Deal ed il cantato scomposto, sovrapposto, magnifico, che fa venire la pelle d’oca, con questa “I bleed” (Io sanguino) detta in continuazione. Cantare come se si fosse alle scuole elementari per provocare, in mezzo ad una tempesta di rumore, fa venire in mente la liberazione fisica dopo uno sforzo autentico, davvero intrigante! Finale quasi da incubo. “Here comes your man”, che smorza per un attimo la tensione, pare un brano uscito fuori da un album di figurine degli Anni Sessanta. Il riff giocoso la accompagna fino alla fine. “Dead” è post industrial con largo anticipo sui tempi. Rumorosa, ossessiva, ricalca certo modo di sentire il rock più duro che c’era nei colleges dell’epoca. “Monkey gone to heaven”, la scimmia della copertina del disco, il primate che può andare/arrivare fino in paradiso. Insomma, un altro capolavoro accecante. La melodia, cantata da Black Francis, sul basso metallico ed ottundente della Deal, con archi sottostanti molto lievi e la voce della bassista, che mi ha sempre fatto sognare, così sexy, nonostante lei avesse belli solo gli occhi, essendo le carni granulose ed anche un po’ sciatte, dice di una musicalità che nella band-quartetto è innata ed insuperabile. Da ascoltare assai attentamente per comprendere il microcosmo Pixies. “Mr. Grieves” pare quasi un reggae a prendere per i fondelli, poi, allunga il passo e lo velocizza improvvisamente. Echi e riverberi la rendono irresistibile.
“Crackity Jones” è cantata con voce filtrata ed è punk velocissimo ed arrembante. “La la love you” prevede pure un fischietto, tipo apprezzamento simpatico, per qualche magnifica visione femminile, una melodia così semplice e scorrevole che solo loro potevano inventarsi. Ma davvero carina! “No.13 baby” è vicina al noise dei Sonic Youth, già allora SIGNORI INCONTRASTATI DEL ROCK A NEW YORK. E qui siamo ancora sulle coordinate del capolavoro. Sventagliate e “vento” chitarristico che non ti dico. La parte finale fa scattare su dalla sedia, ascoltate il gioco delle chitarre, IRRESISTIBILE E FORMIDABILE! STREPITOSI. Staresti le ore a ripetere e ripetere e ripetere questa progressione celestiale e cristallina. Senza respiro. “There goes my gun” ha ancora un “tiro” micidiale, pare registrata, per gli echi, in un hangar. Tanto breve quanto bella. “Hey” è dispari, stridente, gratta via l’anima, ha una melodia metallica che non perdona alcuno. Grandi le chitarre ed il basso, vero strumento solista qui. “Silver” ha la cadenza di una danza indiana in un accampamento di notte. D’atmosfera, cantata con voci volutamente stridule. La conclusiva “Gouge away” ti stende definitivamente. Parte di rincorsa sul basso e la voce del leader, poi, esplode su una tempesta chitarristica che ti si imprime nel midollo. E la voce è RABBIA AUTENTICA. Si ascolti il lavoro nervosissimo, della batteria, il coretto choosie, avrebbe detto la Fornero (!), della Deal. Il passo è ossessivo e sagomato, così come le continue esplosioni di voce e di elettricità, che ne fanno l’ennesimo, luminoso capolavoro di un disco che non sarà bissato da nessuno.
PIXIES = I SIGNORI INCONTRASTATI DEL NOISE. Grandissimi.
E siamo al nono disco (Television, Gun Club, Wire, Husker Du, King Crimson, Cure, Magazine, Thin White Rope e questi Pixies) della mia lista personale dei dieci dischi rock preferiti, che mi vedo costretto ad ampliare a venti per forza di cose. Altrimenti rimangono fuori fior di capolavori.

Doolittle Book Cover Doolittle
Pixies
Rock
1989