Siamo nel 1977, nel cuore degli anni di piombo, verso la sera, forse, di un complesso e mai fino in fondo compreso periodo della nostra storia. Ludovico Bruschi è un professore universitario in pensione, comunista, ateo ma profondamente legato a principi borghesi. Un personaggio dunque che si porta addosso le inevitabili contraddizioni della vita. Contraddizioni messe ancora più in evidenza dalla signorile eleganza della sua casa, un bel villino ai Parioli. Al suo fianco la domestica Elvira verso la quale Ludovico ha un atteggiamento che è insieme protettivo e paternalista. Tutto scorre in una quotidianità regolare e un po’ monotona fino a quando Oliviero, figlio di Ludovico, arriva a interrompere la placida vita del padre. Oliviero è un hippy, con tutti gli stereotipi del caso, tra inconcludenza e confusione. Ed essendosi appena separato da Stella, chiede a Ludovico di occuparsi della figlia, per un po’.
Si capisce subito che la bambina verrà ad assumere un ruolo fondamentale nella vita del professore, seppure a fatica e con non pochi problemi. La piccolina si porta addosso lo stile di vita dei genitori, a partire dal nome, Mescalina, e dal soprannome, Papere. Al plurale perché la ragazzina è convinta di avere un doppio con cui gioca, parla e, forse, cerca di superare una profonda solitudine e disagio. In breve tempo il rapporto di tra nonno e nipotina diviene una delle cose più belle della vita di entrambi, l’uno vivificato dalla pensosa vivacità della ragazzina a sua volta rassicurata dalla vita sana e regolare che il nonno sa offrirle.
Ma anche questa volta qualcosa arriva a scompaginare le carte. Si tratta proprio di Stella, giovane aggressiva, comunista più per moda che per convinzione. E tra i due nasce immediatamente il più classico dei conflitti culturali e generazionali. Ma nasce anche un sentimento inespresso, sul filo del “non si può”. Ma proprio per questo ancora più complesso.
Quello che accade in quell’anno noi spettatori lo sappiamo ovviamente dal film anche se, dal punto di vista della storia, è lo stesso Ludovico a raccontarlo alla nipotina con una lettera che lei leggerà anni dopo, quando il nonno non c’è più.
Verso sera non è sicuramente uno dei film più belli di Mastroianni ma ha non pochi elementi notevoli. Soprattutto nella mimica e nella gestualità dello stesso Mastroianni, capace di eleganza e sottilissima ironia. Che rendono il personaggio funzionale ad un messaggio importante sempre, forse ancor più negli anni in cui la storia si svolge: gli stereotipi sono di carta velina se ci si guarda e ci si ascolta al di fuori dei recinti dagli stessi stereotipi creati.
Un film che non pochi momenti di delicata grazia, come in alcune scene tra nonno e nipotina, ma anche di tagliente malinconia come nelle sequenze finali, con la voce fuori campo del professore e le stanze della sua casa vuote della sua presenza.
Nel complesso però è un film che, a volte capita, si regge per la maggior parte del tempo, su la prova d’attore di un immenso Mastroianni. La pecca maggiore di questa pellicola è forse quella di essere troppo parlata e di basarsi, in modo sproporzionato, sui momenti di una drammaturgia troppo spiegata, schematica e didascalica. Ma, chissà se sempre per merito di Mastroianni, riesce ad evitare una generale sensazione di pedanteria.
Comunque, vale la pena guardarlo
Drammatico
1990