Questo articolo è tratto dal libro di Nicola Vacca Sguardi da Novecento, uscito per Galaad Edizione nel 2014. Un testo in cui tutto l’acume critico di Nicola Vacca trova il suo apice, non solo riportando l’attenzione su un secolo da cui non si può prescindere e che, invece, troppo spesso si dimentica, ma soprattutto concentrandosi su una serie di figure di intellettuali irregolari. Tanto irregolari da non avere mai accettato il compromesso con i luoghi comuni dell’epoca, pagando per questo in termini se non di assoluto isolamento, certamente in termini di “incomprensione” della loro opera
Che noia tutti questi intellettualini da salotto
«Mai leggere i critici: solo gli autori. Tutta la critica ha qualcosa del tema in classe. È pedante e vuole essere più intelligente di quel che è. In effetti ho notato che quasi tutti questi somari che scrivono recensioni sforzano la loro intelligenza e vorrebbero invece far credere che essa produce idee senza fatica, come inavvertitamente. Ma quanto è tutto laborioso e pretenzioso! Dobbiamo restare al di sotto delle nostre possibilità e delle nostre doti: è l’unico modo di mantenere un po’ di decenza.»
(Emil Cioran – Cahiers 1957-1972 )
I critici letterari indossano gli abiti da intellettualini da salotto e spadroneggiano, con la complicità di un sistema editoriale corrotto, per mettere in atto operazioni di mistificazione che nulla hanno a che fare con la vera letteratura. A questo da molto tempo è ridotto il mondo della critica letteraria. Pochi sono i critici impuri ancora impegnati sull’essenza dell’opera piuttosto che su tutto quello di marginale e superfluo che gravita intorno a essa. Molti, purtroppo, i servi sciocchi al servizio di poteri culturali. La critica letteraria è morta. Direi che i funerali sono stati celebrati.
Dalle nostre parti assistiamo spesso alle polemiche colte delle firme prestigiose del giornalismo culturale che si interrogano, in apparenza, sulla brutta fine che ha fatto la critica letteraria.
Qui, però, il narcisismo va terribilmente di moda. Le prime donne del giornalismo culturale italiano intervengono sul tema della fine della critica letteraria soltanto per regolare i conti con un loro illustre collega. Cosi leggiamo paginate intere di digressioni sterili(Corriere della Sera e Repubblica detengono ovviamente il primato) che non hanno come tema la sorte del libro. In questi interventi inutili il critico letterario si preoccupa soltanto di demolire il collega scatenando una reazione a catena. Così arriva la replica e poi la controreplica. Che noia.
La critica letteraria italiana non vive un periodo felice. Ma i suoi assassini sono i critici letterari stessi, troppo pieni di sé che non hanno nessuna intenzione di rinunciare alla loro arroganza culturale e soprattutto esercitano quel mestiere per trarre da esso vantaggi personali.
Il critico letterario di una volta recensiva libri non per procurarsi potere, non per compiacere alcune case editrici, o fare il ruffiano con il libro scritto da un amico. Il recensore di un altro tempo parlava di libri perché li amava.
Oggi c’è una logica interna al sistema editoriale che è terribile.
C’è un filo perverso di complicità tra gli uffici stampa delle case editrici più note e i recensori che vanno per la maggiore. Insieme decidono cosa recensire e cosa far diventare un caso letterario. Quasi sempre ad avere un successo mediatico sono libri che non valgono nulla. Basti pensare al primo romanzo di Alessandro Piperno che ha avuto recensioni servili ancora prima che arrivasse in libreria. O l’immeritato successo de La solitudine dei numeri primi, libro sovrastimato dalla critica letteraria, che qui ha messo in campo tutto il suo conformismo e ha dato il peggio di sé.
Il critico letterario, più che un attento osservatore delle tendenze culturali, si dimostra un perfetto conoscitore di strategie di marketing editoriale. Si prostituisce facilmente agli interessi di mercato delle solite case editrici, diventato il portavoce sulla carta stampata degli uffici stampa.
La critica letteraria è morta perché il recensore è un conformista che non ha nessuna intenzione di sottrarsi agli schemi del politicamente corretto: preferisce rinunciare al coraggio di osare perché soltanto così può essere riconosciuto come un essere che detiene una fetta di potere e visibilità.
Non ci sono più i critici letterari che scoprono giovani talenti, magari avendo il coraggio di segnalare anche piccoli editori.
La critica non può essere promozione, e i recensori non possono essere agenti di commercio. Dovrebbero essere per i lettori guide scrupolose e attente.
Invece questo accade. Il critico letterario sposa l’insincerità, ne fa un cavallo di battaglia, scrivendo recensioni lusinghiere per libri che non andrebbero nemmeno pubblicati.
La nostra cultura ha più che mai bisogno di critici corsari e emotivi che sappiano rivendicare le ragioni della letteratura – che sono appunto quelle della vita.
La critica letteraria è defunta. Lo sanno benissimo i recensori che si prostituiscono al mercato. Così si uccidono le pagine culturali e si ferisce a morte il libro. Che gran piacere si prova nell’ inventare falsi capolavori di cui parlano tutti. Il mercato è tutto, il libro no. Anche nella cultura il vuoto è di scena. E i recensori hanno scoperto che è pure redditizio-
Nicola Vacca
Critica letteraria
Galaad Edizioni
2014
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