Appena lo incontro per la prima volta, nella lontana primavera del 2003, Simone Vignola (classe 1987) è un ragazzo smilzo di quindici anni, indossa una giacca di pelle beige scamosciata su una T shirt degli Iron Maiden e dei jeans stinti; calza scarpe da ginnastica e il suo volto bruno, dai tratti somatici forti che lasciano intuire una forte personalità, è quasi rabbuiato da una lunga capigliatura scura e ondulata che lo fanno somigliare a un indiano d’America.
Mi stringe cordialmente la mano e mi invita al concerto del suo gruppo, che si sarebbe tenuto da lì a qualche giorno e a cui partecipo: è una cover band classic metal anni ’80, in cui svolge il ruolo di bassista.
Esprime padronanza del palco e già maestrìa di un trentenne professionista; saltella da una parte all’altra e suona come un dio; cura vocalmente sofisticate armonizzazioni; incita il pubblico e mette in mostra la sua arte con degli assoli a dir poco lodevoli.
Qualche giorno dopo sono a casa sua, per lavorare insieme ad un progetto di inediti, e lo sorprendo mentre suona la chitarra ed esegue alla perfezione l’assolo di Stairway to Heaven; in sala prove suona spesso la batteria e ci sa fare; ha il dono del canto; sul suo PC ha una cartella che contiene le sue composizioni, musica classica che sposa il rock progressivo.
Mi accorgo subito che è un artista completo, e che non potrà fossilizzarsi su un genere.
Dopo qualche anno le nostre strade si separano e, nonostante ci si vede poco, continuo a seguire gli sviluppi di questo artista sorprendente, che comincia a prediligere il funk con contaminazioni elettro-pop, i cui feedback delle sue conquiste toccano il mio animo e mi inducono a seguirlo sempre.
Neanche a vent’anni vince il concorso Euro Bass Contest 2008, attirando attenzioni nel panorama musicale emergente, e il suo primo singolo da solista, Love Song, gli apre le porte a importanti collaborazioni con brand come TC Electronic e TC Helicon.
Dopo il primo album, Going to the next level (stampato anche in Giappone), Simone è invitato al Conservatorio di Amsterdam per la dimostrazione della funzionalità e tecnica “loop station” per basso elettrico; inoltre, giovanissimo vola a Los Angeles per le finali del “Boss Loop Station Championship”, indetto dalla Roland, noto marchio di strumenti musicali; l’anno seguente la rivista Bass Magazine lo elegge tra i migliori bassisti al mondo.
Dopo la strepitosa notizia dell’ azienda produttrice di strumenti M2 Guitars che comunica a Simone l’avvio della produzione di un basso “signature”, col suo nome, parte il nuovo album, “Life is a video game”, interamente suonato e prodotto da lui, così come “Somewhere”, del 2015, che riproduce un sound synth anni 80; nel 2017 “Vivere e basta”, in cui si esprime con la cura del miglior cantautorato italiano.
Ha condiviso il palco con artisti del calibro di Level 42, Richard Bona, Scott Kinsey, Caparezza, Federico Zampaglione…
Quest’anno, per la realizzazione del nuovo album, “Naufrago”, ha puntato tutto sulla fiducia dei suoi fan che lo seguono da tutto il mondo, e ha ideato una campagna crowdfunding tramite la piattaforma Music Raiser.
Lo incontro nel salotto di casa sua, e noto con piacere che sugli scaffali, tra i libri di Ida, la sua compagna, e i giochini di Penelope, la loro bimba di tre anni, c’è ancora la collezione degli album degli Iron Maiden, sua passione mai tramontata.
Simone, parliamo subito dei tuoi futuri progetti. Cosa ti ha spinto a cercare la realizzazione del nuovo disco attraverso una campagna di crowdfunding?
Ad un certo punto un’artista come me, con un taglio non esattamente “di tendenza”, non può non accorgersi di questo fenomeno; il crowdfunding musicale, soprattutto quello promosso dalla piattaforma Musicraiser, rappresenta ad oggi una reale occasione per promuovere un progetto, anche per artisti già affermati. Nel mio caso avevo bisogno di nuovi stimoli, di intraprendere un percorso più “social”, più a contatto con i miei supporters, più ottimista ed immerso in un sogno, il sogno di realizzare qualcosa grazie a qualcuno che crede in me indistintamente e non per logiche commerciali.
So che sei un artista poliedrico, e il titolo “Naufrago” m’incuriosisce molto: avrà per caso a che fare con i tempi drammatici che stiamo vivendo?
Trovo “Naufrago”, dal punto di visto della lirica, un brano adattabile a molte realtà. Non descrive l’attimo in cui naufraghiamo ma il preciso momento in cui capiamo di esserci persi, quando iniziamo ad analizzare un problema e pensiamo ad una soluzione, quando identifichiamo un’esperienza come un punto di ripartenza. Non è un brano ispirato all’attualità anche se è sicuramente attuale.
Quanto è importante per te il messaggio che vuole inoltrare una tua canzone?
