Carmine Maffei (Avellino, 1981). Musicista, autore e compositore, fonda la rock band Inseedia con cui pubblica Oltre il Muro (2005) e Secrets From The Room (2007 - Nomadism Records). Nel 2008 dà vita al suo attuale progetto musicale, gli Ordita Trama. Nel 2010 esce il disco "Ordita Trama" e nel 2017 Basta Soltanto Resistere, oltre al singolo L'Ignoto Ideale (Label Music). Appassionato da sempre di letteratura, ama leggere e collezionare libri, soprattutto romanzi. Attratto da tutto ciò che significa "cultura", ha un debole indiscusso per gli scrittori. Vive a Solofra (AV) con la moglie e due bimbi. Lavora nel settore conciario. Collabora con L'Ottavo dal novembre 2017.

2017.
E’ vero. Quello che leggiamo quassù sembrerebbe acqua passata e quasi penseremmo che non ci appartenga più, ma intanto ci sarebbe da sottolineare qualcosa a riguardo, con un breve riassunto di un argomento che più e più volte nel corso dell’anno scorso è sembrato sfiorarci o addirittura sedurci.
Iniziando da qualcosa di più semplice, i Depeche Mode hanno portato in vetta alle classifiche il singolo Where’s the Revolution, tratto dall’ultimo album Spirit, nel cui videoclip, a un certo punto, vediamo i componenti della band sfoggiare lunghe e finte barbe bianche le quali, aggregandosi alla parola Revolution ci ricordano un certo signore, famoso filosofo ideatore di un pensiero politico.
Negli Stati Uniti d’America, in cui Donald Trump ha in maniera del tutto inaspettata, spesso discutibile, occupato la Stanza Ovale, prende di nuovo vita la parola Socialismo, termine che con frequenza ci siamo abituati già a sentire in tale ambito, quando in corsa alla Casa Bianca c’era il democratico dichiaratamente socialista Bernie Sanders, che alla fine ha dovuto, con pressione del presidente uscente Obama, lasciar spazio alla favorita del partito Hillary Clinton.
Ma il DSA, il partito dei socialisti democratici d’America, ha quadruplicato il numero degli iscritti, proprio quando è in carica un presidente che rappresenta in pieno la rivalsa di un sistema capitalistico in continua espansione, e questo significa davvero non poco.
Mi sono imbattuto, inoltre, in un romanzo concentrato in un piccolo paese di provincia, in Italia, in cui si enuncia la rottura con gli schemi politici di qualsiasi schieramento e la nascita di una città che avrebbe racchiuso tra le sua mura l’idea marxista di socialismo utopistico, distaccandosi però dagli errori di cui il PSI è responsabile, in primis tangentopoli, come se la nascita di tale realtà urbanista fosse pensata a una rivincita del pensiero politico così come inteso nelle sue idee di base, sorvolando la “scure dello scandalo che si abbatte su di esso”, per usare le parole della sua autrice.
Tale opera narrativa mi ha spinto a rileggere la preziosa introduzione di Umberto Eco a I Misteri di Parigi di Eugène Sue nell’edizione BUR di qualche anno fa, in cui è spiegato quanto questo romanzo francese da feuilleton, abbia dato vita a una forma di racconto che prima di tutto rispetti e fortemente risalti ciò che fino alla sua uscita il mondo dei romanzi ha quasi sempre ignorato: le problematiche delle classi meno abbienti e del popolo che lavora e che vive molto spesso in condizioni disumane.
Per la prima volta nella storia della letteratura il popolo si è trovato partecipe di un’opera che narra le condizioni precarie delle loro miserabili esistenze, dal cui filone prenderanno spunto Dumas e Hugo in Francia e Dickens in Gran Bretagna, per portare avanti quella logica socialista che difende le cause dei poveri, quasi a voler sostituire le leggi che hanno sempre tutelato coloro che sono ai vertici del potere, restituendo così dignità e valori alle loro tragiche storie affinché diventino manifesto culturale e sociale alla portata di tutti i lettori.

Sempre in Italia il giornalista Ezio Mauro, direttore de La Stampa dal 1992 al 1996 e poi de La Repubblica dal 1996 al 2016, ha scritto un importante saggio storico o meglio, un fedele reportage dei giorni in cui ha preso vita la teoria marxista-leninista prima a Pietrogrado, poi in tutta la sua immensa nazione: la Rivoluzione Russa.
Negli anni in cui è corrispondente da Mosca per La Repubblica, Ezio Mauro diventa un appassionato della storia del Paese in cui lavora e raccoglie diversi materiali d’archivio, testi, testimonianze, libri sulla Russia, soprattutto interessati al periodo della Rivoluzione d’Ottobre. Tale tesoro resterà custodito in maniera quasi maniacale, come un’autocondanna della sua ossessione, ancora per molti anni.
