Nicola Vacca – Lettere a Cioran
(Galaad Edizioni, 2017)
Attenzione! Siamo qui al cospetto di un poeta vero. Presenti molte tematiche care al filosofo rumeno ma il libro in questione non punta sull’erudizione, sebbene presente, e men che meno sull’analisi dell’opera dell’autore di Squartamento (non è forse vero che «ogni analisi uccide» come afferma lo stesso Cioran?). Ciò che viene tentato, per altro con disarmante successo, è la creazione, attraverso queste ideali missive, di un ponte teso verso lo spirito di Cioran. Questo testo costituisce una sorta di galleria metafisica, un etereo tunnel, uno squarcio nel tessuto dello spazio-tempo a cercare un dialogo impossibile col vivificante fiele del Privatdenker transilvano. Siamo di fronte non a un saggio (sebbene molto si possa imparare dalla sua lettura) ma a un vero e proprio atto d’amore che Vacca lancia in direzione di Cioran. Niente polvere qui! Il poeta pugliese non lascia adito a dubbi quando dichiara «era perciò fatale che mi innamorassi di Cioran, della sua scrittura capace di stanare sulle pagine la codardia degli esseri umani, la loro abitudine a nascondersi dietro le parole». Dalle pagine di Vacca emerge prepotente il rifiuto di ogni nascondimento, la ricusa di ogni maschera, la ripulsa per qualsivoglia forma di comodo occultamento. Mentre si viene assorbiti dalle e nelle righe di questo commovente omaggio ad un pensatore che non cessa di lenire le nostre fatiche e umettare caritatevolmente le nostre piaghe, sembra di vederlo, in trasparenza, il volto dell’uomo di Raşinari, Vacca con la sua prosa poetica lo evoca costantemente, è capace di suscitarlo, quel viso dal sorriso beffardo e sincero, lo sguardo penetrante e sempre amichevole. Si produce così una specie di amplificazione per simpatia, le menti si sintonizzano (ancora la radice greca syn: con, insieme), ci si accorda al meraviglioso, lucido e possente diapason cioraniano, «la sua prosa strangola le parole, parla la lingua della ferita» ed è questa la frequenza cui allinearsi. La quarta di copertina, che riprende uno stralcio della splendida prefazione curata da Mattia Luigi Pozzi, è illuminante: «scrivere di Cioran non può che essere una confessione. Una confessione che Nicola non teme, come solo coloro che portano Cioran con sé ovunque, dentro di sé, sanno dichiarare».
Entriamo ora, in punta di piedi, con l’animo pudico e il rispetto che si devono a un poeta autentico…«tutto ha inizio a Parigi, il 28 novembre 2014…mi siedo e inizio a parlare con lui come se potesse ascoltare la mia voce commossa…» e poi l’afflato poetico, l’apertura di un canale di comunicazione con la stupefacente lirica sulla tomba di Cioran.
Siamo l’abisso che nessuno racconta.
Di questa terra gli apostoli estremi
Della distruzione e della rinascita.
Non smetteremo mai di squartare il tempo
Perché tu ci hai insegnato la vertigine
Degli uomini che non temono la paura.
Sono diciotto le lettere che Vacca invia a Cioran, il poeta pugliese sfiora i centri nevralgici della Weltanschauung del rumeno. Lo scetticismo («un atto politico, la postura più autentica di chi sa avventurarsi nell’immanenza del proprio vissuto con coraggiosa onestà»), la caduta (fulminante l’esordio della seconda lettera: «quando scrive Cioran cade; quando pensa, cade; quando vive, cade»). «L’umanità ha bisogno di caduta» è la notifica tranchant del poeta, e aggiunge: «solo così potrà pervenire a una presa di coscienza radicale», per poi ammonirci: «occorre essere disposti , però, a farsi anche molto male». La lucidità («i pensieri di Cioran sono chiodi appuntiti…Cioran si conferma l’unico pensatore del nostro tempo capace di esprimere nei suoi scritti – respingendo ogni formula o categoria e anzi ogni forma di professionismo intellettuale – la condizione dell’uomo interamente disingannato, ondeggiante tra la tragedia, la saggezza e la farsa»). La nona lettera polemizza contro coloro che pretendono di liquidare Cioran utilizzando la nozione di nichilismo, sovente illudendosi di depotenziarne in tal modo la carica deflagrante. Appoggiandosi a una citazione tratta dall’intervista concessa nel 1973 a Christian Bussy (reperibile con il titolo di Vivere contro l’evidenza presso l’editore La scuola di Pitagora nella traduzione dal francese di Massimo Carloni per la curatela di Antonio Di Gennaro) Vacca ci informa che «la categoria del nichilismo, cui troppo facilmente si ricorre, per definire il pensiero di Cioran, in realtà non gli si addice affatto, o comunque non è sufficiente a comprenderlo a fondo»; o ancora, nella lettera successiva «Cioran non è nichilista: scrive solo di ciò che prova; quando non prova nulla, non scrive». Può forse essere nichilista il pensiero di colui che «coltiva il nulla come una forma di salvezza»? Cioran, ci dice il poeta di Gioia del Colle, «affina l’arte della negazione come segno di disincantato attaccamento alla vita, di una paradossale “tentazione di esistere”».
La lettera XII è incentrata sui turbolenti rapporti di Cioran con la storia e con l’utopia. Cristallina e spietata la diagnosi di Vacca: «Utopia significa da nessuna parte. Ed è proprio lì, da nessuna parte, ammonisce profeticamente Cioran, che le utopie sono destinate a condurre il genere umano», e ancora «i subdoli meccanismi dell’utopia hanno dato voce ai ciarlatani e ai fanatici dell’avvenire». A seguire un passaggio sullo stile frammentario, sommamente anti-sistematico («tutto è troppo coerente per essere vero») del filosofo di Raşinari, Vacca rileva che «pensare per aforismi, per illuminazioni, è infatti un modo – il più radicale – di opporsi a qualsivoglia filosofia sistematica, a ogni forma ipocrita di ragionamento» con buona pace di tutta una pletora di accademici che tutt’oggi tendono a snobbare l’opera di Cioran, in qualche modo reo di non essere ingabbiabile in comode scatole concettuali (il suo rifiuto del principio di non-contraddizione risulta in questo senso emblematico), e di essere invece refrattario a ogni tentativo di essere integrato, caparbiamente impegnato a non consentire che la sua intensità eversiva (del resto la lettera XVII non a caso ha per titolo “Un dinamitardo tra noi”) venga disinnescata.
Da ultimo Vacca accenna al potere terapeutico degli scritti del pensatore transilvano, il pensiero di Cioran sarebbe, secondo il pugliese, «cupo eppure corroborante, che scava abissi nelle parole ma non rincorre significati definitivi, né desidera mete ultime…un punto di domanda che non attende alcuna risposta».
Questo Lettere a Cioran di Nicola Vacca è un libro toccante, sincero fino all’impertinenza, potente e liberatorio. Un libro attraversato da una luce nera, ma, proprio in quanto tale, accudente e rinfrancante, un accesso alla notte che sola lascia vedere le stelle. Prendete e godetene tutti.
Alessandro Seravalle
Filosofia
Galaad Edizioni
2017
104. Ril