Non sono di certo un appassionato di fumetti, manga o film, e la mia poca cultura in tutto ciò non corrisponde ad una sorta di sdegno verso queste arti. Per esempio, all’inizio del Novecento si discuteva sul valore di un’arte invece di un’altra, sulla potenza del cinema muto o sul bisogno di arricchire il film con sonorità che esplicassero quello che l’immagine non riusciva a descrivere.
La passione per la musica simboleggia il mio stile di vita e il modo più facile per poter far viaggiare la mente guardando un panorama, un tramonto o anche un muro bianco. A volte però succedono incontri strani. Una nuova luce che accende uno spiraglio nel buio totale. L’ombra più scura corrisponde ai fumetti che ho toccato si e no con qualche numero di Tex e Dylan Dog. Aiutato di certo dal contesto sociale, storico ed artistico che colora il mondo dell’artista in questione, mi sono innamorato di Andrea Pazienza e la redazione fantasmagorica di Frigidaire.
Siamo nella metà degli anni Cinquanta e la selvaggia Puglia partorisce un geniale fumettista, e non solo, che vent’anni dopo si trasferisce a Pescara, dove incontra Tanino Liberatore, altro grande spirito libero. La tappa fondamentale è certamente quella di Bologna, infiammata dal movimento del 1977, colmo di sensazioni, emozioni, rabbie, paure, dubbi ed eccessi si forma lentamente la sua visione del mondo, della vita, della società.
Sempre in quell’anno turbolento si giunge alla fondazione della rivista “Cannibale” di Stefano Tamburini, Massimo Mattioli, Tanino Liberatore e Filippo Scozzari. Andrea collabora anche con “Il Male” di Vincenzo Sparagna e nel 1980 si arriva alla nascita di “Frigidaire”. Quest’ultima rivista segna un passo importante per l’arte di Pazienza, tanto da far comparire nelle pagine il famosissimo “Zanardi”. Non voglio parlare subito di questo personaggio, ma iniziare a trattare i primi lavori di Andrea, quelli realizzati tra il 1976 e il 1981.
Queste invenzioni iniziali sono uscite tutte su “Cannibale” e rappresentano una bellissima testimonianza della sua visione libera, indipendente e fuori dagli schemi. E’ difficile descrivere a parole un suono, una canzone, figuriamoci una vignetta che si deve osservare attentamente. Ho davanti a me la raccolta di “Cannibale” e già con le scenette di “La Scuola” si comprende velocemente l’astrazione dei dialoghi, la libera interpretazione che lascia al lettore e un geniale lavoro di colori.
Andrea vuole scolpire la quotidianità, la dimensione più sottile dell’animo umano, ciò che sfugge e ciò che ci annienta. Lo sfondo provocatorio che sfida le ipocrite menti bigotte è più potente di una guerra. “Allegro Con Fuoco” fa un parallelismo tra la visione di un alieno della nostra vita sociale e un semplice tradimento di una coppia giovane. “Perché Pippo Sembra Uno Sballato”, “Prixicel!”, “Agnus Dei”, “Mondo Acido”, “Ma Cosa Succede?” sono il trionfo dello sballo, dell’osceno, dell’eccitazione.
Andrea vuole porre attenzione agli stili di vita della società, senza filtri, trasformando spesso e volentieri le persone come delle creature buffe, goffe, pseudo mostri futuristici (stilemi che vengono consacrati definitivamente dal teatro cyborg di “Ranxerox”). Quello che si comprende dal suo persistere nel raffigurare il mondo della droga è il rappresentare chi ne fa uso e la sostanza stessa come una macchietta, dove non c’è troppo da condannare, se non la comprensione dal nostro essere afflitti da un mix di gioco, serietà, paure e libertà.
Si giunge a “Francesco Stella”, “Il Partigiano” e “Aficionados”, con i quali si assaggia la sfera politica sotto un’ottica parodistica, comico tragica e a tratti dissacrante. Qui i fumetti sono in bianco e nero, ma il realismo, il pathos delle immagini, delle figure, i lineamenti precisi di un individuo, come se fosse una fotografia, sono la carta vincente, il segnale della genialità. La beffa della serietà degli schieramenti politici, della vita messa a repentaglio da una guerra, condita non solo di paura ma anche di gaffe, divertimenti e teatrini comici dei soldati, danno un peso diverso alla vita del mondo
Se dovessimo vivere in un fumetto di Pazienza avremo terrore misto a pace con un finale quasi sempre giusto per il ruolo che si riveste. Non c’è una sete di morale o di giustizia tra il buono o il cattivo. Osservando le sue vignette si comprende che ognuno di noi riveste un personaggio con uno scopo, che bisogna decifrare e individuare.
La visione cattolica descrive la fine di un’esistenza come l’arrivo ad una forma perfetta che trova seguito nella vita ultraterrena. Rifletto spesso su questo quando mi trovo a pensare ad una persona che non c’è più. Andrea scompare nel 1988 per un’overdose di eroina, lamento che viene descritto in maniera cruda ma lucida in “Pompeo”, la sua ultima opera equivalente ad un testamento. Non c’è tristezza o felicità, ci si trova sempre in una sorta di limbo, dove non si trova una via ben precisa dettata da chissà quale predicatore. Andrea ci lascia sempre con il libero arbitrio nelle immagini che scorriamo nelle pagine.
Fumetti
Tra il 1977 e il 1979