Un giorno però, proprio all’alba del centenario della Rivoluzione, decide di dare una svolta a tutto ciò che ha catturato la sua attenzione di quei momenti e decide di scrivere un reportage, a dir poco fedelissimo, redatto mese per mese del fatidico anno 1917: L’Anno del Ferro e del Fuoco (Feltrinelli).

Uscito a puntate su La Repubblica in tutto il 2017 e poi pubblicato integralmente, infine arricchito da una serie di DVD reperibili in edicola, il saggio parte dagli ultimi mesi del 1916. La fine di tale anno, infatti, corrisponde anche a quella del monaco santone Rasputin, contadino quasi analfabeta che però con il suo potere di manipolatore, oltre che sedicente guaritore, rapisce tutta l’attenzione della zarina Aleksandra che grazie a lui, per come almeno si possa credere alla leggenda, finalmente gli zar mettono al mondo il successore al trono, il tanto atteso e sfortunato principino Aleksej.
Ma Rasputin finisce per condizionare il potere decisionale della zarina che a sua volta trasmetterà la sua eco sulle mansioni del consorte Nikolaj II, zar di Russia, figurandosi al popolo come il più influente personaggio politico di una nazione che si sta avviando lentamente verso lo sfacelo economico, con tutte le problematiche circostanti. Si pensa così a un complotto e nel dicembre del 1916 il monaco viene assassinato per aiutare a restituire compattezza e lucidità ai poteri dei monarchi, i quali però, soprattutto la zarina, non accettano il brutale assassinio e pensano subito alle parole che il santone aveva rivolto agli illustri coniugi nel caso in cui si fosse attentato alla sua vita: la fine della dinastia dei Romanov.
Sembra infatti che tutto ciò si stia realmente avverando, sì, perché come avevamo anticipato, l’economia versa in uno stato catastrofico, con un costo della vita triplicato e con i salari agli operai che costituiscono una miseria rispetto al resto d’Europa; i prezzi dei generi di prima necessità che lievitano incredibilmente, il popolo che crede che ogni giorno sia l’ultimo per permettersi un pezzo di pane o di burro; il tutto sotto lo sguardo disinteressato dei monarchi, persi nel loro sfarzo e nella loro indifferenza.
Già dopo i moti del 1905 scoppiati alle officine Putilov, si era avviata una primissima rivolta, scatenatasi poi in rivoluzione, che però finirà con l’arresto o la fucilazione dei suoi ideatori, tra cui figuravano gli stessi futuri padri della Rivoluzione Lenin e Trotzkij, che però riuscirono a fuggire in esilio.
Ora però il pensiero di Marx ritorna e si fa coraggio tra la disperazione del popolo, che grazie innanzitutto all’iniziativa di un gruppo di coraggiose operaie, le stesse che insorgono per prime, con l’idea di risollevare gli animi dei consorti e degli uomini, nelle officine si staccano gli impianti e si scende in strada per la protesta, per lo sciopero, unendosi agli studenti, intonando la Marsigliese, gridando “Viva la Repubblica”, avendo tra gli obiettivi principali le sedi del lusso nei palazzi principeschi, dalla cui rivolta tutto si tramuterà in rivoluzione, in cui i disperati si accorgono di poter arrivare alle sedi del potere, addirittura conquistandolo, sfidando le armi spianate dell’esercito.
E proprio tra le milizie nel frattempo qualcosa inizia a cambiare: l’influenza del popolo accenderà la miccia degli ammutinamenti dei reparti che si aggregano alle famiglie, perciò alla rivolta. Nasce il Soviet, il potere operaio.
Intanto, da un vagone blindato e sorvegliato di un treno proveniente dall’Europa Occidentale, a Pietrogrado fa il suo trionfale ingresso Lenin, rimasto finora in esilio in Svizzera, e la sua primissima gloria resterà intatta per poco, perché sarà proprio quel treno che lo ha accompagnato finalmente in patria, che risulterà, agli occhi di chi crede alle autorità che condannano uno dei maggiori padri della Rivoluzione, come una maniera subdola di essersi “venduto” alla Germania che, in cambio di una traversata segretissima dell’Europa, avrebbe con lui stipulato degli accordi per garantirsi favoritismi e vantaggi durante la Grande Guerra.
Sarà invece la figura del ministro Kerenskij, tra i teorici del presunto complotto del treno di Lenin, a prevalere sulle nuove direttive del paese, che vedrà in lui l’uomo forte, belligerante, che prevede, con le sue manie napoleoniche, di risollevare gli animi di una nascente repubblica attraverso una politica espansionistica e di garantirsi attraverso la buona riuscita delle vittorie dell’esercito la fiducia del popolo.
