Il protagonista della pittura figurativa italiana del Novecento: Alfonso Grassi, nel centenario dalla nascita.
Era il 2012 quando nell’auditorium del Complesso monumentale di Santa Chiara di Solofra, la città in cui risiedo, veniva realizzata la mostra antologica Il tratto e il pensiero dedicata al pittore Alfonso Grassi (Solofra 1918–Salerno 2002). È stato un incontro inaspettato e forse tardivamente ho iniziato ad apprezzare quello che Giorgio De Chirico (suo amico e maestro) ha definito “un vero pittore”; così infatti scrisse: “In un’epoca come la nostra in cui la maggior parte dei pittori … ha completamente dimenticato cos’è la forma, cos’è il volume, cosa sono tutte quelle qualità che danno vita ad una pittura, cosa sono tutti quei valori che creano lo spettacolo sulla tela … è una vera soddisfazione ed un riposo per coloro che realmente capiscono la pittura e non si lasciano influenzare dalle cosiddette «tendenze» e dai vari «ismi» creati e divulgati per confondere le idee alla gente e vendere fumo agli ingenui … guardare i quadri di Alfonso Grassi”. Il critico e storico dell’arte Vincenzo De Luca sostiene che “sarebbe più corretto definire Grassi artista piuttosto che pittore: pittore è chi trasferisce sulla tela la realtà osservata e immaginata, con il disegno, la prospettiva, i colori, la luce. L’artista ci guida oltre, al valore connotativo ed evocativo dell’opera, utilizzando la percezione visiva come mezzo e non come fine. Il quadro di un artista si ammira, e poi si analizza, studiandolo, leggendolo e ascoltandolo, come un romanzo o un canto”.
Lascio alla curiosità del lettore l’approfondimento biografico di questo artista intraprendente, carismatico, tenace, che ha vissuto pienamente la sua vita, provando la soddisfazione del successo e il dolore insanabile per la morte prematura del figlio Renato e della moglie Gina; ma penso anche allo sgomento e allo sdegno provato per la distruzione dei suoi affreschi avvenuta ad opera di scellerate politiche di ricostruzione attuate all’indomani del terremoto del 1980.
Alfonso Grassi predilige dipingere vecchi e bambini, personaggi anonimi dai volti intensi, ma ha ritratto anche Giorgio De Chirico, papa Giovanni Paolo II, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini e se stesso. Uno dei suoi autoritratti è conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze. Non mancano interni rustici, animali al pascolo dal mantello vivido e morbido, nature morte eleganti nella composizione e raffinate nell’esecuzione; ha saputo cogliere nei paesaggi l’essenza più intima della natura al di là di astrazioni intellettuali.
Il primo di “tutti quei valori che creano lo spettacolo sulla tela” è in Grassi la pennellata personale che vale come una firma, una pennellata matericamente corposa che lavora con sentimento scultoreo sulla tela. Non a caso era anche un abile scultore come testimoniano le opere in bronzo Autoritratto, Gina, Renato, Clara, Tullio e Lella e aveva dimestichezza anche nel modellare la ceramica. La pennellata più volte ripassata, ritoccata, evidenzia un’opera in divenire, che si sta costruendo, intuita nel disegno e nel pensiero, ma da definirsi continuamente sulla tela. Accosta altri colori a quelli già stesi, contaminando le tonalità, aggiunge colori scuri o il bianco materializzando il chiaroscuro o la luce che esce dal colore stesso, dà identità e volume ai volti dei soggetti. Nelle opere di Grassi è evidente lo studio approfondito dell’anatomia umana e animale, lo studio effettuato per diretta visione delle opere di Francesco Guarino (1611-1654) conservate nella Collegiata di San Michele Arcangelo di Solofra e indirettamente delle opere di Caravaggio e Carracci. Caravaggio quasi senza disegno preparatorio materializza direttamente un’idea con i colori, disponendo le figure sulla tela, per poi eventualmente modificare la postura di una mano o l’intera collocazione di una figura; la fonte di luce naturale e simbolica sembra esterna alla tela, sembra che entri nella realtà che il pittore vuole dipingere offrendo la verità dei fatti, rendendoci visibili i personaggi e gli oggetti, con i colori e i chiaroscuri. In Grassi, il colore sembra invece possedere in sé la luce. L’influenza di Annibale Carracci si manifesta nel recupero di forme classiche, in un equilibrio perfetto di pieni e di vuoti, di volumi e di colori.
Personalmente identifico Alfonso Grassi nel dipinto Dacci oggi il nostro pane, un’opera simbolicamente molto forte, intrisa di laica religiosità. La luce fioca di una candela strappa al buio due bambini. Un piatto bianco vuoto racconta una storia di povertà. Le mani si intrecciano al petto, evocando un uccello, forse una colomba simbolo di innocenza e speranza, mentre si eleva una preghiera silente, umile. Gli occhi appena lucidi. Sul bordo del tavolo si è assopita nell’attesa di una cena che forse non arriverà la bimba dal tenero viso, probabilmente lo stesso del dipinto Ave Maria conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma.
Bibliografia: ALFONSO GRASSI Il tratto e il pensiero di Vincenzo De Luca, Editrice Ferraro Napoli
LA PITTURA A NAPOLI tra Romanticismo e Verismo. Omaggio ad Alfonso Grassi (1918-2002) – catalogo stampato in occasione della mostra tenutasi a Locarno nel 2018 organizzata da Alfonso Grassi jr. presso Il Rivellino LDV ART GALLERY, in occasione del centenario dalla nascita del M° Alfonso Grassi.