Modigliani – l’ultimo romantico – di Corrado Augias
Modì le maudit
di Carmine Maffei
Nel 1984 Livorno è pronta per il centenario della nascita del suo Cigno, del suo artista per eccellenza, di colui che ha le ha donato la giusta ricompensa in maniera artistica e che grazie a lui integra il turismo per un’ovvia occasione: Amedeo Modigliani.
Sì ma non è tutto, perché non contenti dei meeting, delle mostre, dei festeggiamenti, delle interviste, delle rassegne stampa, dei servizi televisivi, si organizza il dragaggio del Fosso Reale, proprio lì dove, nel 1909, si dice, attraverso fonti certe, che l’incredibile artista vi abbia gettato alcune sue sculture giovanili, teste, a dir la verità, il cui gesto avrebbe significato la fine delle sue primordiali aspirazioni, puntualmente rifiutate dalla critica, e il successivo abbraccio alla pittura come forma artistico/personale più completa.
E in effetti, nel luglio dell’84 qualcosa salta fuori: cinque teste scolpite che somigliano in maniera piuttosto evidente alle tecniche scultoree di Modigliani vengono recuperate dopo settimane di incessanti ricerche da parte dei sommozzatori e non lasciano dubbi.
Secondo Dario Durbè, soprintendente alla Galleria Nazionale d’arte di Modena e sua sorella, Vera Durbè, direttrice del museo Villa Maria di Livorno, ambedue fortissimi sostenitori dell’ambita missione, le opere apparterrebbero al geniale artista.
Quindi si grida al miracolo…ma solo fino alla sorprendente e sconfortante scoperta.
Difatti le teste scolpite non sono che una burla organizzata da tre ragazzi che pensavano di donare un ulteriore momento di gloria alla loro città e che, infine, colti dal rimorso, confessano il loro scherzo, pur ammettendo che delle cinque teste ritrovate, solo tre sarebbero di loro fattura, mentre le altre due figurerebbero opere di uno scultore che ammise che il tutto fosse servito a sensibilizzare gli animi critici nei confronti della sua arte, trovando così un motivo in più per essere notata. Risultato? Dario Durbè lascia il suo incarico, mentre la sorella, già di salute cagionevole, viene ricoverata in ospedale per un improvviso malore.
E ancora, tra marzo e luglio 2017, a Genova, nel Palazzo Ducale, viene allestita una mostra con quadri di Modigliani, e nell’incredulità generale, soprattutto di chi ha acquistato i biglietti per l’ingresso, si scopre che le ventuno tele, tutte per intenderci, sono dei falsi, copie pervenute dall’est europeo o dagli Stati Uniti.
E’ un disastro, la galleria viene chiusa e, in seguito all’inchiesta della Procura, che identifica il misfatto, con esito definitivo nel gennaio 2018, vengono avviate le pratiche per risarcire circa centomila visitatori, che come ovvio che sia, si sentono offesi nella loro collettiva passione.
Amedeo Modigliani continua e continuerà a far parlare di sé e, non c’è dubbio, che nel bene o nel male della sua immensa e originale arte, venga messa sempre in discussione l’autenticità della sua persona e dei suoi avvenimenti, oltre la veridicità delle sue opere sparse in tutto il mondo, che valgono milioni di euro.
Forse la fama di un artista cresce anche sulla base delle leggende che donano un che di misterioso all’artista bohémien che abbiamo imparato a conoscere, innanzitutto per i suoi ritmi “smoderati”, poi per il suo fascino indiscusso, oltre, senza dubbio alle sue opere d’ingegno originalissimo.
Anche questo e tanto altro ci viene spiegato in Modigliani- L’ultimo romantico di Corrado Augias (Oscar Mondadori), saggio biografico, dalle parentesi storiche considerevoli, che fu pubblicato nel 1998 e che quest’anno compie vent’anni.
Ma chi era davvero Amedeo Modigliani? Cosa gli donò la notorietà che è giunta a noi fino ad oggi?
Che cosa in realtà spinge questo artista ad essere uno dei più quotati nel mercato di opere d’arte?
In un avvincente resoconto biografico, che somiglia ad un romanzo, tanto è piacevole, ma che regala momenti di autentica veridicità, fonti di ricerche accuratissime che combaciano col momento storico interessato, Augias ci dona soddisfazioni che colmano dubbi sulla vita del celebre pittore e scultore il quale, dal suo canto, fortemente impone la sua disciplina arbitraria e originale tra filoni e correnti artistiche già fondate che si immedesimano nei loro artisti, rendendolo così sempre più solo e disperato. Quindi, nella sua solitudine forzata dal suo carattere, il pittore ci viene presentato con le parole di chi lo ha amato, attraverso i gesti e gli avvenimenti che sono accaduti e che sono descritti con audacia spinta da una primordiale idea di studio, che va via via consolidandosi nella fiducia che il lettore pone nei confronti di chi ha scritto.