Ma i conflitti militari si dimostrano un insuccesso e con il “malcontento dei contadini, la deriva dei soldati in rotta gonfiavano di nevrosi Pietrogrado, una città irreale…” il governo di Kerenskij man mano perde terreno, favorendo il riavvicinamento di Lenin, che si ricongiunge a Trotskij, ritornato anch’egli da un lungo esilio che lo ha tenuto lontano fin dal 1905, e i due studiano il modo di combattere la contro-rivoluzione che sta portando il paese a un sistema burocratico non previsto nelle teorie socialiste di Marx.
Mentre l’intellighenzia russa scopre con orrore la realtà di una libera licenza poetica in cui non si riconosce e che in epoca zarista quasi non sarebbe esistita, ad esempio costringendo al suicidio il giovane poeta Majakovskij, il popolo ripone piena fiducia in Lenin e Trotskij e con esso arriva il favore delle caserme, che si oppongono alle direttive di un governo in via di sfacelo, e si riorganizza attraverso la tattica degli spegnimenti di tutti i cuori pulsanti dell’energia della città, puntando, ad esempio alle centrali elettriche, alle fognature, al telefono, al telegrafo, alle stazioni, alle caserme, alle banche, alle poste, creando un black out generico paralizzando la città nelle sue fonti principali al funzionamento, spingendo tutti i funzionari fuori dai suddetti contesti, favorendo quindi la loro presa.
Con essa il 25 ottobre 1917 anche la conquista del Palazzo d’Inverno, ex dimora zarista, ora sede centrale del governo e al giorno d’oggi Museo dell’Hermitage.
La Rivoluzione bolscevica arriva ai vertici del potere ma, per quanto durante le ultime rivolte sia stato sparso molto sangue, come in tutte le guerre civili, non risparmia le vite della famiglia Romanov, gli ex monarchi, che il 17 luglio 1918 vengono terribilmente massacrati, fatti a pezzi, bruciati e seppelliti come bestie nella foresta di Ganina Jama, la loro tomba segreta fino al 1979.
A parere di Ezio Mauro, come di chi scrive, questo brutale assassinio fu la miccia che fece esplodere l’auto-condanna ai successivi decenni di sangue e terrore, principale strumento del totalitarismo che nacque di lì a poco, con le esecuzioni, gli esili, i gulag, le torture durante il periodo del successore Stalin.

Quindi eccoci al 2018.
E non si può non pensare al centenario del massacro dei Romanov, all’anniversario della fine del primo conflitto mondiale, come del cinquantenario delle rivolte del ’68, le quali, ritornando a un’idea di utopia socialista, ricompongono gli ideali marxisti-leninisti, degenerandosi soltanto nella propria fattispecie.
Come sarebbe possibile continuare la nostra ricerca nello studio della Rivoluzione bolscevica e la nascita dell’Unione Sovietica?
La risposta più appropriata ai quesiti che potremmo porci alla fine del libro di Ezio Mauro arriva leggendo, come un sequel, la stupefacente e coraggiosa opera di Victor Serge Da Lenin a Stalin (Bollati Boringhieri, nella traduzione di Di Giliomaria S.).

Serge è stato uno dei principali intellettuali con forti ideali leninisti anche durante il periodo di Stalin. Nato a Città del Messico e figlio di un esule russo, ritorna in patria allo scoppio della Rivoluzione a cui partecipa attivamente divenendone personaggio politico. Alla morte di Lenin (1924) segue l’ideale di Trotskij ma, siccome quest’ultimo è visto come il principale nemico del nascente governo stalinista, viene arrestato e esiliato in Siberia, poi fugge a Parigi, dove viene messo sotto tutela dalla società intellettuale francese.
Qui continua la sua lotta continuando a scrivere, soprattutto, denunciando le ingiustizie che si svolgono nella sua Russia, divenendo autore di diversi importanti saggi/testimonianze, tra cui Memorie di un rivoluzionario, e un romanzo simbolo degli ideali socialisti contro il regime: Il caso Tulaev, uscito postumo nel 1948.
La sua tregua dura poco in Francia, perché con le persecuzioni e l’invasione dei nazisti, sarà costretto a fuggire, rifugiandosi di nuovo a Città del Messico dove morirà di stenti.
La memoria di Victor Serge è la prova bruciante della nostra ipocrisia dice David Bidussa nell’introduzione, spiegando le ovvie motivazioni per cui l’intellettuale russo sia valutato oggi come una delle figure più importanti del secolo scorso, quelle che non si sono sottomesse al terrore per continuare semplicemente a vivere della propria arte, della propria scrittura.
