Il Cinema e la Storia
Cinquant’anni fa usciva “2001 : Odissea nello spazio” ed era il 1968
Un film può essere considerato documento storico? Si può vedere un film e leggere in trasparenza un’epoca, un evento, un fenomeno socio-politico, per altro complesso e discusso come fu il ’68? Chi scrive pensa di sì, pensa che l’arte e la letteratura siano veri strumenti interpretativi, come lo sono i fossili, che sono in grado di datare e descrivere le varie fasi della preistoria, o come lo sono i reperti archeologici, capaci di illustrare, e spiegare, le antiche civiltà.
D’altra parte ciò che chiamiamo “arte” è solo in una misura parziale il prodotto di un unico preciso artista, laddove gli eventi, in cui quell’opera d’arte è inscrivibile, costituiscono non solo il contesto che caratterizza quel prodotto, ma anche il sistema che dà significazione, e dunque senso, al prodotto artistico; il che comporta che nell’opera è certamente possibile rintracciare i nessi storici stessi o indiretti riferimenti ad essi.
Si pensi al capolavoro di Kubrick “2001: Odissea nello spazio”. Il film fu proiettato per la prima volta a Washington il 2 aprile del 1968 e il successivo mese di maggio in tutto il mondo. Si calcola che abbia incassato complessivamente oltre 140 milioni di dollari, l’incasso più alto di quell’anno. L’opera ebbe tre nomination all’Oscar per la miglior regia, sceneggiatura originale e per gli effetti speciali, ma vinse una sola statuetta per gli effetti speciali curati da Stanley Kubrick e Douglass Trumbull.
Chi potrebbe dire che è un film sul ‘68? Certamente non lo è… eppure può egualmente aiutarci a capire quel fenomeno controverso che è ancora oggi il ’68, proprio mentre ci si accinge a celebrarne il cinquantenario.
Enrico Ghezzi, noto soprattutto come inventore e curatore della rubrica televisiva “Blob”, ma critico cinematografico di straordinaria efficacia, considerato il “lettore” più attento di Kubrick, a cui ha dedicato opere importanti, scrive: “Il 1968 fu un anno memorabile. Il primo Giro vinto da Eddy Merckx, Beamon che a Città del Messico salta 8,90 in lungo, il Maggio, Praga. Inoltre, esce 2001: Odissea nello spazio; l’autore, Stanley Kubrick, ha quarant’anni (è nato il 26 luglio del 1928 a New York, quartiere del Bronx)”
Si osservi quella citazione rapida del “Maggio”: c’è dentro tutto un universo di fatti, di rivolte studentesche, di trasformazioni…
Ghezzi sa bene, come tutti voi e noi, che il film di Kubrick è stato, più e più volte, osservato e interpretato secondo parametri soprattutto scientifici, certamente secondo criteri estetici, o riferito anche alla storia della musica (La storica Space Oddity, una delle canzoni più belle del repertorio di David Bowie, non è un omaggio al lancio dell’Apollo 11 che avvenne nel 1969, come si è spesso ipotizzato. Smentendo una credenza diffusa, il compianto cantante dichiarò, infatti, che per scrivere la canzone si era invece ispirato a “2001: Odissea nello spazio”!); eppure è molto difficile immaginare una qualsiasi relazione tra il detto film e la rivoluzione giovanile di quell’anno…
Ma proviamo, comunque, a “leggere” il senso di “Odissea”: il film è un’opera tripartita, una specie di trittico nei cui capitoli si delineano episodi distanti nel tempo ma collegati tra loro; “L’Alba dell’uomo” è probabilmente l’episodio più noto e citato del film, sia per la famosa scena da antologia cinematografica dell’osso lanciato nello spazio che si trasforma nell’astronave dell’episodio successivo, sia perché rappresenta, in modalità mitico-narrativa, la teoria evoluzionistica, corretta in termini mistico-enigmatici e/o fantascientifici, per mezzo della presenza del monolito, che, di fatto, è il vero protagonista di tutta la pellicola. Il monolito, nero, lucido, squadrato, certamente non opera della natura, riformatta lo scimmione, trasformandolo in Homo habilis in grado di usare strumenti per il raggiungimento di precisi obiettivi, compreso l’attacco al nemico; l’episodio fece, e fa, discutere, a lungo sia sulle possibili origini del monolito, sia per eventuali raccordi con gli episodi successivi.