Ultimo di quattro figli, Amedeo Modigliani nasce il 12 luglio 1884 a Livorno da Flaminio Modigliani, figlio di commercianti ebrei, e Eugenia Garsin , di origini marsigliesi, che ha fondamenta nobiliari del tutto simili al marito.
Ben presto però Flaminio, non portato per il commercio come suo padre, si chiude come in un baratro dalle pareti che indicano pochi appigli, ed esce fuori pian piano dalla sua famiglia, che intanto comincia a soffrire della mancanza di attenzioni economiche da parte di chi avrebbe almeno combattuto, ma che si abbandona alle sorti della sua depressione.
Per compensare al mantenimento della famiglia, Eugenia, madre fortissima, organizza una scuola privata proprio a casa dove, tra gli archivi di famiglia, oggi spunta una foto degli alunni tra cui cattura l’attenzione un bambino d’incredibile bellezza: è Amedeo.
Si racconta che proprio il giorno della sua nascita sia iniziato il pignoramento dei beni e, siccome il letto di una partoriente non poteva essere toccato, sopra e sotto di esso fu nascosto tutto ciò che poteva essere salvato.
Sembra assurdo dunque, pensare a come sia iniziata la vita di Dedo, nomignolo materno, come se la sua esistenza fosse stata marchiata da un senso perenne di inadeguatezza che lo accompagnerà per sempre, anche a causa della tubercolosi di cui soffre fin dalla tenera età e che in seguito ad un improvviso peggioramento, lo costringerà per un periodo, ad abbandonare la sua città per recarsi al Sud, dove l’aria salutare del Mediterraneo gioverà alle sue condizioni.
Nel viaggio insieme alla madre, tra le sue mete, spicca anche Napoli, soprattutto il Museo Archeologico, dove la leggenda narra della sua passione per le sculture che ammirò per la prima volta con una certa curiosità, e che aprirono le porte alla sua passione per l’arte.
A Livorno frequenta la scuola di pittura del Maestro Guglielmo Micheli, a sua volta allievo di Giovanni Fattori, artista di spicco tra i Macchiaioli il quale, recatosi in visita all’atelier ammira un quadro che cattura la sua attenzione per il colore plumbeo del cielo del suo paesaggio, che si differenzia in maniera netta con quella degli altri giovanissimi, quindi, accortosi del giovane Amedeo, intuisce le capacità di una promessa e ne intende l’originalità.
Modigliani cresce e la sua città gli sta sempre più stretta.
Lo sa benissimo che il cuore pulsante dell’arte europea è ubicata in una particolare città del nord della Francia, la stessa dove ha preso piede la Belle Epoque, e dove ogni artista sa che lì la sua disciplina e la sua passione possono essere ricompensate come mestiere o, addirittura anche con la notorietà: Parigi.
Nel 1906 avviene il trasferimento nella Ville Lumière e Amedeo si gode l’aria dei cambiamenti e delle nuove tendenze, pregustando il successo a cui aspira e prediligendo la scultura, a cui si dedica con impegno maniacale e attraverso cui imita l’arte africana, nelle sue forme quasi primitive, dal cui esempio artisti di spicco come Pablo Picasso, anche lui residente a Parigi, prendono spunto per le tecniche avanguardistiche di una nuova pittura.
Ma la vita nella nuova città non sempre è facile e non sarà per niente come è stata immaginata dal giovane livornese che, sperperando i risparmi tenuti da parte dalla madre e dall’amorevole zio Amédée per il suo mantenimento, abbandona gli alberghi per trasferirsi nelle stamberghe cubiche, di una sola stanza, in cui alloggiano altri artisti squattrinati ma d’incredibile talento, come Brancusi e Soutine, tra l’altro suoi due cari amici, e inizia un’esistenza tempestata dall’alcol, dall’hashish e dall’assenzio, sostanze che saranno inizialmente assunte per combattere la sua timidezza e poi, diventate vizio, gli faranno assumere comportamenti particolarmente violenti o stupidamente ilari, a causa dei quali sarà conosciuto come Le maudit, “il maledetto”, che guarda caso, la sua pronuncia combacia alla perfezione con il diminutivo del suo cognome: Modì.
