C’è qualcosa nella cinematografia iraniana che accomuna un po’ tutte le pellicole, una sorta di trattenuta passionalità, di controllata emotività anche nelle situazioni più estreme. Ed è quello che accade anche in questo sorprendente e durissimo Melbourne, in cui la giovane regista Nima Javidi, ci racconta quello che sembra un thriller ma che, in un certo senso, è puro horror. Ma l’horror di cui sa ammantarsi la vita di ogni giorno. Tutto reso ancora più esasperato da una scelta claustrofobica obbligata: il budget ristretto ha fatto sì che tutto il film venisse girato all’interno di un appartamento. E questa scelta si è dimostrata assolutamente funzionale alla storia, rendendola ancora più pressante, ansiogena eppure giocata sul sottile crinale di una fredda calma apparente. Il controllo di cui parlavo all’inizio.
La storia è molto semplice, quanto coinvolgente. Siamo in Iran e una giovane coppia di sposi è ripresa nelle ore immediatamente precedenti la loro partenza per l’Australia. Dovranno restare a Melbourne per tre anni. La prima parte del film si snoda apparentemente serena, con il gioioso caos delle ore che precedono una partenza di quel tipo, le telefonate con l’amico che li attenderà in aeroporto, la frenesia degli ultimi preparativi, l’abbandono della casa e di molti degli oggetti che hanno rappresentato parte della vita fino a quel momento, i saluti ai familiari. Eppure, fin da subito, si intuisce che qualcosa andrà a frapporsi tra il futuro che i due giovani si aspettano e quello che sarà.
Il loro vicino deve lasciare la piccola figlia ad una baby sitter che però, per un imprevisto, dovrà a sua volta lasciarla, solo per qualche ora, ai due giovani, Sarah e Samir. Un apparentemente innocuo sovrapporsi di eventi, diventerà qualcosa che cambierà le loro vite per sempre. L’elemento giallo c’è eccome ma, in questo film, non condurrà lo spettatore (e neanche i protagonisti) a chiedersi chi possa essere il colpevole ma, molto più pesantemente, quali siano le reazioni che il caso provoca nella vita delle persone. Soprattutto quanto queste persone il caso le coglie alla vigilia di un grande cambiamento. Cosa si è disposti a fare pur di non lasciare che la vita venga stravolta da qualcosa che non avevamo previsto? Etica e moralità mantengono la barra ben salda?
L’elemento più inquietante del film è proprio quell’istante, lunghissimo, in cui incapaci di prendere una decisione, i due giovani si trovano quasi immobilizzati in una situazione da cui non potranno mai più uscire. Perché anche la decisione finale (che non vi sveleremo) sarà tutto fuorché una soluzione. E le loro vite ne resteranno comunque segnate, anche se prenderanno quell’aereo che li porterà lontano.
Forse alcune ingenuità della sceneggiatura si scontrano con la complessità estrema della situazione. Ma nulla toglie di drammaticità a questo film. In cui una specie di inerzia si scontra brutalmente con il caso che, inerte, non è mai. Qualcuno ci ha voluto vedere una sorta di critica sociale, una allegoria dell’inerzia di un intero paese e di una classe borghese incapace di assumersi le sue responsabilità. Noi non lo abbiamo letto in questo modo, ravvisando soprattutto, la paura di doversi conoscere davvero di Sarah e Samir, l’angoscia di riconoscersi incapaci di prendere davvero in mano le loro vite. E il contrasto tra l’essere adulti (che nulla a che fare con il fatto di decidere di costruirsi un futuro altrove) e il rimanere infantili, incapaci di assumersi una responsabilità.
Responsabilità che, assai probabilmente, li seguirà anche in Australia. Peso e colpa che aleggiano fino alla fine del film e anche oltre, proprio perché non ci viene detto quale sarà il loro destino. Primi piani, inquadrature quasi geometriche rendono spigoloso ogni gesto, tagliente ogni sguardo, spaventosa la decisione finale.
Drammatico
2014