Nel 1980, alla vigilia della pubblicazione di La donna d’altri, reportage su usi e costumi degli americani in campo sessuale destinato a rimanere un libro di culto, il suo autore Gay Talese, tra i padri del New journalism, riceve la lettera di Gerald Foos, proprietario del Manor House Motel alla periferia di Denver. Foos chiede al giornalista di poterlo incontrare, sicuro di fornirgli preziosi materiali a integrazione del suo libro in uscita. Da cosa nasce questa convinzione? Semplicemente dal fatto che Foos, voyeur dichiarato e iperconsapevole, ha installato nel suo motel un complesso sistema per poter spiare i clienti nelle loro stanze. Su ogni camera infatti si affaccia una sorta di mansarda nella quale l’uomo, peraltro coadiuvato dalla moglie, passa ore e ore a spiare l’intimità dei suoi ospiti, non di rado traendone lui stesso piacere attraverso la masturbazione. A testimonianza della sua attività Foos, nell’arco di quattro decenni, compila un diario nel quale minuziosamente annota i comportamenti dei suoi clienti, dando prevedibilmente grande risalto alle loro attività sessuali, un vero e proprio regesto , sorta di Psicopathia sexualis versione lumpen. Talese accetta di incontrarlo e, suo malgrado, diventa il confidente di Foos fino ai giorni nostri, rispettandone comunque la volontà di anonimato e iniziando a mettere su carta la sua storia solo quando l’albergatore, ormai in pensione, deciderà di palesarsi. Di fatto Motel Voyeur, il libro di cui parliamo e che testimonia questa vicenda, è un testo “doppio”. Nel senso che affianca al racconto di Talese parti dello sterminato (centinaia e centinaia di pagine) diario di Foos, accordando al voyeur (questo il modo in cui Gerald parla di sé, raccontandosi tra l’altro in terza persona) la possibilità di parlare direttamente ai lettori.
Quella che potrebbe sembrare la capillare documentazione di una patologia diventa, grazie alla mediazione di Talese, un vero e proprio affresco di vita americana e il motel stesso muta, nel corso dei decenni, la sua funzione sociale. Le coppie che negli anni 60 si spogliavano a turno in bagno, un decennio dopo si tolgono gli abiti a vicenda. Cambia il concetto di comune senso del pudore e fa capolino in camera da letto la Storia con la maiuscola. Foos dedica infatti la sua attenzione alle coppie toccate dal conflitto in Vietnam; uomini mutilati dalla guerra alle prese con le ripercussioni di ferite fisiche e morali sulla loro vita sessuale.
Aldilà della propria parafilia, peraltro mai realmente percepita come tale, perlomeno non in senso stretto, lo sguardo di Foos è quello di un entomologo, intimamente compreso del suo ruolo e fiducioso del valore sociologico del suo operato. Ma, ovviamente, avverare il panopticon foucaultiano comporta rischi e responsabilità assai rilevanti. Punto focale nel racconto bicefalo di Talese e Foos è la morte di una ragazza per mano di uno spacciatore che la accusava di avergli rubato una partita di droga. La droga era stata in realtà requisita e distrutta da Foos con gesto invasivo e moralistico. L’albergatore, che oltretutto assiste al delitto dalla sua postazione, è colpevole, seppure indirettamente, della morte della donna? La risposta è affermativa per Talese e, immagino, per chiunque legga ma è qui che si gioca la tensione morale di questo breve e abissale libro. Una stanza d’albergo come palcoscenico del tempo che scorre, dei corpi e degli abiti che invecchiano o semplicemente passano di moda e la possibilità di assistere a tutto questo nell’attimo stesso in cui avviene, sedimentando l’esperienza per poi raccontarla: un’occasione unica, cercata e realizzata con folle pervicacia e la volontà di fare tutto questo silenzia il resto, compresa la necessità di intervenire (nel senso più lato del termine).
Motel Voyeur si chiude su un Gerald Foos vecchio e disilluso (“A dirla tutta, ciò che ho imparato sulla piattaforma d’osservazione ha fatto di me un antisociale. Non mi fido molto delle persone, e le evito, se posso.” confida a Talese con macabro e del tutto involontario umorismo), sconvolto dalla pervasività degli apparati di videosorveglianza nella vita quotidiana del nuovo millennio. Una specie di pena del contrappasso e una nota ironica a sigillare l’avventura umana di un uomo che ha voluto definirsi senza problemi e prima di ogni altra cosa “voyeur”.
Letteratura, reportage
Rizzoli
2017
204