Difficile trovare parole più precise di quelle usate da Gesualdo Bufalino (e usate in questo libro come esergo) per definire cosa siano gli scacchi: “Perché gli scacchi non sono semplicemente un gioco. Sono guerra, teatro e morte. Cioè, tutt’intera, la vita.” E questo libro di Fabio Stassi, La rivincita di Capablanca, è la perfetta versione romanzata della verità espressa così bene dal grande scrittore siciliano. In questo libro, suddiviso in 64 brevi capitoli, 64 caselle proprio come una scacchiera, viene ricostruita la vita di Josè Raùl Capablanca, uno dei più grandi scacchisti di tutti i tempi. Ma non solo. In questo testo c’è molto di più, c’è, appunto, tutta intera la vita.
Il tema degli scacchi è qualcosa che si è sempre ben prestato, in letteratura, ad essere utilizzato per raccontare altro. Tra pedoni, regine, re, cavalli e alfieri, si è sempre trovata a suo agio la narrazione di nevrosi, vendette, odi, aperture e chiusure che sono il motore ardente dell’esistenza umana. Scacchiera politica, scacchiera bellica, scacchiera amorosa sono espressioni tanto usate quanto quasi ormai prive del profondo significato metaforico di cui sono portatrici. Basterebbe riprendere in mano testi quali La novella degli scacchi di Stefan Zweig, La variante di Luneburg di Paolo Maurensig, La difesa di Luzin di Vladimir Nabokov per ricordarsi come ogni storia che abbia a che fare con gli scacchi sia, sempre, la storia di qualcosa d’altro, pretesto per imbastire storie che conducono, immediatamente, altrove, oltre una scacchiera seppure sempre con la precisione matematica e poetica di quelle mitiche sessantaquattro caselle bianche e nere.
E anche in questo testo, La rivincita di Capablanca, è così. Una vicenda che ha il sapore della tragedia greca e il fuoco sommerso di alcune pagine di Dostoevsky, il profumo dei vicoli e degli edifici colorati e scrostati di Cuba e l’eco del nazismo. Con una principessa russa che, proprio come la regina degli scacchi, diventa il fulcro della tenzone (scacchistica e amorosa) di due uomini per cui gli scacchi sono tutto.
In un continuo andare e venire nel tempo, con un’apertura di racconto che ci ritroviamo anche in chiusura, proprio come in una partita di scacchi, veniamo condotti nella storia di Capablanca, straordinario talento, tra vittorie (tante) e sconfitte (poche ma brucianti) campione del mondo a soli ventitré anni, tra ascese e cadute, rivincite e vendette, in parallelo al suo avversario/specchio, il russo Aleksandr Aljechin. E la loro storia diventa la storia di una intera epoca storica, di una geografia di mosse scacchistiche e umane di grande potenza anche narrativa. Stassi, in questo libro, è particolarmente abile nel modulare stili e ritmi narrativi con una precisione che ci scaraventa, a tratti nel calore sensuale della letteratura sudamericana e a tratti in quella più trattenuta ma tragicamente passionale della letteratura russa.
Gli scacchi come metafora e teatro di altre guerre, altri scenari di odio politica: “Lui vi era descritto come il naturale discendente di una classe parassitaria e pusillanime che, secoli prima, aveva abbandonato l’Europa in cerca di fortuna nei climi caldi dei tropici. […] Anche sua madre doveva essersi di certo coricata con un negro. Il gioco di Capablanca ne era la prova. Uno schema difensivo a oltranza.“ Un torneo come la vita e viceversa. Gli scacchi sono ovunque. Anche sulle mappe geopolitiche e antropologiche.
Un libro, questo, in cui Stassi, proprio come gli scacchi, racconta anche “mentendo”, inventando che poi, in un certo senso, è lo stesso. Lasciando che il verosimile prenda il posto di una verità mutilata quindi inutile. Che la storia di Capablanca qui sia romanzata ha davvero poca importanza nella verità del racconto. Proprio come negli scacchi in cui è tutta questione di “tempo e posizione”, di avere i neri o i bianchi: ”Nessuno poteva sapere quale volto celasse la visiera nera degli alfieri.” E questa è filosofia: “Tempo e Posizione.[…] Dall’unione di queste due divinità deriva la coerenza e l’esito di una partita. La sua aromina.” E l’armonia, come l’equilibrio, disturbano perché presuppongono un bilico: “[…] manovre che somigliano così fedelmente all’illogica violenza della vita.”
In questo libro la storia di Capablanca e del suo mitologico avversario Aljechin diventano il modo con cui la vita, come gli scacchi, ci mettano spesso davanti all’evidenza dell’importanza e inevitabilità dell’immedesimazione con ciò che chiamiamo avversario. Ci si immedesima con l’altro giocatore in un gioco di specchi, nell’illusione di conoscersi. Per scoprire poi che si gioca sempre da soli.”Voleva vedere con i suoi occhi quello che aveva visto Aljechin. Perdere l’umanità che aveva perduto. Era l’unico modo per affrontarlo.” Capablanca, nelle parole di Stassi, ha davvero l’aspetto di un eroe tragico. Pronto a morire per la sua idea, per esalare l’ultimo respiro vincendo o per cancellare l’onta della sconfitta con la morte. Proprio come quei pezzi di legno bianchi e neri che si muovono chissà se con il libero arbitrio o con la necessità deterministica. Gli scacchi come Dio? Il pensiero arriva, leggendo queste pagine: “Cambiare natura. Raggiungere l’ottava traversa. Non rassegnarsi all’infelicità del proprio stato. La chiave di tutto era nell’ansia di una metamorfosi, nel sono dei pedoni di diventare regine.”
Narrativa, biografia romanzata
minimum fax
2015 nell'edizione tascabili Mini
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