Modì le maudit, che dal nonno materno eredita la passione per la letteratura e la poesia, prende alla lettera l’insegnamento di Baudelaire, che lui cita a memoria e che adora, il quale enuncia che l’uomo non sfuggirà alla fatalità del suo temperamento fisico e morale: l’hashish sarà per le impressioni e i pensieri familiari dell’uomo, uno specchio ingranditore, ma pur sempre uno specchio.
Per sottolineare la sua nuova identità bohémien, abbandona i suoi abiti da borghese e indossa vestiti da operaio color ruggine, un cappello a tesa larga, un fiocco al collo e una fascia rossa che funge da cintura e che gli cinge i fianchi e lo si vede così, ad esempio alla Rotonde, celebre café al mitico crocevia Vavin tra boulevard Montparnasse e boulevard Raspail, mentre si offre per disegnare ritratti ai clienti in cambio di un bicchier di vino, o qualche spicciolo, e allontanarsi fino a Rosalie, la trattoria la cui omonima titolare, oltre a sfamare artisti disperati come lui, dona anche un rifugio temporaneo, perché sono lontani anni luce i luoghi di culto dove Parigi brilla della sua luce sfavillante, come l’Oasis, in cui si esibisce la celebre Kiki, ballerina e modella.
Il medico Paul Alexandre, nel frattempo è uno dei primi a credere nell’arte di Modigliani, e diventa suo amico, talvolta suggellando ciò con l’acquisto di alcuni quadri che gli permettono una vita dignitosa, seppur a singhiozzi, perché, dicevamo, l’antica passione di Modì per la scultura non si è spenta, anzi, e forse la sua originalità gli permette di esporre al Salone degli Indipendenti del 1908, dove il Cubismo inizia a farsi valere, probabilmente schiacciandolo ulteriormente, perché Le maudit preferisce appartenere soltanto al suo, di genere.
Non vuole emulare né artisti né filoni; preferisce i ritratti ai paesaggi, perché dichiara che nello sguardo di un uomo ritratto è impresso tutto ciò che sta osservando o pensando in quel momento, paesaggi compresi; non è né fauve, né futurista, né cubista; addirittura abbandona la scultura, su cui aveva tanto scommesso, anche perché, oltre ad essere costretto a rubare, di notte, pietre da intaglio nei cantieri parigini, la polvere che si sprigiona infierisce sulla sua salute già compromessa, mettendolo a dura prova anche nei trasporti pesanti che lo accompagnano nelle scorribande per accaparrarsi il bottino, oltre che trascinarle alle improbabili e rare mostre.
Importante episodio è quello che riguarda il suo breve ritorno a Livorno, nel 1909, dove rinfrancato dalla disponibilità del fratello Emanuele, socialista con future mansioni al governo, che gli procura il marmo dai cantieri, ricomincia il lavoro di sculpteur, prendendo come esempio l’ arte africana, purtroppo però non valorizzato dagli amici artisti, e la cui reazione lo spingono a lanciare nel Fosso le sue opere ( da qui dunque la forsennata ricerca nel 1984).
E dopotutto, sulla scultura ci ritornerà ancora.
Nonostante la sua vita da vagabondo, perennemente ubriaco, visibilmente emaciato e drogato, Modigliani è un uomo bellissimo, al cui sguardo, seppur vacuo, molte donne, non importa di quali classi sarebbero appartenute, restano incantate, spesso abbandonandosi tra le sue braccia.
La poetessa russa Anna Achmatova, una sua celebre fiamma, lo canta così: mi diverte quando sei ubriaco / e nelle tue storie non c’è senso / un autunno precoce ha sparpagliato / gialli stendardi sugli olmi; oppure Beatrice Hastings, giornalista inglese, fondatrice della rivista New Age, tra i cui collaboratori spiccano i nomi di Ezra Pound o Katherine Mansfield, che così lo descrive: un carattere complicato, un porco e una perla, e poi ancora gentile, si scoprì togliendosi il cappello con un bel gesto e mi invitò a vedere i suoi lavori.
Ma colei che lo amerà di più sarà la dolce Jeanne Hébuterne, talentuosa e giovanissima pittrice.
L’ultima vera fortuna di Amedeo sarà quella di aver trovato in Léopold Zborowski, scrittore, poeta, ma soprattutto mercante d’origine polacca, un vero amico, un mecenate, un vero e proprio angelo custode il quale, oltre a preoccuparsi di vendere le opere di Modì, gli procura le modelle per i nudi, delle stanze per lavorare in tranquillità e, soprattutto una casa, precisamente in rue de la Grand Chaumière, in prossimità dell’incrocio Vavin, dove oggi è situato l’atelier Gauguin e Modigliani.