Nel secondo episodio “TMA-1”, il dottor Floyd (cognome non casuale:“Echoes”, la suite psichedelica dei Pink Floyd, sarebbe stata scritta per”Odissea” e comunque Roger Waters fu consultato da Kubrick per “Arancia meccanica” e oggi Echoes è protagonista di un mash-up leggendario: è nuova colonna sonora del film di Kubrick…), il dott. Floyd, dicevamo, viene mandato in missione sulla luna dove è stato individuato un altro monolito; la spedizione viene, però, interrotta perché si avverte insistentemente un inquietante, forte sibilo; diciotto mesi dopo viene organizzata una nuova impresa: vengono inviati su Giove , da cui Floyd ritiene che provenga il sibilo, cinque astronauti, di cui tre ibernati, che sono i tre che conoscono la vera destinazione e motivazione della spedizione; la vicenda (che è intitolata “Missione Giove”) si svolge a bordo dell’astronave Discovery One, con la supervisione del supercomputer HAL 9000, dotato di intelligenza artificiale . Il capitolo in questione è il nucleo narrativo centrale del film: in esso si verifica un impensabile errore di Hal, si assiste allo scollamento tra gli astronauti e Hal stesso, e si assiste soprattutto al tentativo del computer di salvare se stesso dalla disinstallazione a cui viene destinato dal pilota sopravvissuto ( l’altro viene ucciso da Hal, durante un’escursione extraveicolare, investito da una capsula, così come vengono eliminati i tre astronauti ibernati)
Ma dove il film diviene opera esteticamente straordinaria, nonché particolarmente criptica, è nell’ultimo capitolo, “Giove e oltre l’infinito”, nel quale l’astronauta sopravvissuto viene trasportato attraverso gorghi entropici in forma di ottaedri , con percorsi di tipo lisergico-psichedelici, fino a raggiungere una dimora settecentesca, di fredda eleganza, dove David, si osserva invecchiare e morire e poi trasformarsi in un enorme feto cosmico, il “Bambino-delle-Stelle”, “Star-Child”, che sembra osservare la terra dall’universo delle più lontane galassie.
E’ evidente che quella che chiamiamo trama del film risulta in questo caso, ma più o meno sempre nei film di Kubrick, scompaginata da un sistema spazio-temporale mutevole e disarticolato: lo Spazio è inizialmente il sistema solare, ma poi si proietta in galassie non ben definite e si richiude infine in una inquietante dimora barocca da cui nasce lo Star-child; il Tempo è quello della storia, a partire dall’epoca delle nostre origini, tre-quattro milioni di anni fa, che poi si sposta al 1999, anno della vicenda della missione sulla Luna e poi su Giove, fino a proiettarsi verso un futuro indefinibile, che Kubrick definisce “oltre l’infinito”.
