Frantumi è un lavoro ambizioso. Un’opera che definisce il proprio campo d’azione, che costringe il linguaggio a fumetti a elaborare possibilità nuove proprio a partire dalle questioni che gli pone. La sceneggiatura mette tra parentesi, con un incipit e un epilogo, una “fuga”. Un frammento di tempo e spazio che si dilata e si deforma portando Mattia (protagonista della storia) in una dimensione misteriosa che è in definitiva il volano della storia, la scommessa del progetto.
Mattia è alla stazione Termini e sta chattando con la fidanzata Sofia. La loro relazione è attraversata da turbamenti di varia natura fra sentimenti trattenuti e frizioni irrisolte. Ci sono paure che filtrano le parole creando bolle di sospensione e improvvisi slanci. La comunicazione fra i due subisce censure preventive che ne precludono la fluidità come a evitare di affrontare questioni e coaguli in arrivo da lontano.
12 tavole di introduzione che accompagnano il lettore dentro la vicenda, che forniscono ai personaggi la giusta tridimensionalità. Sofia è malata e a quanto pare i risultati degli esami medici non sono dei migliori. Mattia e Sofia hanno paura delle parole. Quelle dette e quelle da dire. Quelle ascoltate e quelle da ascoltare. I due cancellano parole con altre parole come se la scelta di quelle giuste possa evitare che si materializzi il mostro. Come se le parole giuste siano la soluzione. La loro relazione è amore e paura. 12 tavole e il quadro è chiaro. Sia nelle circostanze che nelle dinamiche.
Le parole vere non sembrano quelle scelte, le parole scelte sembrano quelle che rimandano l’appuntamento con la verità, qualunque essa sia. L’amore e la malattia hanno generato una situazione che sta per deflagrare. La coscienza di Mattia va in frantumi soccombe per troppa tensione, troppo amore, troppo timore.
È la “chiamata all’avventura” che fa macerie del “mondo ordinario”.
Il “vediamoci che ti devo parlare” è il montante che manda ko qualsiasi innamorato insicuro. E Mattia è insicuro forse un insicuro cronico. Inoltre pare aver mangiato la foglia. Da cui la fuga. Bislacca e non prevista. Mattia subisce la fuga della sua coscienza senza averne contezza né controllo.
Il black out manda in frantumi la realtà che della coscienza è una delle due facce. Mattia, il nostro eroe, si ritrova in un mondo straordinario, post apocalittico, in frantumi, in cui personaggi a pezzi (in ogni senso) abitano luoghi distrutti. Sembra l’evocazione di quelle zone terremotate che purtroppo stanno depositando nel nostro immaginario parte del dramma che raccontano. Anche la memoria è in crisi. Come se la paura avesse cancellato la minaccia negandola, dimenticandola. Mattia ricorda chi sia ma non come e perché sia finito lì, la rimozione è stata radicale lasciando dei vuoti nella timeline. Oltretutto la nuova dimensione è assurda. Ermetica. Incredibile.
Fortuna vuole che Giovanni Masi abbia incontrato Rita Petruccioli perché lo spazio in cui si muove questo popolo di reduci è spezzettato, illogico, onirico, psicologico e paranoide. Rita declina il suo stile ormai riconoscibile e affermato per abbracciare le esigenze del plot. Campiture piatte, colori innaturali, equilibrio dinamico, un gusto pop e un tocco femminile d’inquieta eleganza che finisce per ammaliare, sospendere l’incredulità e placare le domande. Cosa? Ma? Chi? Quando? Perché? Domande che Petruccioli spazza via senza la necessità di fornire risposte.
In questa Roma dilaniata da un cataclisma misterioso, fortuna vuole che Mattia incontri il suo mentore, Laila.
Laila dissipa le iniziali ritrosie ad accettare il nuovo orizzonte di senso svelando alcuni dei misteri che attendono Mattia oltre la soglia che ha varcato. Ma se tutto è in frantumi lo è pure il senso ormai ridotto a brani, fra relatività e mistero.
Qui ognuno è solo. Solo e neanche intero. Ognuno ha delle ragioni inconfessabili, un percorso fatto e uno da fare. Ognuno ha la via di casa da ritrovare o da perdere definitivamente.
Qui non si chiede. Non si fraternizza. Non c’è empatia. Solo Solitudini e frantumi.
