Rendiamo onore al merito ad Adelphi per avere ripubblicato questo vero e proprio gioiellino della letteratura del ‘900. Stiamo parlando de Il buon vino del signor Weston, di Theodore F. Powys, uscito in Italia molti anni fa con i tipi di Longanesi e oggi riproposto con l’ottima traduzione di Gianni Pannofino. Due parole sull’autore che, dato di fatto, non è conosciuto al grande pubblico, almeno in Italia. E che invece meriterebbe ben altro riconoscimento. Powys è stato uno scrittore inglese, principalmente di novelle e storie brevi. Nato nel 1843 nella contea del Derbyshire, si cimentò anche nel lavoro di campagna che abbandonò agli inizi del ‘900 quando si trasferì nel Dorset, cominciando ad accarezzare l’idea di diventare scrittore. Per nostra fortuna, viene da dire.
I suoi libri, compreso questo meraviglioso Il buon vino del signor Weston, riflettono sicuramente la religiosità profonda ma fuori dal coro di Powys. Una religiosità che si componeva di profondissime influenze letterarie e filosofiche. Powys non negò mai quanto amasse leggere e assorbire autori come Cervantes, Jonathan Swift, Thomas Hardy ma anche caposaldi della cultura extra letteraria come Freud e Nietzsche.
Ma, anche senza sapere quale sia stata la sua formazione, ciò che traspare subito da questo incredibile libro è una religiosità intrisa di paganesimo, di dubbio, di domande e di certezze espresse però con la leggerezza della creatività letteraria. Non a caso il suo Il buon vino del signor Weston è stato definito un’allegoria.
Siamo nel 1923, in un pomeriggio che sta diventando sera, descritto da un incipit che già ci porta per mano in una solo apparentemente idilliaca provincia inglese: “Il 20 novembre 1923, alle tre e mezza del pomeriggio, un furgone Ford di quelli comunemente usati in Inghilterra per consegnare merci nei distretti rurali, sostava davanti al Red and Lion di Maidenbridge”. Comincia così uno dei più sorprendenti (e secondo noi meravigliosi) libri ora nuovamente disponibili sul mercato editoriale italiano.
Ma cosa venderà mai quel furgone? E chi sarà quel tipetto, accompagnato dal suo assistente, che susciterà subito la curiosità di un soporifero pomeriggio novembrino, nell’inventato villaggio di Folly Down? Non si rovina di certo la lettura dicendo subito, anche perché subito si arriva ad intuirlo, che Mr Weston altri non è che Dio, il suo assistente Michael un arcangelo, e il vino che vende è, in un certo senso, esattamente ciò di cui ciascun abitante di Folly Down ha bisogno. Di qualunque cosa si tratti, fosse anche la morte. Un vino che rispecchia esattamente le qualità più autentiche, buone o malvage, di chi accetta di berlo.
Straordinariamente colto e suggestivo l’espediente letterario (ma anche filosofico) di svolgere il racconto non solo nell’arco di un solo giorno ma, addirittura, in un’ora eterna. Alle 19 gli orologi si fermano. Smette di esistere il tempo perché è arrivata l’eternità. Ma nessuno sembra accorgersene. L’assenza di tempo come sospensione ma anche come amplificazione del racconto e dei racconti. Perché sono tante le storie che si intrecciano in questo villaggio e tra le pagine di questo libro. Mr Mumby, i suoi ambigui e arroganti figli Martin e John, Mr Kiddle e le sue figlie Phoebe, Ann e Ada, forse il vero fulcro metaforico attorno a cui ruota tutto il libro, con la sua morte e il sottile e viscido filo rosso che sembra cucire ogni cosa ad ogni cosa. E poi il reverendo Grobe, uomo di chiesa che non crede più in Dio da quando sua moglie ha perso la vita in un banale incidente, Thomas Blunce che incolpa Dio per ogni cosa, la laida e volgare signora Vosper, Luke Bird che vive la vita cercando di convertire gli animali, il signor Grunter, becchino e sacrestano del paese, accusato di ogni nequizia, che non nega perché, in fondo, una cattiva fama è meglio del non essere nessuno.
Questo la cornice di una storia in cui la fede, per Powys, si manifesta nel mondo ma non priva di un lucido e tagliente umorismo nero, con un canto polifonico che si tinge ora di giallo, ora di malinconico, ora di intrigo sessuale, ora di amore per tutte le creature. C’è praticamente tutto in questo libro, c’è la malvagità e l’ignoranza, la cattiveria e l’ingenuità. C’è, insomma, l’umanità in ciascuna delle sue mille e una sfaccettatura, compresa quella di essere talmente abituata al male da non saper più riconoscere il bene, neanche quando le si manifesta. Forse. Ma non per tutti.
Piccola curiosità. Il titolo sembra derivare dalla Emma di Jane Austen in cui uno dei personaggi si chiama proprio Mr Weston e vende vini, tanto che, ad un certo punto, si legge la frase “She believed he had been drinking too much of Mr Weston’s good wine…”
Se ancora non lo avete fatto, leggetelo.
Biblioteca Adelphi
Letteratura inglese
Adelphi
2017
286