Si tratta, dunque, di un complesso e indefinibile blocco spazio-temporale che corrisponde a tutta la nostra vicenda umana, passata, presente e futura, in cui Kubrick, recuperando il codice omerico, inserisce lo stereotipo del viaggio, ma non un viaggio qualsiasi, il “nostos” odissiaco, cioè il viaggio di ritorno. Chi ritorna indietro è, secondo l’autore del film, l’uomo che si è evoluto nell’individuo storico, capace di varie forme di violenza, anzi è piuttosto chiaro che per Kubrick la tecnologia stessa, che sostiene e produce i cambiamenti storici, è “violenza”, così come è chiarito nell’episodio di Hal, intelligenza artificiale capace di soffrire per la sua eliminazione, nonché di uccidere brutalmente per evitarla. Se il film inizia con il buio di un’eclissi, si conclude poi con la luce lattiginosa di un feto che rappresenta un’ipotetica rinascita: l’opera è, dunque, ricca di simbologie varie, alcune sono desunte dal patrimonio omerico: David Bowman, l’astronauta sopravvissuto, si scontra con Hal, ciclope il cui unico occhio è in maniera inquietante protagonista di un continuo osservare e spiare; quando David decide di disconnettere Hal, rientra nell’astronave- caverna e uccide e acceca il polifemo tecnologico, che gli avrebbe impedito la prosecuzione del viaggio; tuttavia David ( nome di evidente ascendenza biblica: anche Ulisse è un Davide che lotta contro Golia-Polifemo), il David di Kubrick, dicevamo, non approda alla confortante Itaca di Penelope da cui scacciare eroicamente i Proci, ma ad una reggia disabitata in cui si percepisce la fine dell’epoca evolutiva: che lo star-child sia l’oltre-uomo nietzschiano è opinione comune tra gli appassionati di Kubrick, per altro sostenuti in questo dal brano di Richard Strauss “Così parlò Zaratustra”, ripetuto nei momenti più significativi del film, con i suoi toni apocalittici da fine dell’uomo e dell’universo. Va ,tuttavia, precisato che Kubrick sembrerebbe utilizzarlo soprattutto in riferimento alla nota teoria nietzschiana dell’Eterno Ritorno, teoria certo di non facile interpretazione, ma da cui si può sicuramente mutuare il piano di circolarità semantica degli eventi storici: la storia sembra implicare una sorta di ritorno, il nostos odissiaco, alle origini, il “bambino delle stelle” ne è evidente citazione; la circolarità nel film è un vero fil rouge del film, per altro citato dall’altro brano musicale dell’altro Strauss, Johann Strauss, l’autore del “Bel Danubio blu”, che, quando affiora nel film , ci trascina nel vortice di una danza universale fatta di cerchi rapidi e armonici.
E armonica, pur nella sua spietatezza interpretativa, è l’immagine che della Storia ci offre Kubrick in “Odissea”:una Storia che dalla tibia lanciata( doveva essere un femore, come quello impugnato dallo scimmione) ci porta ad un ipotetico futuro fatto di anodine e igienizzate violenze, da cui si può uscire solo con una vera e fonda e sofferta rinascita…
Era proprio quanto nel ’68 pensavamo della storia, luogo di nefandezze e soprusi: i carri armati che uccidono la Primavera di Praga, la guerra in Vietnam dove non si utilizzano solo armi comuni ma veleni che distruggono esclusivamente l’uomo, lasciando intatto tutto il resto; il napalm ricorda i mezzi utilizzati sia da David che da Hal, mezzi che non spargono sangue… e se l’occhio di Hal ricorda quello del protagonista di Shining o quello di Alex in Arancia meccanica, o l’occhio di Nicole Kidman dell’ultimo film di Kubrick, quell’occhio è soprattutto quello quasi atterrito del bambino delle stelle, che guarda con sgomento la terra e quel mondo che è chiamato a rifondare .
Eravamo un po’ tutti noi Star-childs, quando scrutavamo il mondo che avevamo ereditato dalle precedenti generazioni; era un mondo che non ci piaceva affatto e che avremmo dovuto abitare e trasformare, tra la cinica e diffusa indifferenza degli adulti, un mondo il cui carico di violenze ci costringeva anche a patetici ritorni alla natura dei figli dei fiori, una natura pressoché sconosciuta, ma che ci sembrava assolutamente in linea con il ripristino di una vita meglio vissuta.
Che i giovani del ’68 siano riusciti nel ritorno alla purezza di un mitico passato è sicuramente discutibile, che Kubrick volesse sottendere tutto questo è sicuramente da escludere, ma un capolavoro come “Odissea” può e sa veicolare significati aggiunti e sottesi, esso si fa ad un certo punto portatore del mondo da cui è sortito, di cui risulta involontario osservatore. Ne deriva una stretta simbiosi tra Arte e Storia, di cui solo i geni come Kubrick sanno essere silenti tessitori.
Fantascienza
1968