Oggi ospitiamo questa interessante recensione/rilettura del libro Antistoria degli italiani, da Romolo a Giovanni Paolo II di Giordano Bruno Guerri. A regalarcela, Luciano Costantini, autore del recente libro Il giorno che accecai il duce, Sette Città Edizioni e giornalista di lungo corso. Attualmente collabora con la redazione viterbese de Il Messaggero.

Può essere il risultato di una più o meno lunga riflessione o un improvviso flashback ed ecco che, un ricordo, può diventare autentica realtà. Nel caso specifico, una realtà raccontata in un libro uscito esattamente venti anni or sono (per Le Scie, Mondadori), scritto con linguaggio asciutto, elegante, mai noioso da Giordano Bruno Guerri e che sono andato a rileggere. Il titolo “Antistoria degli Italiani, da Romolo a Giovanni Paolo II”, è chiarissimo: l’obiettivo dell’autore è quello di ripercorrere il film della gens italica uscendo però dal sentiero classico ed acritico della storiografia ufficiale, che troppo spesso esigenze politiche, sociali, economiche hanno trasformato in apologia di un popolo che tale non è mai stato. Gli avvenimenti di oggi, talvolta drammatici, comunque epocali, conseguenti di una disordinata globalizzazione hanno fatto riemergere pregi e difetti ormai atavici di noi italiani. Duemila anni or sono fu la caduta dell’impero romano a far saltare l’assetto costituito del mondo conosciuto: di qua la civiltà, di là la barbarie; di qua le istituzioni, di là l’anarchia tribale. Il risultato fu l’arroccamento, la difesa accanita di quel che restava di una condizione esistenziale illuminata e progredita come quella romana che poi si sarebbe trasformata in un sistema di potere politico parcellizzato come quello dei Castelli, dei Comuni, delle Signorie. Di fronte la marea montante delle popolazioni barbare. Senza dio e senza patria. Oggi, lo sgretolamento dell’impero sovietico e conseguentemente degli equilibri mondiali, ha prima prodotto instabilità, poi ha scompaginato quello che una volta era il limes romano, e infine favorito le inevitabili ed oggettive invasioni.
Le spinte separatiste, le pulsioni xenofobe, l’intolleranza verso l’altro, unite alla difesa ad oltranza della nostra cultura, costituiscono una realtà comunque in preoccupante crescita. Un quadro comune in tutta Europa. Basta leggere le cronache dei giorni nostri. Noi italiani riusciamo a rispondere nell’unico modo che ci è congeniale, perché acquisito nei secoli: condanna di tutto e di tutti. Lo facciamo tuttavia mentre stiamo scappando dalla realtà per tentare di raggiungere un posto sicuro, possibilmente sotto la tutela di qualcuno. Cioè il castello e i capitani di ventura di una volta. Ben accetto anche l’aiuto di qualcuno che possa offrire suggerimenti utili al quieto vivere. Oggi gli imbonitori non mancano, ieri c’era un Francesco Guicciardini pronto a dispensare le regole per tutelare “il proprio particulare”. L’attualità del libro di Guerri sta nell’aver analizzato e descritto, in tempi non sospetti e senza ipocrisie, il carattere degli italiani, forgiato sui criteri politici della Chiesa, quella Chiesa che nei secoli è sembrata più attenta alla conservazione del proprio potere temporale che alla cura delle anime. Questo almeno il pensiero di Guerri che percorre il libro come un vero e proprio fil rouge. L’italiano? “Individualismo sfrenato, mancanza di rispetto della cosa pubblica, incapacità di organizzazione e soprattutto una tendenza ad abbandonare qualunque tipo di ragionamento analitico-deduttivo per un pensiero frammentario e superstizioso, spinto spesso oltre i confini della logica”. Secondo Guerri, dopo la caduta dell’impero romano e progressivamente agli italiani “sarebbe riuscita una impresa difficilissima: combinare romani e barbari, i simboli del Bene e del Male, della Civiltà e dell’Inciviltà, del Futuro e del Passato”. L’Italia delle Signorie produsse, appunto, Niccolò Machiavelli che con il suo “Principe” indica al Signore l’arte di governare. E allo stesso tempo produsse Francesco Guicciardini che suggerisce all’individuo i comportamenti più idonei per aggirare le regole del buon governo. “Francia o Spagna purché se magna”. Il tutto e il suo contrario. Se possibile all’ombra del posto fisso. Filosofia semplice semplice che la Chiesa ha saputo applicare nell’arco della sua lunga storia, a difesa del proprio cespite temporale: non per niente, fino al 1870, qualsiasi tentativo di costruire l’unità territoriale prima ancora che sociale dell’Italia è stato sempre frustrato dall’intervento dello straniero, chiamato dai vari Papi che si sono succeduti sul soglio di Pietro: normanni, spagnoli, francesi, borboni, austriaci. Infine gli Usa che con il Piano Marshall e la Dc, il partito degli italiani, per oltre mezzo secolo, hanno garantito una oggettiva stabilità sociale, ma anche una chiara sudditanza alla politica vaticana. Ovvio, l’italiano è stato per secoli costretto a servir mille padroni, altro che due come nella commedia di Goldoni. “Un italiano che si ritiene più furbo di tutti e riesce sempre a cavarsela, sempre fintamente pentito, lamentoso e arrogante, protagonista di melodrammi amorosi e dominato da un profondo scetticismo, superficiale a abituato a mentire”. La filosofia racchiusa nel lavoro di Giordano Bruno Guerri , chiaramente, può essere più o meno condivisa, ma certo offre argomento di riflessione nel momento storico che stiamo attraversando, rispetto alla presunta immutabilità dell’italico spirito.

Antistoria degli italiani, da Romolo a Giovanni Paolo II Book Cover Antistoria degli italiani, da Romolo a Giovanni Paolo II
Oscar Mondadori
Giordano Bruno Guerri
Storia
Mondadori
1997