Pubblicato in Italia nel 2002 da Marcos y Marcos, torna ora in libreria Sognando Babilonia di Richard Brautingan grazie a Minimum Fax che ne ripropone la bella traduzione di Pietro Grossi, con la revisione di Luca Briasco. In questo ironico ma dolente libro ritroviamo molti dei temi più cari ed esplorati da Brautigan, come gli uomini e le donne ai margini, creature per cui il Sogno Americano si è presentato più come un incubo che come una possibilità di riscatto. Questa volta ad accompagnarci negli angoli più defilati e in ombra dell’american way of life, uno squattrinato e strampalato detective, C. Card a cui uno dei miti americani (una palla da baseball) ha “regalato” un colpo alla testa e l’inizio di una vita parallela, un sogno americano di fuga nella Babilonia di Nabucodonosor. In questa realtà altra, croce e delizia di Card, il detective improbabile di San Francisco diventa il re degli investigatori privati.
Tra salti temporali sincopati, andate e ritorni dal suo privato sogno alla realtà, Brautigan non abbandona, come nel meraviglioso American Dust, la feroce critica ad un paese, ad una società in cui essere vincenti non è una possibilità tra tante, ma l’unica possibilità per far parte di un sistema. C. Card non è un vincente, è un uomo inutile e, per ciò stesso, una mina vagante. Senza soldi, senza più un ufficio, senza una macchina, con una pistola senza pallottole, incontrerà l’illusione di un cambio di rotta della fortuna nelle sembianze di una bionda ammaliante, “dark lady da film noir (come giustamente descritta nella quarta di copertina) che lo incaricherà di rubare un cadavere dall’obitorio.
Dietro uno stile ironico, caricaturale e parodistico, Brautigan ride amaro non solo degli stereotipi del noir americano ma di tutto un mondo fatto di gesti e di dinamiche in cui non c’è posto per i perdenti. E tanto meno per un detective senza pallottole. Ma, come in American Dust, il timido e temporaneo (forse) riscatto arriva dalle parole, dal racconto. C.Card non ha altro a sua disposizione che questo, le parole di malinconica ironia e la forza di inventarsi il racconto di un’altra vita in una Babilonia lontana. Un luogo che non è, come detto da molti, il sogno di fuga che ciascuno di noi accarezza ma, semmai, lo specchio deformato e surreale di quel sogno americano a cui non è dato accedere a tutti.
Sognando Babilonia è un libro surreale eppure con un realismo amaro che intinge, per prendere ancora più forza, la penna in una parodia esilarante e tenera nello stesso tempo. Anche se, dopo il sorriso che ci strappa C. Card, affiora una crudeltà mascherata da situazioni e episodi sghembi, di traverso ma, proprio per questo, ancora più affilati di rivolta. Brautigan dipinge un antieroe che è il vero “eroe americano” perché sopravvive ad una madre che non manca di farlo sentire in colpa, ad una rovinosa sfortuna economica e ad un incarico in cui non poteva che essergli affidato il furto di un cadavere. Un eroe che non può non chiamarci in causa, che non può lasciarci indifferenti davanti alla sua “ostinata e contraria” caparbietà di chi gira in autobus in un mondo in cui “non fa bella figura un detective da cui spunta il biglietto dell’autobus dal taschino della giacca”.
Ancora una volta Brautigan ci porta, qui attraverso parole apparentemente più “leggere”, nell’America più vera, quella senza lustrini, senza le mille luci di New York, quella in cui si rubano cadaveri di povere puttane ammazzate solo per mettere in scena un teatro di giochi di potere (emblematico il dialogo tra la dark lady e il sergente di polizia) e in cui anche il sogno di Babilonia è popolato da personaggi che trasformano le persone in robot ombra che creano una notte artificiale: “Il suo primo obiettivo era creare una notte artificiale fatta di robot ombra, che durante le notti reali si muovono di paese in paese abbindolando gli ignari cittadini e trasformandoli in nuovi robot ombra.” Con buona pace dell’american way of life e il suo mito della luce gloriosa e rutilante.
C’è un sottotesto molto potente in questo Sognando Babilonia che si incarna in un personaggio solo apparentemente strambo ma più lucido di molti altri. Un uomo che ha partecipato alla guerra civile spagnola ritornandone con il foro di un proiettile sul sedere, neanche una bella ferita evidente, di cui vantarsi e da vedere trasformata in medaglia.
Non è un mondo comodo quello di Brautigan e del suo grandioso detective squattrinato ma un mondo in cui le crepe del sistema vengono raccontate così, quasi con apparente vaghezza eppure crepe profonde dietro la retorica dello Zio Sam:“[…] No giapponese – mi disse in faccia, mentre ripartiva di fretta – Cinese-americano. Amare bandiera. Amare Zio Sam. No problemi. Cinese. No giapponese. Fedele. Pagare tasse. Rigare dritto.” L’America del 1942. Cos’è cambiato?
In arrivo in libreria il 12 luglio
Narrativa americana
minimum fax
2018
215