Sono nato a Orvieto il 21 agosto 1985. Laureato in filologia moderna all'università della Tuscia. Sono giornalista pubblicista. Le mie passioni sono musica, letteratura e cinema. Amo le contaminazioni e la ricerca di nuovi stili da adattare a questa assurda modernità. Ho scritto anche un libro: Inverni. La città che muore, Sette Città editore

Una ragazza a Londra. Talmente ingenua che poteva accontentarsi di fare le pulizie. Di sopravvivere. Non come la compagna di stanza, commessa aspirante ballerina senza un briciolo di grazia. Lei aveva dalla sua l’ingenuità di trovare la felicità nelle cose semplici. “Fiore del deserto” è la storia di Waris Dirie fuggita dalla Somalia perché, a tredici anni, non voleva sposare un sessantenne. Film del 2009 diretto da Sherry Hormann e ispirato all’omonimo romanzo.
La fuga e la sopravvivenza. Poi la libertà e una vita da top model. Poi ambasciatrice Onu. La sua storia doveva essere scritta e ispirare questo film dove Liya Kebebe, modella etiope al debutto cinematografico, è l’interprete perfetta. Si immedesima in Waris, percorre le strade della metropoli con una grazia innaturale e riesce magistralmente ad alternare atti drammatici a momenti di leggerezza.
Cos’è l’infibulazione? Il ricordo di una bambina di tre anni che subisce un’inutile operazione chirurgica di stampo medievale. Mutilazione genitale. Non tutte riescono a sopravvivere e chissà quante infezioni, quante agonie, quante morti. Quante pietre sporche di sangue. “Quando è cambiata la tua vita?” Apre così la giornalista di Vogue intenta a raccontare la storia di una Cenerentola passata della povera Africa al ricco mondo della moda.
Ma non era quella la storia che era predisposta ad ascoltare. “Vuoi sapere quando è cambiata la mia vita?” La vita di Waris è cambiata il giorno che ha visto il suo sangue su quella pietra, non quando è diventata popolare e ricca. Perché in un contesto povero, la povertà è prima di tutto culturale. E finché gli uomini credono che sia giusto strappare via punti di sutura dalla vagina della moglie, magari dodicenne, perché lo vuole qualche credenza derivata da una deviazione religiosa o tribale, allora, forse, è meglio morire di fame.
Ma il film offre anche una splendida metafora. E’, prima di tutto, una storia di bellezza. Il caso ha voluto che il fotografo Terry Donaldson frequentasse proprio il ristorante dove Waris faceva le pulizie. Il suo occhio non sbagliava. Era una modella. Trovata per caso e scelta dalle più importanti case di moda. Ma cosa vuol dire essere una modella? Cosa vuol dire essere un’immagine? Far parte di un’élite, vivere nel lusso ed avere denaro a non finire. Tutto qui?
No, perché Waris, con la sua ingenuità e la sua trasparenza, ha voluto riempire di significato la propria immagine. Il punto più alto del film, nel finale, è il suo discorso alle nazioni unite. Bellissima come lo è solo chi porta la verità. E’ il momento in cui lo sguardo della protagonista arriva all’orizzonte più lontano. Oltre ogni confine e ogni credenza. L’umanità in una ginestra, forte fiore del deserto.
All’Onu si parla di infibulazione. Una denuncia forte e toccante che arriva dalla parte più debole della storia. Dalla parte più debole del mondo, una bambina violentata. Forse una storia assurda per noi che dal nostro privilegiato punto di vista siamo pronti a giudicare anche solo per la fuga, figuriamoci per la denuncia. Talmente assurdo riflettere su un problema del genere da non provare neanche a capire.
L’infibulazione è una pratica antichissima risalente ai tempi di egizi e praticato dagli islamici, dai cristiani e dagli animisti. In questo modo gli uomini possono assicurarsi che la donna arrivi “pura” al matrimonio. Nei titoli di coda il film ci rivela che, ancora oggi, 6000 bambine al giorno sono vittime di questa pratica disumana.

Fiori del deserto Book Cover Fiori del deserto
Regista Sherry Hormann
Biografico Drammatico
2016