Fabio Carta scrive uno dei romanzi più interessanti del panorama fantascientifico degli ultimi anni. E’ un’opera per molti versi complessa, che, almeno sino ad ora, non è stata pienamente assorbita, nonostante le molte recensioni. Il motivo di queste incomprensioni è presto detto: Carta si rifà esplicitamente a modelli che nel nostro paese vengono ancora studiati poco, come il Cyberpunk. Nonostante tutti vogliano fare i “critici”, ci riscopriamo, come sempre, indietro di vent’anni. Fosse uscito in America, Ambrose avrebbe raccolto applausi a non finire.
Il primo ostacolo da affrontare è la struttura stessa dell’opera. Essendo priva di un vero contesto naturalistico, che viene solo accennato qua e là, e di una trama lineare, che spetta al lettore ricostruire, riunendo i dettagli che l’Autore dissemina in giro, la lettura, per chi non è avvezzo alle sperimentazioni, risulta ardua.
Anche i personaggi come noi li conosciamo classicamente, latitano. Persone psicologicamente ben definite che hanno un ruolo chiaro in una vicenda lineare: a questo è abituato il fruitore odierno, e questo di solito gli viene dato. Qui servono ben altre coordinate per godersi appieno il prodotto confezionato da Carta.
Il nucleo centrale è quello che Bachtin individuava in Dostoevskj, ovvero la “dialogicità”. I miei lettori sanno che odio l’uso autoreferenziale di una critica fine a se stessa. Ma quando il libro lo richiede bisogna affrontare la complessità con le stesse armi. Cos’è dunque questa parola? Possiamo sintetizzarla così: la funzione del dialogo in un romanzo, messa in mostra dall’Autore in maniera tanto vivida da farla assaporare ai lettori fine a se stessa, non più in rapporto alla trama. Ecco il cuore di Ambrose. Tutto si svolge quasi sempre attraverso dialoghi che annullano la storia, il suo svolgimento, appiattendo quelle caratteristiche che si aspetta il lettore medio. Qui nulla evolve, nulla succede, solo la conversazione domina assoluta. E ritorniamo anche ai personaggi. Nessuna focalizzazione sulla loro psiche. Quindi zero analisi psicologica del loro animo. Questa può essere dedotta in seconda battuta dall’analisi della dialogicità. Complesso? Ma questa è la realtà creata dal libro stesso.
Chi sono dunque i parlanti? A loro volta solo funzioni scarnificate dai personaggi normali. Degli emittenti usati da Carta per comunicare, ognuno di loro, la propria visione filosofica della vita. E questo il difficile esercizio iniziato da Dostoevskj e portato alle estreme conseguenze dal Musil de L’uomo senza qualità: vuote funzioni che espongono tesi filosofiche. A suo modo una nuova incarnazione del romanzo illuminista settecentesco. Nel nostro caso il tutto viene implementato in uno scenario tipicamente cyberpunk. Il protagonista, CA, un uomo incastrato in una armatura da guerra, svolge i suoi dialoghi in tre direzioni differenti in parallelo. Con un avatar lasciato sulla terra a gestire tutti suoi affari, compreso parlare alla vecchia madre. Con Combo, che rappresenta la Rete alla quale le armature sono collegate. E infine c’è Ambrose: uno spirito che potrebbe essere l’Inconscio di CA, ma che a volte pare assurgere ad essere autonomo. Forse il personaggio più azzeccato di tutti, un po’ filosofo nichilista, un po’ anarcoide rivoluzionario. Ma anche molto colto, dotato di un’ironia dissacrante. E qui ci portiamo al passo successivo: lo stile della scrittura di Carta.
Già trovare un romanzo di fantascienza infarcito di dialoghi filosofici e citazioni colte che non ti faccia addormentare è un’impresa. Se poi la scrittura è barocca e arzigogolata, come in questo caso, la vita si fa dura. E se pensate sia finita qui vi sbagliate. La scrittura si insinua in pieghe molto ardue da seguire, a volte spiegazioni dettagliate di cibernetica, scienza, guerra futuristica e altro ancora. E’ proprio il fluire magmatico della scrittura che tiene insieme in maniera coerente questo materiale tanto disomogeneo. Dove tutti si aspetterebbero il crollo, Carta continua a riavvitarsi ancora e ancora sulle stesse discussioni, per la gioia dei lettori postmoderni (compreso me).
Ci sarebbe da parlare di come si svolge questa guerra in un mondo post-apocalittico contro il mondo arabo, una guerra di solitari uomini-macchina, incancreniti da un virus che avrebbe dovuto unirli in una maxi coscienza. Delle descrizioni iper maniacali delle tute-arma. Della denuncia sottesa contro l’inutilità di tutte le guerre, della critica al capitalismo.
Ma il tempo è tiranno.
Bravo Fabio Carta.
Mi taccio.
Fantascienza
Scatole Parlanti
2017
212