Addio a Guido Ceronetti, l’ultima lanterna del pensiero libero
Filosofare per aforismi è impresa difficile. Bisogna essere dei grandi geni per poterlo fare. Cioran e Nietzsche ci sono riusciti benissimo, ma appunto loro erano geni veri del pensiero.
In Italia un filosofo per aforismi ce lo abbiamo e anche lui è un genio vero. Si chiama Guido Ceronetti, poeta, scrittore e soprattutto eclettico in ogni disciplina della conoscenza. Quando si mette a filosofare si fa chiamare, in maniera semiseria, Il Filosofo Ignoto. Oggi il Ceronetti è scomparso, ma di lui continueremo a parlare al presente, anche se siamo consapevoli che se ne va l’ultima lanterna del pensiero libero.
Il Filosofo Ignoto non rinuncia alla libertà di pungere. Sa che il suo filosofare è necessariamente fuori dalle rotte della filosofia a binari fissi. Per questo si affida alla scrittura folgorante per frammenti, di cui l’aforisma è lo straordinario strumento che fulmina.
Il Filosofo Ignoto, in arte Guido Ceronetti, si avvale della facoltà di essere irriverente. Con le sue pugnalate di pensiero specula sulle cose della vita senza mai perdere di vista il sentimento del tragico e la stanchezza della specie.
Ceronetti, l’aforista anticonformista, che si avventura nel territorio minato dei pensieri anticonvenzionali – convinto che quello che scrive non piacerà a tutti – con l’intenzione di dissacrare luoghi comuni, menzogne, imbecillità di un mondo che sta entrando in una decadenza pericolosa, dalla quale il genere umano non potrà fare ritorno.
Ceronetti, consapevole della sua inattualità, nei suoi aforismi passa in rassegna la condizione umana e le fragilità del suo pensare.
La consolazione della filosofia, che ripara le case in rovina, la grandezza della poesia, che corregge gli errori della Ragione, sono le discipline di cui il Filosofo Ignoto si serve per pugnalare il suo tempo, le sue miserie, le sue contraddizioni e soprattutto le sue ipocrisie.
Le sue riflessioni colpiscono al cuore «il viaggio al termine della notte» nel quale siamo precipitati: «Ci si addentra sempre più nella notte, e la morte invece, di apparire come liberatrice, imprime su ogni istante un terrore sempre uguale».
Di fronte all’umanità che ha perso la strada maestra, Ceronetti è il fustigatore della natura umana e della sua propensione a lasciarsi incantare dalle sirene del vuoto e dell’apparenza, che hanno consegnato il mondo allo strapotere assoluto del male.
Il Filosofo Ignoto piange per la debolezza dell’Occidente che ha rinunciato alla bellezza. Prova sgomento per il nostro tempo che ha scelto di morire nella volgarità del pensiero unico e della mediocrità. All’orizzonte non si intravede l’intuizione di un’idea.
La nostra epoca è uno sterminato treno di feriti che percorre senza fine una strada priva di via d’uscita, che sappiamo pieno di lamenti, carico d’indicibile sofferenza umana.
Ceronetti sa che la festa è finita, dal nichilismo diventa sempre più difficile uscire perché «contare su qualcuno, se si tratta di esseri umani vivi, è sempre un rischio di nuove ferite. Più fortunati, gli appartenenti ad associazioni criminali, circoli segreti: in caso di bisogno l’aiuto non gli mancherà, in ogni luogo. Tutti gli altri faranno bene a dubitare di trovare in amanti, mogli, figli, fratelli, compagni, una certezza di sostegno nell’angoscia e nella necessità. Non parlo di danaro: trovi sempre chi te lo dà; è il cuore che è introvabile. Dà più ausilio un talismano, se la tasca non è bucata. C’è una dolcezza a pensarsi soli, lucida disperazione. Le carovane elargitrici d’acqua dei Dedanìm, un miraggio. Il soccorso per amore, una lotteria».
Ceronetti, con l’ironia e il paradosso, ma anche con un suggestivo disincanto per una modernità che uccide la tenerezza, squarcia il velo della realtà. Quello che il Filosofo Ignoto ci fa vedere non è edificante. La fotografia del presente è un cumulo di macerie. La desertificazione del cuore sta gelando le radici. Il tragico risultato è una società per niente umana che ha perso l’orientamento, che ha voglia di farsi del male.
Ceronetti redige le sue stilettate per svegliare, anche se sa che il mondo non troverà mai più la via della bellezza.
Il Filosofo Ignoto si chiede a che punto è la notte della condizione umana. Scruta il cielo ma non trova risposte, anche Dio è schizofrenico. L’attesa si prolunga, viene buio, nessuna finestra s’illumina.
Filosofare con la libertà di pungere, questo gli resta da fare. Perché tale libertà è scritta nei nostri statuti, è garantita a tutti gli insetti dotati di pungiglione difensivo- offensivo indispensabile allo loro sopravvivenza – a scapito, se necessaria, di quella degli umani.
Nelle epoche del crepuscolo degli idoli, il Filosofo Ignoto concepisce il più tragico dei suoi paradossi. Egli arriva a rinnegare l’uomo, questo scellerato che si è impadronito da stupratore sadico del globo per farne un inferno. Che altro ci resta da fare se ogni abitante della terra sta diventando un milionario di disastri?
La foto di copertina è presa da avvenire.it
Critica letteraria, poesia
Settembre 2018