“Quando un poeta affida le proprie riflessioni alla nostalgia, la sua coscienza concede un credito illimitato alla memoria.” Così Nicola Vacca, poeta e critico letterario, decide di cominciare la sua recensione a Nostalgia, raccolta poetica di Angelo Ciccullo, Manni edizioni. E questa è proprio la cifra del libro, perché attraverso le prose poetiche, o poesie in prosa, che lo compongono diviene chiaro come la nostalgia non sia uno sterile esercizio di stile ma, appunto il recupero della memoria. Nostalgia come inattuale attitudine al silenzio e alla riflessione, nella sua autentica etimologia di “nostos” cioè “il ritorno al paese, alla patria, alla casa”. Ritorno non all’origine ma all’originario che nulla ha a che fare con la nostalgia moderna, spesso ridotta alla spettacolarizzazione della nostalgia e, dunque, alla sua negazione. Poesia onesta, l’ha definita Vacca, priva di orpelli. Quasi palese dico io ma che, proprio per questo, se letta con attenzione, portatrice di mille e una immagine.
È la poesia di chi si sente naufrago, senza un luogo a cui attraccare. Ma poesia di chi sa, o avverte, che la condizione di naufrago può essere un’opportunità
“Naufraghi e senza appigli
ci sballotta l’onda
mentre sogniamo vette
e unguenti profumati
per curare le nostre ferite
quotidiane nella sera”
L’opportunità di cogliere quell’ora “che volge al desio” anche quello del nostro percorso di vita.
Nostalgia non fa sconti proprio alle cose minute eppure immense su cui, spesso, si ha pudore a fermarsi a riflettere perché si cerca appunto l’originalità. Ma Ciccullo non si preoccupa di questo e si interroga, per esempio, sul sempiterno trascorrere del tempo, che è cosa con cui tutti, prima o poi, facciamo i conti
“Il ticchettio dell’orologio
ci ricorda lo scorrere
del tempo, il passaggio
degli elefanti sul fiume”
Rimpianto e nostalgia non sono un buco nero che tutto inghiotte, dal momento che possono essere ciò da cui sgorga la scrittura. E dalla scrittura, discreta, della nostalgia arrivano varchi, aperture. Proprio come dalla memoria, se non lasciata marcire, arrivano indicazioni per continuare il percorso
“Alzati e prenditi cura,
per quanto puoi, anche
di una sola aiuola, un viale
Almeno il tratto dove
tu cammini rendilo degno
del tuo stesso passaggio”
La cura è ciò a cui siamo chiamati, perché la cura è responsabilità, perché la vita non la si può delegare. Questa, in un certo senso, è la nostalgia di casa, che non è un ritorno sui soliti passi ma, al contrario, su passi nuovi. C’è nella poesia di Angelo Ciccullo, un continuo invito a sostare, a volgere gli occhi al cielo, verso l’infinitamente grande ma anche verso il piccolo, una tensione a sollevarsi al di sopra del contingente che, spesso ahimè, non è ciò che urge
“Le perplessità contingenti
non consentono alle parole
di suscitare una diversa
consapevolezza, un turbine
capace di sospingerci verso
universi ignoti che ci trattengono
coi loro misteriosi incantamenti”.
Anche per questo, proprio per la natura autentica della nostalgia, nelle parole del poeta troviamo un potente elogio alla fragilità, messaggio così controcorrente in questa epoca di autismo sociale e di esasperata competizione, gara infinita al più forte
“La nostra fragilità custodisce,
forse, la chiave che apre
la porta del giardino, se solo
volessimo vedere, ritrarre l’innocenza che consentì alla vita
di crearsi, attimo per attimo”
Nostalgia dunque come sentimento inattuale e chiave per aprire la serratura della memoria non come sguardo al passato ma come immaginazione, come capacità di scorgere un altrove
“Nell’ora dove tutto è cupo, tutto è fermo.
Solo si sente come un ronzio nell’aria.
È quella voce che torna a sussurrarci
“Riprendimi, io mai ti ho lasciato. Volgiti a me, partiamo! E subito
una vela scivola sopra il mare.”
Ciccullo ci allerta sull’impossibilità di controllare la parola. Sulla parola non vi è controllo altrimenti ci sarebbe l’afasia
“Non cercare di voler stabilire le parole.
Non forzarle, ma piegati ad esse
Vengono a te per ristorarti ed elargire
Un sostegno alla mente nel caos
che le governa.”
E, per lo stesso motivo, ci dice che l’assenza è, non il niente, ma semmai l’impossibilità di un pieno che tutto ferma, tutto sazia. L’assenza è la fame e la fame è l’immaginazione
“Mi manca l’assenza
che ci spingeva a immaginare
coste lungo le quali
veleggiare, ragazze al sole
di lontani paesi tropicali.”
Nostalgia sì ma nostalgia del futuro. Ed è in questo meraviglioso paradosso che sta la grandezza della poesia di Angelo Ciccullo.
Occasioni
Poesia
Manni
2018
71