Succede che un uomo legga un libro. Non una ma cinque volte. Ne resti letteralmente impigliato, sommerso. Succede che quell’uomo, per uscirne scriva un libro su quel libro, o meglio, esplicitamente ispirato da quel libro. In una sorta di viaggio in cui “uscire” non è da intendersi come una fuga liberatoria ma, semmai, come l’inizio di un viaggio altro. Non è frequente, nel mondo letterario, trovare un autore che dichiara esplicitamente una sorta di debito nei confronti di un altro autore. A questa isteria da “negazione di dipendenza” Harold Bloom ha dedicato uno dei suoi libri più belli: L’angoscia dell’influenza, in cui ci racconta come, praticamente, ogni scrittore sia seduto sulle spalle di un altro o di altri scrittore, anche e soprattutto quando lo nega.
L’uomo in questione è Fabio Strinati con questo suo
Dal proprio nido alla vita. Il libro che lo ha così tanto coinvolto da spingerlo a scriverlo è Miracolo a Piombino di Gordiano Lupi, scrittore, traduttore e fondatore (con Maurizio Maggioni e Andrea Panerini) della casa editrice Il Foglio Letterario. Strinati dichiara subito di avere scritto questo poema dopo la lettura di quel libro. Lo dice così, chiaramente, senza scomporsi. Come fosse la cosa più normale al mondo avere un moto di riconoscenza.
Confesso di non avere letto Miracolo a Piombino. Rimedierò. Ma ai fini della lettura di Dal proprio nido alla vita non lo considero, per ora, indispensabile. Non si tratta qui di fare confronti, di analizzare al microscopio quanto e cosa vi sia nel libro di Strinati del libro di Lupi. Non di questo si tratta. Del resto se l’intenzione è dichiarata fin dall’inizio, è interessante vedere poi dove tale intenzione abbia portato l’autore. Certo, sono andata a vedermi di cosa parlasse Miracolo a Piombino, ma giusto per avere un’idea, per capire almeno quale fosse la tematica. E, almeno questa è la mia opinione, è che la tematica sia la difficoltà di diventare grandi, di spiccare il volo, di affrontare difficoltà che sembrano insormontabile e che, talvolta lo sono davvero.
Il gabbiano del libro di Lupi diventa qui una rondine. Metafora, simbolo di un anelito alle infinite possibilità, specchio di desideri che, spesso, sono velleitari. Del resto volare è uno dei simboli più classici di questo sognare di andare oltre, ed è qualcosa che, in misura più o meno maggiore, ci accomuna tutti, noi terrestri con i piedi costretti a terra.
Un viaggio nel tempo reale e nelle stagioni della vita, con immagini legate alla natura. In una sorta di nostalgia di ciò che era ma, anche, di nostalgia del futuro. Se tale impressione suona come un ossimoro è perché nel libro di Strinati questa figura retorica è spesso presente, se non come costruzione sintattica, certo come immagine metaforica: andare attraverso il ritorno, volare su uno scoglio di montagna, dimenticare ricordando. Solo per fare alcuni esempi.
Dal proprio nido alla vita si presenta in forma di poema ma sconfina spesso, chissà quanto volutamente, in una sorta di prosa poetica. A ricordarci che siamo di fronte ad un poema è il ritmo talvolta sincopato, a volte rotto, scelta stilistica che ben rende l’idea della difficoltà e della tensione tra infinite possibilità della fanciullezza e accettazione (ma non in accezione rassegnata) dell’età adulta. E in mezzo l’impossibilità, forse, di dire con esattezza quando cominci la vecchiaia e cosa realmente sia. Ritmo sincopato dicevamo che, chissà, se dipende dal fatto che Strinati sia anche musicista.
Un poema che sembra facile ma, invece, è difficile assai. Proprio perché si muove in una sorta di andare/venire, tra sogni e rimpianti, ricordi o forse visioni. Ostico verrebbe da dire, in alcuni punti proprio per il suo andamento che tanto sarebbe piaciuto a Proust e al suo giocare con la punteggiatura. L’anafora è la figura retorica con cui l’autore sembra voler tenere insieme le varie immagini del poema. In una sorta di mantra ripetuto ma solo come sottofondo o, meglio ancora, come cornice unificante. Il suo ripetere: “ho sempre desiderato essere una rondine” funziona proprio come collante, ma anche come dichiarazione di iato tra ciò che vorremmo e ciò che realmente è. E forse è proprio qui la difficoltà di diventare grandi. Qualcosa che sa essere molto crudele. Ma anche dolce, come dolce è ogni stagione, il caldo ma anche il freddo, il volo degli uccelli ma anche il ghiaccio. Del resto così è la vita
Poema
EIF
2016
60