Carmine Maffei (Avellino, 1981). Musicista, autore e compositore, fonda la rock band Inseedia con cui pubblica Oltre il Muro (2005) e Secrets From The Room (2007 - Nomadism Records). Nel 2008 dà vita al suo attuale progetto musicale, gli Ordita Trama. Nel 2010 esce il disco "Ordita Trama" e nel 2017 Basta Soltanto Resistere, oltre al singolo L'Ignoto Ideale (Label Music). Appassionato da sempre di letteratura, ama leggere e collezionare libri, soprattutto romanzi. Attratto da tutto ciò che significa "cultura", ha un debole indiscusso per gli scrittori. Vive a Solofra (AV) con la moglie e due bimbi. Lavora nel settore conciario. Collabora con L'Ottavo dal novembre 2017.

Probabilmente questa è l’intervista più difficile che mi sia mai capitata dall’inizio della mia esigua esperienza come collaboratore di un web magazine culturale.
Carlo Crescitelli ha scritto il suo ultimo libro, Settanta Revisited (Terebinto Edizioni), con la speranza di smuovere sistematiche abitudini di congruenza ad un presente che cozza troppo col suo passato.
Ogni pagina è intrisa di sentimenti contrastanti con il tipico riconoscimento al confort che ci riservano i tempi moderni di cui abusiamo in abbondanza, ed ogni capitolo, con annesse parentesi di pensieri personali (fin troppo personali), si vestono di critica pungente e spesso provocatoria nei confronti del potenziale lettore, che si figurerà un malcapitato nel momento stesso in cui verrà pungolato nei suoi stati d’animo che nascondono relative debolezze.
Settanta Revisited è stato scritto con l’esplicita intenzione di sbattere in faccia anche ciò che non riusciremmo a controbattere, semplicemente perché ci ritroviamo inermi di fronte alle pagine di un architetto dall’improbabilità verbale e concettuale al cui cospetto non possiamo reagire, soltanto perché in presenza della sua innocente creatura composta da carta e inchiostro, povera divulgatrice di cocenti passaggi volutamente logorroici e spesso volgari del suo autore fisicamente assente.
Questo libro è stato scritto per scuotere anche eventuali reazioni che in altri capitoli della letteratura (perché letteratura rimane) non potrebbero avere senso, solo perché in quel caso inespressivi nel loro logico sarcasmo con la loro illogica costituzione di pensieri filosofici adagiati nella compiutezza di più episodi; in questo caso l’illogicità risiede nel logico (suo, dell’autore) che atterra come il macigno della compaginazione di tanti pensieri negativi spudoratamente urlatici in faccia.
A tal punto la presente intervista si svolgerà con l’intento di scuotere la sua (dell’autore) logica costituzione di pensieri forti, cercando di creparli nei punti più deboli, restituendo pan per focaccia.

Dottor Crescitelli, cominciamo con un argomento che possa aprire bene la nostra conversazione, da buoni amici, e prepararla meglio al seguito. Ma lo sa che anch’io sono un ammiratore di Glenn Hughes?

“Che Iddio benedica Glenn Hughes, se il suo feeling vocale riesce a toccare tanti cuori. E’ stato un riferimento importante della mia prima adolescenza, e sono molto affezionato alla pagina del libro che gli ho dedicata; che mi riporta, ogni volta che ci ripenso o la rileggo, a momenti belli, intensi e ansiosi di futuro”.

Cinquantaquattro anni oggi sono di sicuro un’età importante, ma non si possono considerare ancora come l’ingresso alla terza età, che sembra lei voglia per forza esporre in maniera anticipata e in tutta la sua magnanimità. Per i suoi anni, lei è ancora un uomo giovane, dott. Crescitelli, ammettiamolo, e non lo dico solo io ma è la Scienza che ci insegna che il tenore di vita è migliorato, e che l’età media avanza sempre più. Perché allora ci tiene così tanto a sembrare un vecchio decrepito e insopportabile? Lo è già? Mi spiace per lei.

“Ma certo che no, sono tutt’altro che vetusto! Il giochino reiterato di presentarmi come un vecchio bacucco risponde in realtà a più di uno scopo: uno è quello di mettere in evidenza la mia personale fortuna nel sentirmi già oggi appagato dalla vita, un altro è quello di prendermi la licenza di potermi esprimere senza troppe remore o peli sulla lingua – privilegio questo accordato appunto soltanto ai vecchi – e l’ultimo è quello di sbeffeggiare, incarnandoli sotto decrepite spoglie, alcuni dei tanti e deteriori luoghi comuni di cui faremmo bene a liberarci, visto che spesso rappresentano ahimè il peggio di noi. Niente paura quindi: sono un anziano finto, per gusto, per dialettica e per copione”.