L’aspetto importante è la capacità di accettare un naufragio e ricostruire, capire che ci si è persi e ritrovare una strada.
Quest’anno è il decimo anniversario della tua carriera da solista. Quante soddisfazioni ti ha regalato il tuo lavoro da musicista? E dove credi che possano risiedere eventuali intoppi che rallenterebbero la scalata al successo di tanti artisti come te?
Le soddisfazioni sono state tantissime, dalla vittoria di concorsi importanti quali “EuroBassDay” e “BOSS Loop Station Contest” all’apertura di concerti e tour per artisti come Level 42, Caparezza, Jutty Ranx e Richard Bona passando per le pubblicazioni in Asia e Sud America. Bisogna crederci sempre, il primo ostacolo può essere la scarsa convinzione in quello che si fa. L’autostima artistica con il tempo ha bisogno di essere continuamente stimolata. Bisogna essere pazienti e portare avanti il proprio discorso.
Ora che siamo in tema, magari senza parafrasare la tua hit “sul cesso”, nel cui testo è tutto chiarissimo, potresti spiegarmi cosa sarebbe per te il successo?
La penso un po’ come Mark Knopfler in “Money for Nothing”, il successo viene spesso scambiato per il vero fine di fare musica o, più in generale, spettacolo. Il successo è solo la conseguenza del saper comunicare; il fine dev’essere nell’esprimere la propria passione.
Sei un artista dalle qualità tecniche ineccepibili: secondo te oggi, con la tecnologia che permette di creare musica di qualità a casa con pochissime nozioni, quanto è ancora essenziale conoscere la teoria e la pratica di uno o vari strumenti?
Anche nel passato abbiamo avuto band e artisti dalle scadenti qualità tecniche ma dalle grandi capacità comunicative; io credo che l’evoluzione della musica digitale sia un opportunità per molti ragazzi, anche se rimango di un retaggio “oldschool” rispetto al fare musica. La teoria musicale nasce dopo la pratica: non c’è bisogno di conoscere un accordo di settima dominante per eseguirlo ma ovviamente sarebbe opportuno sapere cosa si sta suonando. Oggi la musica nasce “ad orecchio”, non è per forza un male il fatto che “non sanno quello che fanno”. Di contro ci dovrebbe essere maggiore rispetto per chi ha un percorso di studi e, al di la di questo, non capisco senza conoscere la musica come ci si possa divertire nel farla. Moltissimi progetti che nascono da “non teorici” della musica muoiono subito o si concentrano su aspetti visual, probabilmente non si divertono. Io mi diverto un casino a slappare il basso, potrei farlo a giornate!
Oltre ad essere un musicista, oggi sei un genitore. Quanto sarebbe fondamentale saper insegnare alle generazioni future la conoscenza di uno strumento musicale?
Se tutti imparassero a suonare uno strumento sarebbe un mondo perfetto. Credo molto nelle capacità ludiche, di unione e integrazione che possiede la musica, oltre che apportare uno sviluppo delle doti matematiche e di calcolo. Inoltre parleremmo una lingua in più ed in una maniera più forbita: il pubblico sarebbe molto più esigente, eliminando di default la musica di stampo gretto.
Credi migliorerebbe una società viziosa che ha cedimenti culturali evidenti?
Assolutamente sì. Si potrebbe curare la più infame delle epidemie: quella dell’ignoranza.
Ritorniamo ai tuoi progetti futuri. Che genere sarà evidenziato nel tuo album in fase di realizzazione?
“Naufrago” è un disco di “canzoni”, pop europeo con ovvie venature funky. Desidero, come sempre, realizzare un lavoro di facile ascolto, immediato, ma che al tempo stesso soddisfi la mia natura funky, il mio modo di suonare il basso e di interpretare la costruzione armonica su di esso.
Si notano sempre forti influenze stilistiche di Sting e Les Claypool. In “Naufrago” sarà sottolineata ancora questa tua gradita passione oppure saranno anche presenti armonie che inducono anzitutto al pensiero di un uomo maturo?
C’è una crescita e una maturità diversa a mio avviso dal punto di vista dei testi. Il mood musicale mi fa pensare molto a Sting ma anche a John Mayer, un’ispirazione più simile al mio primo album “Going to the Next Level”. Mi fa piacere che si noti che sono anche un grande fan di Les!
A parole tue, adesso, spiega ai tuoi fan quanto sarà importante il loro contributo al crowdfunding per la realizzazione di “Naufrago” e cosa dovranno aspettarsi.
Il contributo è importantissimo, mi consentirà non solo di realizzare il disco e stamparlo, ma anche di promuoverlo attraverso i canali di Musicraiser. Più siamo e maggiore sarà la mia presenza sui social, prima partecipiamo prima si potrà usufruire di un tipo di promozione assolutamente meritocratica offerta dalla piattaforma. Bisogna aspettarsi un album che ti rapisce, che ti porta in un viaggio!
Per scoprire di più la piattaforma di crowdfunding per Simone Vignola cliccate qui:
https://www.musicraiser.com/it/projects/11004
Per qualsiasi info il sito è www.simonevignola.com
Carmine Maffei