Fuori le donne da Palazzo dei Priori è l’ultimo libro del giornalista Luciano Costantini e chi avrà modo di leggerlo troverà confermate le sue doti di narratore che già aveva messo in luce con il suo precedente Il giorno che accecai il Duce, sempre pubblicato da Sette Città Edizioni. Qui, come allora, Costantini si concentra su un aspetto della storia di Viterbo e del viterbese con la meticolosità dello storico per passione e la capacità di racconto del giornalista di professione.
Il libro, dal titolo provocatorio, ci racconta i febbrili mesi che vanno dalla Liberazione al 1947. Mesi in cui la città si trovò ad affrontare la difficile questione della ricostruzione. In queste pagine, basate su documentazioni di archivio e delibere, ci addentriamo nei meandri di ciò che sembra un paradosso ma non lo è; e cioè il fatto che, a bocce ferme, la ricostruzione spesso si dimostra più complessa della guerra che, con la sua criminale ma semplice logica di distruzione, è molto più lineare di quanto possa essere rimettere tutto in piedi.
Perché a Viterbo, come sicuramente altrove, non si è trattato solo di spazzare le macerie e ricostruire la città (pesantemente colpita sia in termini di edifici sia in termini di vittime) ma soprattutto di ricostruire un tessuto sociale, una comunità. E di farlo in tempi brevi, tenendo inevitabilmente conto di difficili equilibri politici e l’atavico male italico delle speculazioni e dei raggiri.
Luciano Costantini è davvero molto bravo nel condurci per mano tra documentazione storica che diventa non solo narrazione ma interessante spaccato di un clima culturale che va comunque contestualizzato. A partire dal titolo che nella sua provocatorietà trova, in ogni caso, una spiegazione appunto culturale. Fuori le donne da Palazzo dei Priori si riferisce ad una delibera del 22 ottobre 1944, sollecitata da una lettera prefettizia in cui si comunicava un “suggerimento” del Comitato di Liberazione, di licenziare appunto il personale femminile per venire incontro alle esigenze economiche del comune. Un provvedimento forse oggi impensabile ma che rientrava, appunto, in una cultura dell’epoca, ancora impastoiata da pregiudizi, luoghi comuni e ruoli ben definiti. In un momento in cui era necessario dare un lavoro al capofamiglia, dovevano essere sacrificate le donne la cui posizione nella società era ancora fatta coincidere con il ruolo della casalinga. Un provvedimento che fa certo gridare vendetta ma che, se ci si pensa bene, la nostra epoca non può certo guardare dall’alto al basso visto che, oggi, le donne più che fatte uscire dai palazzi, spesso non vengono proprio fatte entrare.
Un libro che davvero si legge con interesse e che ci mostra, in un certo senso, una Viterbo “laboratorio politico” di ciò che accadeva a livello nazionale, con la discesa in campo di forze politiche contrapposte che chiedevano spazio e con interessi privati che, in questi spazi, cercavano se non di speculare, almeno di battere cassa. Eppure ciò che ci viene raccontato, anche attraverso episodi buffi e misteriosi (come la sparizione di alcune opere d’arte o del piano regolatore) è uno spaccato di storia viterbese e di indubbia capacità amministrativa degli uomini chiamati a governare la transizione tra guerra e fine delle ostilità, che dovettero trovare un equilibrio non facile tra esigenze di tagliare con il passato, garantendo comunque continuità al funzionamento della macchina amministrativa, e pensare in modo lungimirante per il futuro di Viterbo. Interessante al riguardo ciò che Costantini racconta dei tentativi di epurazione delle persone coinvolte con il regime fascista.
E tutto mentre si doveva ricostruire l’apparato fognario e quello viario, ridare fiato alle casse comunali tenendo conto comunque dell’aumento del costo della vita; ricostruire insomma quelle trame di normalità nell’emergenza data proprio dalla fine delle ostilità. Perché, spesso, è con le bocce improvvisamente ferme che si capisce quanto sia difficile proseguire. Un libro che davvero dovrebbe essere letto anche come manuale di politica per capire la sottile differenza tra governare nell’emergenza e il creare l’emergenza per governare. Davvero un testo interessante e non solo per chi vive a Viterbo o sia curioso della sua storia. Ad arricchire il testo, un bellissimo apparato fotografico
Storia
Sette Città
2018
117