Stelio Mattioni. Chi era costui? In un paese in cui in maniera spesso idiota, più che ironica, qualcuno si fa vanto di non conoscere un poeta come Giorgio Caproni, la domanda non suona, purtroppo, retorica. Ci sono scrittori, e Mattioni è tra questi, che sembrano avere fatto la storia della letteratura italiana del XX secolo quasi di nascosto, in modo discreto. Talmente discreto da sfiorare l’oblio di molti, la dimenticanza di tanti e la non conoscenza dei più. Mattioni era triestino e, forse, questa sorta di timidezza, a tratti scontrosa, l’aveva nel suo DNA culturale.
Stelio Mattioni nacque a Trieste nel 1921 e coltiva, probabilmente, il suo amore per le lettere così, senza clamori o sogni di gloria. Lavora infatti come impiegato in una grande raffineria petrolifera e parte anche soldato durante la Seconda Guerra Mondiale. I suoi primi approcci di scrittura saranno rivolti alla poesia, tanto che nel 1956 pubblicherà con il grande editore milanese Schwarz una raccolta dal titolo La città perduta. Siamo alla fine degli anni ’50 e Mattioni si trova immerso in quella irripetibile stagione culturale triestina fatta da nomi quali Stuparich e Quarantotti Gambini. Tali inevitabili influenze, unite alla sua scarsa convinzione sulle sue doti poetiche, spingono Mattioni a spostare la sua scrittura sulla narrativa.
Per fortuna però la sua poesia venne notata da un personaggio del calibro di Bobi Bazlen. Impossibile qui raccontare, come meriterebbe, chi fosse Bazlen. Limitiamoci a dire che fu tra i fondatori della casa editrice Adelphi, non a caso l’editore che ha pubblicato molti dei libri di Mattioni, insieme alla discussa Spirali di Armando Verdiglione.
Tra la fine degli anni ’60 e il 1980 Adelphi pubblicherà una serie di romanzi tra cui Palla avvelenata, Il re ne comanda una e questo Il richiamo di Alma di cui vorremmo parlarvi. Non perché sia migliore o più significativo di altri ma, semplicemente, perché in esso maggiormente si rintracciano quegli stilemi e quella poetica così particolare dello scrittore triestino. Particolare pur rientrando, per moltissimi aspetti, nella grande tradizione letteraria della sua città.
Anche in questo libro, in cui una enigmatica e sfuggente figura femminile sembra tirare i fili dell’esistenza del protagonista, la scrittura scorre leggera ed essenziale, quasi fosse delle stessa pietra di cui è fatto il Carso. Anche qui, come in altri sui testi, il protagonista vive una sorta di rito di passaggio, transitando tra vita quotidiana e atmosfere oniriche. In una specie di malessere, di disagio che non viene analizzato ma “solo” raccontato. Nei romanzi di Mattioni c’è sempre qualcosa che sfugge, che chiama ma che non si lascia né prendere né interpretare: come la vita e come questa figura di donna che, alla fine, potrebbe essere tutte le donne ma anche una proiezione del protagonista, che potrebbe esistere ma forse no. E attorno al nucleo centrale della storia si dipana la vita del protagonista, un giovane studente come tanti altri, alle prese con il passaggio del confine tra adolescenza ed età adulta con conseguente distacco dai ruoli e dalle regole familiari.
Una letteratura, la sua, che ha suscitato l’interesse di molti studiosi, tra cui Claudio Magris, che ne ha messo in luce addirittura legami con Kafka, Svevo e Pessoa. Rintracciabili, soprattutto, nel suo stile così privo di lirismo ma così pieno di indeterminatezza, di fluidità. Con quella straordinaria (e molto mitteleuropea) capacità di passare dal racconto di un istante profondamente realistico ad uno profondamente surreale e quasi allucinato. Un equilibrio difficile che di mediterraneo ha in effetti molto poco ma che si colloca di diritto in una letteratura davvero mitteleuropea, immensa.
Come tipico di una certa letteratura, e sicuramente della poetica di Mattioni, è una specie di pessimismo ben reso da una tecnica narrativa in cui l’autore poco interviene, lasciando accadere le cose. In una sorta di ricerca destinata al fallimento. Ma fallimento che, nei suoi libri e in questo in particolare, si sveste della sua accezione negativa per divenire forse una nuova apertura. O forse no. Non ci è dato saperlo e neanche capirlo, soprattutto in questo testo.
Purtroppo non è un libro facile da reperire, neanche tramite l’editore. Forse qualche libreria dell’usato, forse qualche mercatino. Come è logico (in fondo) che sia per un libro in cui qualcosa chiama, sfuggendo.
Adelphi
1980