Lanterna per illusionisti è un libro importante, le cui parole andrebbero iniettate come un vaccino. Un vaccino contro la menzogna creata per convincere le persone a credere al nemico. La menzogna che impedisce di comprendere che il peggior nemico di sé stessi siamo noi per primi, proprio quando crediamo a un nemico esterno. Un libro da tenersi stretto e a cui tenersi stretti perché la banalità del male è un attimo. Lanterna per illusionisti, di Pierpaolo Vettori meriterebbe l’attenzione della critica delle grandi firme, quelle firme che, spesso, sono invece occupate a esaltare all’unisono il presunto “caso editoriale dell’anno”, “l’esordio che resterà nella storia”. La dimenticanza che circonda questo libro è una colpevole dimenticanza quando non sciatta disattenzione.
Pierpaolo Vettori, autori dei precedenti La notte dei bambini cometa, Le sorelle Soffici e La vita incerta delle ombre, ci porta con la Lanterna per illusionisti nella Germania degli albori della più grande tragedia del ‘900 europeo, il nazifascismo. E lo fa con una scrittura pulita ed essenziale, attraverso i ricordi di Hans, ragazzino all’epoca, e della sua amicizia con Max e Katty, la sua bellissima sorella. Max è ebreo ma Hans non lo sa, saranno gli altri, la furia cieca e barbara di un’umanità pronta a cadere nel precipizio, a fargli scoprire come questo rappresenti un problema. Hans sa solo, almeno all’inizio, che Max è un dio in terra, un dio che suona il jazz e lo swing, quanto di più lontano ci sia dalla criminale idiozia nazista. Il jazz è troppo sincopato, troppo libero per non dare fastidio a chi ama il rumore monotòno delle marce militari.
E in questo Lanterna per illusionisti il jazz diventa anche una metafora che fa da filo rosso alle vicende, personali e storiche, dei due ragazzi, in pagine che sono, dapprima, un meraviglioso romanzo di formazione e poi, il racconto di come l’abisso sia davvero una sfumatura, qualcosa che in un istante di normalità diventa mostruoso. Hans, figura di adolescente, diviene un po’ il simbolo di quella ambiguità e ambivalenza morale che fa da terreno fertile per le catastrofi e che le prepara proprio ammantandole di “normalità”.
Se il jazz libera la mente, la propaganda ipnotizza e ciò che fino ad un istante prima era amico, nell’istante immediatamente successivo diventa feccia.
Hans non ha ancora i mezzi per comprendere cosa significhi tutto ciò che sta accadendo, si lascia trascinare dall’isteria incombente senza capire che, come accaduto a milioni di persone, la complicità si crea più con il non opporsi che con il partecipare attivamente alla caccia alle streghe. Hans, in questo romanzo scritto proprio come una partitura jazz, è un po’ l’emblema dell’infantilizzazione di un intero popolo e della sua, conseguente, capacità di autoassolversi dando sempre la colpa ad altri.
Una storia che riguarda ciascuno di noi, un rischio sempre presente e su cui Vettori invita, con questo Lanterna per illusionisti, a tenere alta la guardia e la capacità di resistere.
La sua lanterna vuole essere una sorta di luce magica contro un cielo, quello tedesco e dell’Europa tutta, che andava assumendo un colore cupo e grigio. Così lontano eppure così vicino a noi, proprio ora. E mentre Hans ricorda, a posteriori, sentiamo tutta la plumbea assurdità delle leggi razziali arrivare a insudiciare ogni cosa, avvertiamo la tragedia farsi via via più vicina e concreta. Mentre tutto intorno la quotidianità vira, quasi impercettibilmente, verso la catastrofe. Che è di tutti e di ciascuno.
Se qualcuno avesse la tentazione, meschina, di chiedersi che senso abbia scrivere e leggere, oggi, un libro sulla nascita del nazismo, farebbe meglio a chiedersi se, probabilmente, non si stia assopendo in un sonno collettivo. Che non è il sonno della ragione ma quello, ben più pericoloso, della memoria.
Una nuova angolazione e prospettiva quella di Lanterna per illusionisti, la prospettiva del jazz. Perché. Perché:”In principio c’è il ritmo. Il battito del cuore, un bambino che picchia su due latte arrugginite, il respiro affannato dopo una corsa, le pietre sfregate nell’attesa di una scintilla: tutto è ritmo. Quello chela gente non sa è che ce ne sono due. Il primo è quello del motore di un’automobile o del passo marziale, tump, tump, tump. E’ la musica dell’ordine e del progresso, come direbbero i brasiliani che di queste cose se ne intendono. Il secondo è il più difficile da intuire, non è regolare, anticipa la battuta di una frazione di secondo. E’ quell’attimo geniale in cui la musica si libera. Allora il ritmo diventa una risata.”
Narrativa italiana
Bompiani
2018
228