Due millenni prima della nascita di Cristo la torre di Babilonia si ergeva al cielo fino al punto più vicino a Dio. Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Il medio Oriente, il centro di tutto, anche il cielo stellato s’inchinava alle meraviglie della terra. Poi il crollo. Il disordine e la dispersione delle lingue. Incomprensione e diversità intesa come ostacolo anziché come ricchezza.
Una molecola che si disgrega e disperde gli atomi che la compongono. La molecola dell’umanità che, nei secoli a venire, non verrà mai più ricomposta.
La torre di Babele conteneva anche suoni e melodie. Conteneva la musica perfetta. Una composizione universale e universalmente riconosciuta da tutti. Con il crollo, tutti i suoni si sono dispersi nel mondo.
Così è accaduto per tutte le arti. Il compito dell’artista è quello di tessere le trame della propria arte cercando di avvicinarsi, il più possibile, alla perfezione. Un obiettivo impossibile anche solo da sfiorare, motivo di angoscia e disperazione di ogni artista.
Tra la fine del 1700 e la metà del 1800 il mondo della musica arriva quanto mai più vicino all’obiettivo. A Vienna si erge una nuova torre di Babilonia e Wolfgang Amadeus Mozart ne costruisce il piano più alto.
Il progresso porta a cambiamenti sempre più veloci. I popoli possono ricominciare a comunicare fra loro ma mai come il XX e XXI secolo sono stati ostili gli uni con gli altri. Urge la necessità di una nuova Babele che, puntuale, prende forma a Londra. Beatles e Pink Floyd si levano al cielo portando nuove stupende sonorità e melodie.
Nel frattempo un ragazzo di nome Thom Yorke si nutre di bellezza. Scrive e compone musica. Con i Radiohead ogni album differente e un passo avanti a quello precedente. Una musica sempre più vicina al divino. Ritmiche e sonorità all’avanguardia. Stile introverso, intimo, riflessivo. Meraviglioso, il suono dell’Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Un progetto perfetto portato avanti con tenacia dal produttore Niegel Godrich.
Dall’altra parte del mondo il bassista dei Red Hot Chili Peppers, Flea, cerca insieme ad Antony Kiedis e Jhon Frusciante una colonna sonora statunitense. La loro storia si rispecchia appieno nel contesto degli States. Tra benessere ed eroina. Liberismo e globalizzazione. Una discografia di tutto rispetto. Virtuosismo musicale, un’estroversa potenza scenica, intimità e scene di vita vissuta si alternano in modo schizofrenico.
Spesso le ritmiche moderne hanno segnato un ritorno alle origini e sperimentato nuovi generi. Le basi tribali e l’afrobeat portano il rock a ritmi primordiali. Una strada che fa incontrare Joey Waronker, batterista dei Rem, e Mauro Refusco, percussionista fidato di David Byrne e Brian Eno.
Eccoli, in uno splendido incontro nel 2009. Tutti insieme. Thom, Flea, Niegel, Joey, Mauro. Gli Atoms for peace. Un album “Amok” e un tour.
I brividi percorrono la schiena in ogni senso. Come se gli atomi volessero tornare a ricomporre la molecola dell’umanità. Un ritmo primordiale fluidificato da un basso fondamentale e barocco, onnipresente e mai ingombrante. Su un pentagramma di luce si percepiscono le evoluzioni di un’elettronica dosata perfettamente, pronta a scandire l’intensità dell’emozione. Chitarra e voce escono dalla parte più intima dell’intero sound. E il pianoforte è sempre lì, strumento e simbolo.
Bastano poche note agli atomi per prendere di nuovo forma, insieme, in una grandiosa e luminescente molecola. Il ritmo coinvolge, il suono commuove. Le immagini si susseguono ininterrottamente dal privilegiato punto di vista posto sulla nuova Babele. La torre sembra ergersi da un’isoletta dell’Atlantico dove convivono il palazzo degli uffizi di Firenze, la mecca, Time Square, la muraglia cinese, la savana e la foresta amazzonica.
Atoms for peace. Per la pace. Mai la globalizzazione è stata così dolce e i muri così inutili.
Rock sperimentale
2013