Senza parole
Ci sono stati Carlo Levi, Rocco Scotellaro, un acerbo e pruriginoso Giovanni Pascoli, e Pasolini e pare che Cartier-Bresson abbia girato da queste parti il primo corto metraggio.
Poi l’industrializzazione, Enrico Mattei, la borghesia che non soffriva più la fame e comprava case ed eletrodomestici a rate e la distrazione di non capirne il costo.
Quindi per una sorta di soggezione mi sono ben interrogata prima di scrivere un libro che nasce nel ventre di una delle terre più amare e desolate del nostro non bel paese e da un punto di vista antropologico mirabilmente analizzata da Ernesto De Martino.
Ad un certo punto, però la soggezione dell’intelletto ha fatto spazio alla frattura dell’intelletto – il silenzio è stato più forte e come si dice – parlare ha assunto il semplice senso del – ci sono, penso, esisto. Allora dico. O meglio racconto. Una piccola raccolta di poesie. A seguire una seconda in lavorazione e sulla soglia della chiusura di un argomento doloroso e preponderante un ultimo pezzo. Un ultimo squarcio su una tela troppo bella per essere vera.
La poesia disvela. Non lo so più. La poesia denuncia. Non lo so più.
La poesia probabilmente è tigna. Tigna e sovversione. Probabilmente. Certamente dubbio e multiforme come lo stupore.
Una sola parola per descrivere occhi sgranati sulla meraviglia ovvero sullo sconcerto.
E, in un eccesso di fisiologica autoreferenzialità, lo stupore per lo stupore.
Lo stupore di scoprirmi stupita.
Non avrei mai immaginato lo scompiglio, guardando il disegno di una reazione chimica. Legami aromatici, asfalteni, e finire risucchiata in un imbuto di silenzio.
Nel lasciarsi accadere accade tutto e si parla della Val D’Agri in signori convegni dove la ricerca non è solo un vanto ma la punta di diamante dell’avanzare dell’intelligenza umana. Dove i cachet aumentano proporzionalmente al numero di barili di greggio prodotti al giorno, e le professionalità sono magari, cervelli in fuga. Chimici grosso modo chimici che cercano di scoprire la formula per rompere un legame chimico, quello degli asfalteni, prodotti della lavorazione del petrolio che si legano alla particolare struttura chimica e geologica di questa terra e creano tappi, impedendo lo scorrimento dei residui petroliferi, raccolti e differenziati fino all’ultima goccia o elemento trasformabile in denaro.
E la terra si spacca tutta dentro, sotto la pressione degli acidi.
Crepa più di quanto non sia naturalmente crepata
Crepa più di quanto la Storia non l’abbia gia crepata e combatte sola.
La Val d’Agri diciamo che non viene mai citata. Poi ci sono i curiosi. I fastidiosi. Quelli che con o senza Peret sparano prima di strisciare e leggono e studiano – arte clandestina e pericolosa, e conoscono mappe, documenti e i nomi dei pozzi. Et voilà!. Gli stessi nomi al vaglio dell’attenzione della punta di diamante dell’intelligenza umana. La ricerca.
E la terra si spacca. E non so se sia poesia ma certo è una scelta quella di lasciare tutto in sospeso.
Senza molti dettagli. Senza molti nomi. Senza citazioni. Bisogna interrogarsi a lungo su cosa sia la lotta civile, maturarla la lotta civile, poi codificarla nel contesto specifico dell’amore per la terra che va di pari passo con la distruzione della terra.
Quale sia la soluzione dialattica non so. La mia, è non imporre notizie a lettori distratti.
Scelgo il ritratto e poi lascio il passo alla curiosità, la ricerca, il dubbio. E allora solo il lettore che dopo si documenterà e da solo rifletterà avrà davvero ricevuto un messaggio nell’ambito di una comunicazione che non vuole comunicare ma esser rapita.
Solo il rapimento potrà far commuovere il lettore come mi sono commossa io studiando pagine e pagine di inchieste e sentire il pianto della terra che si spacca tutta quanta dentro per 20-30 barili di greggio. Solo così, domani mattina, davanti al bar, per un caffè al volo, spegnerà la macchina invece di lasciarla accesa. Per la fretta. L’ottimizzazione dei tempi. Il denaro. La produzione. La velocità.
E la terra si spacca e le sue lacrime sono l’acqua contaminata e quei due contadini scelti appositamente dalla tivvu per snobbarli, chiamarli ignoranti e lasciarli soli con tutti gli animali morti.
Letteratura civile