Nell’Introduzione al suo volume Autori in scena. Sei drammaturgie italiane contemporanee, Tiberia de Matteis fa una constatazione incontrovertibile: “Il pregiudizio sulla crisi poetica della drammaturgia italiana contemporanea affligge gli autori e costituisce un alibi vantaggioso per il sistema produttivo che non vuole assumersi il rischio di finanziare allestimenti di opere inedite”. Nonostante questo pregiudizio, prescindendo da visioni pessimistiche, il panorama teatrale italiano contemporaneo, tra molte difficoltà, testimonia che è ancora possibile una drammaturgia di qualità, capace di affrontare i temi più delicati del nostro tempo, rendendo vitale e necessario il ruolo del Teatro. Ci sono autori coraggiosi che hanno avviato un percorso volto a ricercare la necessità di consapevolezza che presiede all’arte della scena, ad approfondire il valore del sapere antico affinché possa rifiorire dalla sua capacità di rinnovamento e di rinascita. Tra quanti lavorano in prima linea, animati dall’esigenza di rimettere il Teatro al centro della vita civile, troviamo Ruggero Cappuccio. Traccio un profilo di questo protagonista della scena teatrale italiana, evidenziando alcuni aspetti più interessanti della sua attività ripartita tra impegno culturale e sociale.
Personalità poliedrica, Ruggero Cappuccio è autore, drammaturgo, attore, sceneggiatore, regista teatrale e d’opera, scrittore: è stato finalista al Premio Strega 2008 con La notte dei due silenzi. Storia d’amore al tempo del Regno delle Due Sicilie edito da Selleria e ha vinto il Premio Napoli 2011 con Fuoco su Napoli edito da Feltrinelli.
Attualmente è impegnato come autore, interprete e regista in una produzione del Teatro Stabile di Napoli, Circus Don Chisciotte, una riscrittura visionaria del Don Chisciotte della Mancia di Cervantes. Il protagonista è Michele Cervante, ex professore universitario che ha vissuto dolenti e traumatiche vicende familiari e sociali. Girovaga ai limiti del barbonismo, trascinando con sé alcune centinaia di libri. Rivendica una discendenza di sogni, pensieri, una capacità rivoluzionaria, da Miguel de Cervantes transitato a Napoli nel 1575. Attorno a lui si muove un variegato gruppo di emarginati che ha abbracciato la sua stessa dimensione irrazionale della vita. Insieme combattono una rivoluzione pacifica che mira alla riumanizzazione del mondo confidando nel potere dei libri, avamposti della civiltà contro l’avanzata della tecnologia globale e la centralità dei poteri economici, nemici dell’essenza spirituale dell’umanità.
Cappuccio è molto attento all’uso della lingua: in questo suo ultimo lavoro, alterna il napoletano antico al siciliano, il triestino al veneziano, strumenti raffinati con cui crea sinfonie teatrali, grammatiche espressive, gestuali e fonetiche pregevoli. D’altronde come ha affermato più volte, la parola Teatro non si legge, si ascolta. Dice di lui l’attore Roberto Herlitzka: “Scrive usando la lingua come una materia prima, come un’essenza del Teatro, scavando profondamente tra le coltri del lessico e proponendo parole incisive”. Conosce profondamente e valorizza ogni rapporto con la tradizione, un elemento del passato in grado di provocare il presente e rinnovarlo.
Tra i tanti lavori che costellano il curriculum di Ruggero Cappuccio, voglio segnalare la docu-fiction Paolo Borsellino. Essendo stato, andata in onda su Rai Storia e Rai 1 per il ventiquattresimo anniversario della strage di via D’Amelio. Inizialmente scritto per Massimo De Francovich, Essendo stato è un sorta di diario immaginario della vita di Paolo Borsellino, in cui ricostruisce gli aspetti più importanti della sua vita di magistrato, della sua vita privata e spirituale. Il testo, approvato anche da Agnese Borsellino e letto in scena da numerosi magistrati, affronta tematiche delicate come la trattativa Stato-mafia ed evidenzia la solitudine e l’emarginazione subita da Borsellino. In tal senso sono paradigmatici gli estratti dell’audizione di Borsellino, resa il 31 luglio 1988 davanti al Consiglio Superiore della Magistratura che lo accusava, insieme a Falcone, di aver dichiarato pubblicamente in alcune interviste che lo Stato non li sosteneva adeguatamente nella lotta contro la mafia. Borsellino e Falcone hanno rischiato provvedimenti disciplinari per aver detto la verità. Un paradosso.
Ruggero Cappuccio dirige il raffinato Festival Segreti d’autore a Serramezzana nel Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. La rassegna, che si tiene in piena estate, si articola in spettacoli, proiezioni, incontri ragionati, in cui l’autore, il regista, il compositore, si raccontano, dialogano con il pubblico sul significato, sul modo in cui interpretano il loro lavoro nell’arco della loro vita artistica, sul lavoro sotteso al risultato finale. Il festival si concentra sul tema della natura della legalità e della legalità della natura, sul rapporto tra uomini, tra uomo e natura perché la legalità è concetto che riporta agli elementi dell’armonia.
Dal 2016 è direttore artistico del Napoli Teatro Festival, rassegna di levatura internazionale giunta alla sua undicesima edizione. Questo festival persegue un processo di valorizzazione dei beni architettonici e paesaggistici non solo di Napoli, definita il Teatro che contiene i Teatri, ma dell’intera Campania; sostiene associazioni, volontari, le cooperative sociali che operano sul territorio, concertando con esse azioni concrete che vanno dalla formazione alla realizzazione di progetti condivisi, fino al crowdfunding. Più volte Cappuccio ha denunciato l’esistenza di un interesse politico volto a fornire al pubblico un’idea di intrattenimento senza crescita culturale; sotto la sua guida il festival disattende l’imperativo globalizzante odierno secondo il quale bisogna abbassare il livello dell’arte al pubblico, affermando invece la necessità di elevare il livello del pubblico ad un livello di arte. Proprio per favorire questa crescita, nell’ambito del Napoli Teatro Festival, punta sulla formazione dei giovani attori italiani attraverso il lavoro di maestri eccellenti come Peter Brook, Nekrosius, Janežic, Eugenio Barba, stimolando l’incontro tra linguaggi e generazioni, unite nella vitale trasmissione di conoscenze.
L’organizzazione del festival si radica, infine, intorno ad un quesito fondamentale posto da Cappuccio: in Italia, la cultura interessa alle persone che hanno una limitata disposizione economica? La risposta è affermativa. Si favorisce allora la partecipazione del pubblico attraverso un’oculata politica di prezzi con biglietti popolari (da 8 a 5 euro) e agevolazioni assolute per le fasce sociali più deboli. Il Teatro non deve più considerarsi un sacrario che incute pudore, rispetto, sospetto su ciò che accade al proprio interno. Il Napoli Teatro Festival si propone come un festival popolare, senza confondere tuttavia la parola popolare con le leggi del consenso.