Modì comincia a intravedere, grazie al suo amico e alla curiosità di chi ha notato in lui un artista eccentrico come pochi, un’improvvisa ascesa nel mondo dell’arte del cuore parigino, quindi centro del mondo, e nel 1917 si allestisce la prima personale dedicata interamente ai suoi nudi, che subito, ancor prima di aprire, attirano decine di curiosi pronti ad entrare, tra cui possibili e facoltosi acquirenti.
La sfortuna, che ha sempre accompagnato il Cigno di Livorno, non manca neanche stavolta, perché proprio di fronte alla galleria è situata una stazione di polizia i cui agenti, insospettiti anche loro dall’improvvisa folla di curiosi, si avviano a vedere cosa succede, scoprendo così la sorprendente esposizione di nudi e immediatamente fanno chiudere, con il motivo che opere del genere avrebbero urtato la sensibilità dei passanti perché impudiche, quindi soggette a censura.
Modigliani è sempre più disperato e non avverte più la sensazione di possibile successo che ha sempre atteso, quindi si dedica al vino e alle droghe, che distruggono la sua salute e che costringono Zborowski a organizzare un viaggio con Jeanne ( e la madre di lei, fortemente contraria) in Costa Azzurra per allontanarlo dai vizi e dalle minacce alla sua incolumità. Da questo viaggio nascerà la figlia Giovanna, che ridona luce speranzosa, almeno temporaneamente.
Ma la tubercolosi lo prende con sé troppo presto, e il ritorno a Parigi, la piccola Giovanna, l’amore di Jeanne non riescono ad aiutarlo, quindi si spegne nel gennaio del 1920.
Jeanne, che nel frattempo è incinta di nove mesi, non accetta che il suo idolo l’abbia abbandonata e due giorni dopo si lancia nel vuoto, gettandosi dalla finestra della sua stanza.
Ai funerali di Modigliani, inaspettatamente, partecipano i più grandi artisti del momento, tutti corsi ad omaggiare un uomo dall’impagabile talento, la cui ricompensa è giunta troppo tardi, forse addirittura postuma, perché anche ingiustamente alimentata dalla fine terribile che lo ha atteso e che lo ha unito alla sorte della giovane Jeanne.
Tale avvenimento fa venire in mente la tragica e lentissima agonia che anticipò la morte del poeta Paul Verlaine, anche lui scomparso quasi in solitudine in gennaio, ma nel 1896, al cui funerale parteciparono però in massa, e la cui salma fu salutata l’ultima volta da chi, probabilmente, l’aveva sempre stimato ma, in vita, se ne era tenuto lontano perché frenato dalla frenesia dei suoi versi senza limiti, elevati e allo stesso tempo ottenebrati dal massiccio uso di assenzio.
Così fu per Modigliani, genio indiscusso, perla della pittura italiana, originalissimo inventore di un genere che resterà per sempre affine a sé stesso, con le sue sculture, le sue Cariatidi come esempio perfetto di transizione dalla scultura ai ritratti, i suoi nudi, le teste che sormontavano i classici colli lunghi che si identificavano come una colonna e un capitello, la sua noncuranza nell’idea di concepire l’essenza di essere artista originale e privo di qualsiasi influenza, pagando tale teoria con l’ingiusta ricompensa di una morte sopraggiunta presto, e che non gli ha donato la raccolta dei suoi sacrifici, delle sue fantasticherie fondate e possibili, tipiche di un carattere forte che mai si sarebbe piegato agli stereotipi e alle tendenze, perché operava nel giusto.
Il fratello Emanuele farà il possibile per far riposare Amedeo e Jeanne insieme, nel cimitero del Père Lachaise.
Secondo Augias Modigliani è l’ultimo romantico perché sparisce insieme alle ombre di un’epoca rimasta troppo a lungo ottocentesca, anche quando il secolo XIX era finito da un pezzo, quindi resta l’ultima figura di spicco prima degli Anni Folli, che accompagnano tutt’altro stile.
La canzone Dancing barefoot, compresa nell’album Wave del Patti Smith Group la si può e la si deve ascoltare terminando questa biografia stupenda e ricca di contenuti storici.
Perche?
E’ stata scritta e dedicata all’amore indiscusso che una donna ha nei confronti del suo uomo che vede come un idolo, e che senza di lui non potrebbe vivere in maniera dignitosa, quindi a Jeanne Hébuterne, che ha donato un senso alla sua fine soltanto unendo quest’ultima a quella del suo amato:
Lei è ri-creazione / lei, intossicata da te / lei ha la lenta sensazione / che lui stia levitando con lei / Vado e non so il perché / roteo incessantemente / fino a perdere il mio senso di gravità.
Oscar Mondadori
Biografie
Mondadori
1999
329