Nonostante ciò, è impensabile che una figura storica e intellettuale di tale spessore si stia dimenticando, probabilmente offuscato dall’ombra maestosa di un George Orwell o di un Albert Camus, che a loro volta hanno prodotto opere impegnate a diffondere una presa di coscienza collettiva contro i totalitarismi.
La testimonianza di Serge parte descrivendo l’insudiciamento del denaro, principale fautore di una regime capitalistico, non proprio coerente con i primordiali ideali della Rivoluzione; delle attività burocratiche, di una società in declino morale dove ci si ubriaca e si gioca, dove le principali mansioni del governo sono nelle mani di funzionari corrotti; dove la ricchezza crea un margine sempre più marcato tra la realtà contadina, principale forza degli ideali leninisti, e i grossi commercianti speculatori, oltre che i politici ai vertici del potere.
Nascondendo così il testamento spirituale del defunto Lenin, dove sarebbe descritta l’incapacità di Josif Stalin nel portare avanti gli ideali della Rivoluzione, non si fa altro che rafforzarlo, quando il capo del regime nasconde le notizie che non potrebbero avere la giusta importanza nella risoluzione a un governo che ispiri fiducia ai posteri, contraffacendo i suoi discorsi, i suoi scritti, così come ci avrebbe anche testimoniato, in forma romanzesca, l’inglese Orwell con il suo Grande Fratello in 1984, opera incredibilmente realista quanto profetica.
Dalla democrazia operaia dei Soviet, cuore della Rivoluzione, si arriva a una dittatura del segretario generale della nascente Unione Sovietica; da una lotta condotta da ideali marxisti si giunge a una gerarchia di uffici tiranni a cui si sottopone l’ obbedienza dei carrieristi; tutti i maggiori idealisti del pensiero socialista sono in esilio, tra cui lo stesso Serge; i colcoz, ossia la proprietà di contadini annessa alle leggi dello Stato, si schierano contro gli oppositori dello stesso contesto operaio, i kulak.
Scrive Serge: Dal 1930 basta essere sospettato per essere perseguito.
Questa è la giusta introduzione alla comprensione di una tirannia quasi senza precedenti, dove si mette in mostra la costante paura del dittatore nei confronti del suo popolo, in cui molto spesso sembrerebbe più pericoloso la quantità di individui, oltre che le idee, per rafforzare e mettere in pratica una rivolta.
Quindi la Russia diventa il Paese con il maggior numero di campi di concentramento, oltre che di prigioni. Basterebbe infatti solo aver preso parte, in passato, a delle coalizioni leniniste, ancor prima del nuovo governo, che si rischia il carcere o l’esilio; nella maniera di come possa essere trattato uno dei peggiori fuorilegge, di notte, si viene caricati su un camion si viene trasportati verso un luogo che sia il più lontano possibile dai futuri contatti che tali individui potrebbero instaurare per capovolgere le regole. Di questi alcuni scompariranno per sempre.

Concludendo, la Rivoluzione Russa ha sì messo in pratica ciò che il pensiero socialista ottocentesco ha soltanto teorizzato, effettuando, molto spesso a spese delle proprie vite, importantissimi cambiamenti nella tutela di chi ogni giorno lavora, mettendoci sacrificio, forza, lavoro, impegno, per cui non sempre sarebbero stati riconosciuti i giusti diritti, ma probabilmente esasperando il pensiero stesso, credendo fermamente che sarebbe stata possibile una dittatura proletaria, quest’ultima però schiacciata, qualche anno dopo, dal macigno di chi aspira al potere per arrivare a fini di piaceri e favori personali, realizzandosi in una carriera che porti a un successo, possibilmente con mezzi egoistici, oltre che egocentrici.
Nella frenesia dei giorni nostri, in cui tutto o niente può sembrare una lotta, ci si butta nella mischia a spallate, e così come si possa correre il rischio di prendere una botta dal prossimo, allo stesso modo ci impegniamo a infierirne altre a chi potrebbe permettersi di ostacolarci nei nostri obiettivi, a scopo benefico della propria persona. Il Socialismo perciò nasce, si concretizza e resta un’utopia, un modo come un altro per acquistare la fiducia di chi è d’accordo in tale pensiero collettivo il quale però, assaporato il successo che tale fine potrebbe prevedere, perde di vista le teorie, mettendo in pratica la successione di chi prima ancora ha usufruito delle alte schiere, tra i vertici del potere.
Ritornando al principio del nostro discorso, varrebbe davvero la pena ripetere la domanda che si sono posti i Depeche Mode: Where’s the Revolution?