Questo articolo è apparso originariamente sul blog letterario Zonadidisagio di Nicola Vacca che ringraziamo per averci autorizzato a ripubblicarlo. Nicola Vacca è scrittore, poeta e critico letterario. Una recensione al suo ultimo libro Lettere a Cioran, è apparsa anche su lottavo.it con il titolo Lettere a Cioran di Nicola Vacca. Una voce da ascoltare, ora più che mai
Toma, la voce profonda di un poeta
di Nicola Vacca
Salvatore Toma è una voce singolare e appartata della poesia italiana, passata su questa terra e troppo presto andata via. Un vero poeta del sud, salentino per l’esattezza, che ha squarciato il cuore maledetto delle parole e in un corpo a corpo quotidiano con la morte se ne è andato lasciando in eredità alla letteratura tutta la ribellione che si può trovare tra le pagine di una poesia estrema e maledetta.
Salvatore Toma in un certo senso è stato un poeta maledetto, uno scrittore di versi che era in assoluta disarmonia con la propria epoca.
Nell’imperfezione della solitudine, il poeta tranciava le parole, le soffocava sulla pagine agognando una grande esplosione che mandasse in frantumi ogni cosa.
La sua scrittura è tragicamente anarchica e anche quando si lascia ossessionare dal pensiero della morte, che per lui è l’unico modo di sentirsi vivo, è consapevole che le sue parole non hanno nulla da scontare all’esistente.
Di Salvatore Toma si continua a sapere molto poco. A trent’anni dalla sua morte la sua poesia è dinamite pura che non teme le conseguenze di tutte le sue deflagrazioni.
Sarebbe caduto completamente nel dimenticatoio se Maria Corti nel 1999 non avesse pubblicato nella collana bianca di Einaudi Canzoniere della morte, un’interessante antologia del poeta salentino scomparso in giovane età.
Maria Corti nella scelta dei testi ha colto la voce più profonda dell’io di un poeta maledetto.
Salvatore Toma era un poeta maledetto dei nostri giorni che nelle sue poesie non rinunciava alla naturalezza di essere se stesso.
In ogni verso il poeta cerca lo schianto della parole che deflagra perché egli stesso è una miccia corta pronta in ogni momento a esplodere.
La poesia di Salvatore Toma è un cerino sempre acceso che appicca incendi.
«La realtà di Toma – scrive Donato Valli – è immersa nella sua sera, un certo maledettismo che è tipico del Salento, degli artisti salentini della seconda metà del novecento, immersa nell’annientante malinconia, nella tenebra materna della morte, che ha l’azzurrità del mare. Questo annullamento di sé dà alla scrittura la leggerezza, la bellezza che tocca il culmine della labilità».
Toma porta in sé una dilaniante esplosione che trova nella poesia una forma autentica di espressione.
A essere autentico è soprattutto il poeta Salvatore Toma che a mani nude scava negli abissi della sua coscienza e che vive ogni giorno il suo personale terrore di essere poeta, un uomo che conosce cose orrende e per questo ride di tutto e con i piedi sulla terra fruga sempre alla ricerca del delirio totale.
Salvatore Toma, nato a Maglie nel 1951 e morto nel 1987, poeta che ha scavato la fossa alle parole, pronunciandole sempre senza alcun nascondimento e non preoccupandosi mai delle conseguenze del disastro.
«Ci sono poeti / che di vivere / fanno finta. / Ogni tanto aprono la bocca / e ti mostrano la lingua / per farti vedere / che oltre a parlare / sanno anche leccare. /Evviva il poeta! / evviva la sua canzone / di bestia in estinzione!».
Evviva Salvatore Toma, poeta che come pochi ha portato sulle spalle la croce della poesia e della vita.
Collezione di poesia
Poesia
Einaudi
1999
XI - 109
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