Potremmo definirlo il “QUARTO ì” disco di Eno coi Talking Heads e quindi, il quarto capolavoro consecutivo, 3 col gruppo, ed uno in duo col leader delle Teste Parlanti. Ma sarebbe ì, comunque, riduttivo, perché questo è un disco che ha anticipato di trenta anni quanto si sarebbe fatto in seguito. L’articolazione del disco si basa su “oggetti sonori”, i più disparati, con un insieme di sequenze e stratificazioni legate dal silicone di Eno e Byrne, veri stregoni di tutto quanto avesse a che fare con idee rivoluzionarie fatte di collages impensabili di trasmissioni radio, predicatori folli, esorcismi, registrazioni in presa diretta, schegge coloratissime e collocate sia nelle metropoli che nei desertici altipiani del Libano. Registrazioni isolate, frammentate, centrifugate, con postproduzioni arditissime. L’Africa ed il Medio Oriente (Area a parte) non erano mai stati così vicini, a contatto di toccata! Dischi e nastri pre e post lavorati e fusi con una musica fatta da artigiani di calibro superiore (loro due, Bill Laswell, il basso la batteria dei Talking Heads e pure le tastiere di questi, lo straordinario bassista Busta Williams, tanto per dirne alcuni). In futuro, ai nostri giorni o quasi, questa tecnica di estrazione di frammenti e frattaglie sonori verrà inquadrata come “sampling”, ma allora il territorio era tutto arido e da esplorare. Stockhausen, Varese sono i primi nomi che mi vengono in mente. La sincronizzazione di ogni singola parte con la tessitura ritmica del pezzo avveniva a forza di ripetuti, esasperati/nti tentativi. Da Jung alla fisicità più esasperata, per davvero!
Questo disco è così innovativo che ci si trova spesso ad andarne a verificare la data di pubblicazione sulle note di copertina…
“America is waiting ” ( L’America sta aspettando ) verrà ricordata nell’eternità per la chitarra – grattugia di Byrne e per la sua voce nevrastenica nel cantare alla grandissima il titolo . Eh sì, ma non solo l’America stava aspettando un siffatto capolavoro assoluto.
Chitarra nevropatica, come detto, tessuto sonoro a mo’ di schermaglia continua , fratturata. Graffiate da parte di unghie affilatissime, simil rasoi metallici, La voce è tratta da una stazione radio di San Francisco nell’ aprile del 1980 . PAZZESCA. ” Mea culpa ” , con inserti da dialoghi politici tratti da una stazione radio di New York , nel luglio 1979, lavora l’elettronica con stile Eighties, filamenti di synth ì, percussioni incessanti, effetto ipnotico devastante, tastiere che si sovrappongono, voci che gorgogliano. “Regiment” è il Groove imbastito dal basso legnoso, nodoso, inarrivabile del colored Busta Williams, in cui la cantante libanese “di montagna ” Dunya Yusin elabora un cantato che fa venire i brividi, da pura muezzin , mentre i synths dei due leader letteralmente si avvinghiano , copulano e si abbandonano , sfiniti, solo nel finale. David Van Tiegham alla batteria è prodigioso . Brano che poteva essere stato composto 30 anni e più dopo. “Help me somebody” è nevrotica , ipnotica nei giri delle chitarre e del basso, slappato,
Pare di essere ad Haiti con uccelli coloratissimi che ti volano attorno e la voce è infernale. E’ il reverendo Paul Morton che è stato registrato in un suo sermone a New Orleans nel giugno del 1980. E’ un funky impazzito, col basso di Laswell , pazzesco, e la chitarra di Byrne inarrestabile. Atmosfera vorticosa e da mal di mare. ” The Jezebel Spirit” miscela gli ansiti della posseduta dal Demonio durante un esorcismo con le esortazioni di un sacerdote (esorcista non identificato, a New York, settembre 1980). Fibrosità aeree del basso e cinguettii psicotici della chitarra e delle tastiere, perennemente ipnotizzanti. E’ una scenografia liquida, persino agghiacciante, quando il prete urla la sua formula contro Satana, per cavar fuori Satana dalle viscere della donna. Finale convulso. Enorme! Le idee sonore di ghiaccio fanno accapponare la pelle. BELLISSIMA, in un finale che non si può dire! ” Very, very hungry” cambia completamente contesto. I “due folletti ” costruiscono un archetipo oscuro ed urbano , sospeso su travi elettroniche , cupe , con una voce femminile , trattata con l’oscillatore e tutte le diavolerie di Eno , voce che pare generata dall’utero della giungla nerissima , suadente , ma estremamente minacciosa. La chitarra di Byrne lavora con taglia e cuci pazzeschi. La melodia, che non si apre mai completamente , pare dilatata e dilatabile all’inverosimile. “Moonlight in glory” è un mescolio continuo di corpi , rumori e pensieri, pezzo “ambientale” con Byrne che urla e si contorce alla voce, suonato quasi ” a ditate ” , con congas implacabili e fili celestiali di synth . IMPRESSIONANTE . “The carrier ” , con la voce troneggiante della Yusin ancora, chitarre “fumose ” , simili a qualcosa da “Remain in light ” , ma questo disco fu lavorato prima , anche se pubblicato dopo. Lei è favolosa alla voce, melodia mai sentita prima. ” A secret life ” è fatta di guizzanti lamenti sintetici , uno spettrale meccanismo metallico, su un assoluto vuoto pneumatico , con tremende oscillazioni. “Come with us ” è un miraggio faustiano , inserito in un tritatutto senza pietà. “Mountain of Needles” , infine, in meno di 3 minuti, dipana respiri antichi ed immemori , in precipizi innevati, spaventosi, eppure di assoluta pace mentale. E’ lo scalpello del tempo che si sgretola in ghiacciai immortali. Il DNA di ENO E BYRNE è lo stesso di coloro che, venendo dalle galassie più lontane e là poi ritornando edificarono l’Antico Egitto come a noi è arrivato . AUTENTICI ALIENI IN UN CAPOLAVORO pari al Monolito di ” 2001 Odissea nello spazio ” di Kubrick. ENORME.
Rock sperimentale
1981