Come in ogni viaggio l’eroe incontra personaggi, supera prove, cade e si rialza. Guardiani e messaggeri, alleati e nemici, in un percorso che ha il dovere di muovere su più livelli. Quello letterale, quello metaforico/allegorico/simbolico, quello morale e quello metatestuale (tipicamente postmoderno) che sostituisce quello politico/sociale (moderno) che aveva a sua volta sostituito quello anagogico (medievale). Ma forse più che di sostituzione dovremmo parlare di assorbimento e di evoluzione.
Frantumi non è quindi solo un ottimo fumetto, ma una metafora di problematiche eterne declinate nelle attuali circostanze. La relazione come roccaforte del senso, come rifugio, antidoto della paura del buio, come presunta nemesi della solitudine, come percorso di resistenza culturale, come ricettacolo di profondità altrimenti negate da un’epoca che cerca di appiattire tutto su pose bidimensionali dove il desiderio ci uccide e ci rigenera ogni giorno lasciandoci soli e a pezzi. Ma la relazione è anche una panacea inflazionata che rischia di non reggere alla pressione, una fucina di paure che fagocita tutto, anche la verità. Frantumi è la ricerca di noi stessi, è una prova da superare per ritrovare interezza e memoria. Una tappa non una scusa. Il pezzo perso è ciò che dobbiamo cercare prima di tornare. Trovarlo è l’unico modo per meritarsi un ritorno a casa.
Frantumi è un testo che mette in crisi il fumetto certificandone specificità e grandezza. Solo un medium che ha un rapporto così peculiare con il tempo (inteso come tempo narrato e tempo di fruizione) poteva adattarsi ad un progetto che vede il suo sviluppo all’interno di una dimensione atemporale. Il fumetto non impone un ritmo ma lo suggerisce. Il fumetto non ha limiti di location, l’interpretazione di un ruolo o la recita di una parte sono questioni che non gli competono. I personaggi e la scena vivono un altro tempo e l’unico attore possibile è il lettore. Nel fumetto il cerchio viene chiuso a valle. Il livello di interazione è altissimo. Occorre mettere insieme un senso in un orizzonte obliquo, incastrato fra realtà e finzione che è già barlume o sindone di trascendenza. Mattia tornerà a casa. Laila tornerà a casa. Giovanni e Rita da una parte e il lettore dall’altra “saranno” l’eroe, il mentore, il cammino e la casa, personificando il mito e sperimentando l’arte dove forma e sostanza sono una sola inestricabile materia. In-frantumabile.
Puca Jeronimo Rojas Beccaglia: Vedo Frantumi come un avamposto. La qualità grafica e l’ardire del soggetto aprono sentieri poetici che mi auguro vengano battuti presto anche da altri. Lavorare in questo modo, cercando il giusto ritmo, il giusto segno per rendere la specificità del progetto è pericoloso perché non si hanno molti termini di paragone. Mi vengono in mente certi lavori di Lorenzo Mattotti o di Bastien Vives. Chi vi ha influenzato in questo lavoro? Per chi ha amato il vostro lavoro dove potrà cercare le fonti d’ispirazione di Frantumi?
Giovanni Masi: per quanto mi riguarda, Mattoti sicuramente. Vives invece praticamente nulla, almeno a livello cosciente. Asterios Polyp di Mazzucchelli è un libro a cui devo molto per Frantumi. E Cuore di Tenebra di Conrad, fondamentale per il detto/non detto
PJRB: Giovanni Masi, l’amore, il dolore e la paura sono i volani emotivi della storia. Con queste premesse il rischio del melodramma o del mattone emo erano dietro l’angolo. Chiaro che lo stile pop di Rita aiuta ma tu come hai evitato queste insidie e come hai virato il registro della storia partendo dalle premesse suddette?
Giovanni Masi: ho cercato solamente di rendere i personaggi “realistici” e che affrontassero le cose che gli capitavano, per quanto assurde potessero essere, come reali. Questo mi ha aiutato moltissimo a non scadere nel melò, anche se ovviamente speravo che il lettore si emozionasse leggendo alcune scene. Quindi diciamo che più che mettere in scena i sentimenti, ho cercato di fare appello a quelli del lettore per creare una connessione emotiva con i personaggi.
Fumetti
Bao Publishing
2017
128
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