Crede di essere cresciuto tra le grandi ideologie universali. Cosa le fa credere che oggi non possano esistere più sentimenti comuni? Non riesce ad immaginare che il suolo che noi più giovani ci siamo ritrovati sotto i piedi sia stato prima deturpato da alcune irresponsabilità della sua generazione?

“Come dicevo prima, non prenda sul serio le parole dell’anziano rincattivito che in quei passaggi interpreto. In realtà ogni epoca ha le sue rifulgenze e i suoi lati oscuri, e gli anni Settanta non fanno certo eccezione. Quanto invece agli errori della mia generazione cui Lei fa riferimento, questo non vi scusa, così come non ha scusato noi: tutti dobbiamo fare in qualche modo i conti con chi ci ha preceduto, nel bene e nel male”.

Afferma che negli anni Settanta tutti avevano qualcosa d’intelligente da dire. Non è che semplicemente sta rimpiangendo un’epoca in cui si sentiva ancora nel pieno delle sue forze? Ha da ridire sulla moneta unica, e lo fa in maniera spudorata. Addirittura ammette di essere in disaccordo con l’unione europea, spiegando che prima dell’unificazione tutti stavano meglio.
Mi faccia un esempio: nel 1945 tutti stavano meglio?

“Non ho mai scritto che negli anni Settanta tutti parlassero in modo intelligente: stupidaggini se ne dicevano allora né più né meno come se ne dicono oggi. Forse Lei si riferisce alla mia affermazione che esisteva invece in tutti noi una diffusa consapevolezza del proprio ruolo sociale, che oggi è scomparsa; questo sì, l’ho scritto e lo ribadisco. Quel lagnoso rimpianto dell’epoca – lo dico di nuovo a costo di ripetermi – è sempre il gioco delle parti di cui abbiamo già parlato, che ricorre nelle lunghe elucubrazioni ad uso del vecchio rincattivito: è lui il nostalgico, non io. La moneta unica? Beh, quella, per la piega che ha preso, davvero non mi convince neanche un po’. Il processo di integrazione politica europea che stiamo attualmente vivendo, intendo per come oggi viene perseguito e condotto a livello di governance centrale, ci sta incanalando in un lungo, graduale ed irreversibile generale degrado socioeconomico, e non sono io a dirlo ma le evidenze dei fatti. Così come non ho affatto scritto che nel 1945 stavamo meglio, ma ho semplicemente sostenuto invece che i rapporti diplomatici tra gli attuali membri dell’Unione non sono mai stati peggiori dal dopoguerra ad oggi, il che è sotto gli occhi di tutti. Proprio per tutti questi motivi io prevedo che entro un quinquennio al massimo la nostra Europa unita sarà giocoforza costretta a rivedere e trasformare in senso assai più partecipativo molti dei pilastri e delle dinamiche su cui si fonda, se vuole continuare a sopravvivere e non disintegrarsi un po’ alla volta fino a scomparire”.

Non c’è dubbio che il rock progressive italiano sia deceduto appena qualche anno dopo il suo esordio. Ma come spiega le sue ragioni affermando che la PFM abbia seppellito la sua maestrìa “mettendosi al servizio delle nuvole poetiche di De André, in una tournée trionfale che non fu altro che la solenne celebrazione del funerale del pop italiano”? Cosa le farebbe pensare che Fabrizio De André sia il fautore del funerale della musica nostrana? Dice sul serio?

“Allora, qui è la voce del ragazzo che parla. Va infatti precisato che il libro le alterna puntualmente entrambe: il diario dal ‘68 all’80 compilato anno per anno con i ricordi e i sogni dei ragazzi che eravamo (Glenn Hughes compreso, per intenderci), cui seguono, puntualmente anno per anno, le aggressive parentesi riempite dalle tirate verbose e paranoiche dei vecchi cattivi che corriamo il rischio di diventare, tutte le volte che guardiamo all’attualità senza comprenderla, valutandola alla sola luce di un passato che più non esiste e mai tornerà. Ripeto ancora una volta che è questa, e soltanto questa, la peraltro ben esplicita chiave di lettura del libro, alla luce della quale tutti questi aspetti tornano immediatamente chiari. Venendo ora a noi, e nello specifico a De André con la PFM: come Lei ben sa, eravamo cresciuti in tutt’altro universo musicale, di cui non si può negare come quella improvvisa e dirompente ascesa della canzone d’autore a fine decennio rappresentasse per molti versi la negazione e la fine. Funerale del pop, lo era per noi, certo; come era pure glorioso battesimo della stagione dei cantautori, per altri di poco più giovani di noi. E quindi il mio sguardo sul fenomeno è essenzialmente influenzato da quella mia storica sensibilità”.

Paragona la nostra attuale e ormai infinita crisi alla fine dell’Impero Romano. Buona osservazione, non c’è dubbio. Ma come fa ad insinuare che le nuove invasioni barbariche non sarebbero nient’altro che “gli extracomunitari che non faticano” o che “vogliono in*ularci”?
Ma lo sa che reazioni si sono avute in seguito all’affermazione di Salvini riguardo la “pacchia”?
Si rende conto della probabilità che le angurie che ha mangiato nei giorni scorsi siano state colte da poveri cristi sottopagati, sfruttati e maltrattati, senza alcuna tutela assicurativa? Lei è una persona che osserva molto, ne sono certo. Ma sostiene che ripristinare un edificio vecchio, per non dire antico, per non dire storico, equivarrebbe a una sorta di riproduzione di Disneyland. Cosa? Ma lo sa che spesso il nostro passato, ciò che risiede nelle nostre menti, potrebbe trovare la giusta ricompensa solo in quei pochi tesori architettonici che ancora restano in piedi? Lo sa che a Berlino il Reichstag e il Duomo e tanti altri edifici sono stati completamente ricostruiti fedelmente per ridonare alla città quello splendore che la guerra (sì, quando non c’era l’Europa unita) ha completamente raso al suolo, e per di più i tedeschi, per tali monumenti, pretendono che si paghi un biglietto d’ingresso?

“Stesso problema di interpretazione che continua a ricorrere. Ma procediamo per ordine. Migranti: quello che ha trovato scritto è evidentemente uno scherzo, è l’opinione del vecchio malefico che si sfoga e sproloquia nelle parentesi fra una pagina del diario e l’altra. Andiamo, non era così difficile da capire… Lei che mi ha così brillantemente definito “architetto dell’improbabilità verbale e concettuale” – definizione che tra l’altro mi piace molto, e che farò senz’altro mia – poi d’un tratto mi si scandalizza equivocando su delle mie evidenti boutades? Come avrei potuto mai sostenere seriamente della roba del genere? Urbanistica, Disneyland etc: anche questa è una parentesi dell’anziano, ma meno demenziale e un po’ più ragionata. E vuole dire che una cosa sono i sacrosanti templi alla memoria (il Reichstag di Berlino, appunto), un’altra quelli che impropriamente erigiamo al politically correct tutte le volte che ci riveliamo incapaci di comprendere che uno spazio urbano va riqualificato alla luce della sua nuova e contemporanea fruizione, e non semplicisticamente ripristinato com’era. Spero sia chiaro adesso. Ah, un’ultima precisazione: nel civilissimo Regno Unito (sì, proprio quello che ha avviato la procedura di uscita dall’Unione Europea) l’ingresso ai musei è gratis”.

Finiamo con la musica, sempre da buoni amici: ho intuito che tra le sue pagine ci sia come fonte d’ispirazione il “Dizionario delle cose perdute” di Guccini. Almeno Guccini, rispetto a De André, le piace. Dico bene?

“Complimenti, qui devo ammettere che ha fatto proprio bingo: la lettura dei due Dizionari delle cose perdute di Francesco Guccini mi ha entusiasmato e molto ispirato, e questo vale sia per alcuni specifici luoghi del mio libro, che per tutta la logica che in generale lo sottende. Quanto poi ad un mio definito sentimento verso il Guccini cantautore, Le dirò che assai di più amo lo humour e la placida verve del Guccini romanziere: lui sì che mi sembra decisamente uno che è invecchiato bene, e dunque, proprio a lui ispirandomi, ce la sto mettendo tutta per farlo anch’io. In conclusione: mi auguro che queste nostre quattro amabili chiacchiere La inducano a deporre almeno alcuni dei Suoi pregiudizi, e perché no a riconsiderare sia me che il mio libro sotto una luce diversa, magari un po’ più affine alla Sua stessa personale sensibilità. La ringrazio frattanto per i tanti, franchi e diretti spunti di conversazione, che ho molto apprezzato”.

Articolo e intervista a cura di Carmine Maffei

Settanta revisited Book Cover Settanta revisited
Carlo Crescitelli
Saggistica
Terebinto Edizioni
2017
96. ill