Continua la collaborazione tra noi e L’Arenone. Oggi rilanciamo questo racconto. Il link per leggere l’articolo originale è questo Racconti di sabbia: Che cos’è l’amor
Racconti di Sabbia: Che cos’è l’amor
“Racconti di sabbia” è una rubrica di racconti brevi di Angelo Deiana per L’Arenone. Pillole da mandar giù in pochi minuti, una tantum, per spezzare il tran tran della quotidianità.
Racconti di Sabbia #1: Che cos’è l’amor (tempo di lettura: 5 minuti)
Ero seduto al bancone. Da solo.
Non ricordo bene a cosa stessi pensando quando mi ha rivolto la parola. Ha iniziato a parlare come se ci conoscessimo da sempre, probabilmente spinto da una sensazione che gli suggeriva che anche io, come lui, ero appena stato lasciato. O meglio, non potevo essere certo che lui fosse stato lasciato, ma è quello che ho pensato appena l’ho visto…
Dovevo essergli sembrato uno con la faccia e l’umore tipici di chi è stato piantato senza neanche il tempo di metabolizzare il lutto. Esattamente come lui era apparso a me. E poteva anche essere vero, per carità, ma io a quella cosa lì, cioè all’essere stato lasciato, non ci stavo pensando mica quando mi ha rivolto la parola la prima volta. Non ricordo bene a cosa stessi pensando, ma sono certo che Gaia non mi stava passando nemmeno per l’anticamera del cervello. Fatto sta che lui, Emanuele, decide di lasciare il suo sgabello per mettersi seduto vicino a me. Fino a quel momento lo sgabello vuoto che ci separava aveva rappresentato il mio investimento sicuro su una serata all’insegna dei bene amati cazzi miei. Ma niente, lui, Emanuele, a un certo punto (saranno state le 23 e 30) ha deciso che doveva essere così. E siccome sono estremamente tollerante, e sensibile ai bisogni altrui, l’ho lasciato fare.
Pensavo che avesse bisogno di sfogarsi. Sorseggiavo la mia birra, in santa pace, e mi sono messo ad ascoltarlo, certo che mi avrebbe sciorinato tutta la storia della sua vita e dei suoi fallimenti, soffermandosi, prevalentemente, sull’ultimo, cioè Serena, la causa della sua tristezza di quella sera. Ripeto, mi sono messo in ascolto con distacco, quasi per fargli un favore. Non potevo sapere ancora, però, che quella sera avrei capito, definitivamente, che cos’è l’amore…
“Prima non leggevo mai i gialli, li snobbavo. Non andavo a vedere il balletto e detestavo la musica rock. Prima non riuscivo a dormire se la porta della camera non era chiusa. Non sopportavo nemmeno che le persiane rimanessero aperte, mi toglieva il sonno questa cosa. E sistemavo maniacalmente tutto quello che mi sembrava in disordine: libri sulla mensola, asciugamani nel bagno, cornici storte… Prima quando andavo al bar non iniziavo a sorseggiare il cappuccino se tutte le bustine dello zucchero non erano sistemate per tipo nel porta bustine che trovavo sul tavolino. E guai a cambiare bar per la colazione, perché prima mangiavo solo un certo tipo di cornetto e bevevo solo una certa marca di caffè. Eh, lo so, ma sul caffè non transigo, nemmeno ora. Prima però non compravo nemmeno scarpe da ginnastica, le reputavo brutte, poco eleganti. E non potevo uscire da casa senza avere indosso una camicia. Prima guardavo solo la Rai e non volevo sentir parlare di serie tv, mi sembravano film annacquati tanto per tenere milioni di imbecilli incollati al televisore. Prima al cinema ci andavo solo di venerdì, gli altri giorni non mi sembravano adatti. E che palle i documentari sugli animali! Prima non riuscivo a stare in un posto al di fuori dei miei schemi e non potevo tollerare alcuna forma di disordine. Poi…”, poi alza finalmente gli occhi dal bancone, dove li aveva tenuti piantati per tutto il tempo, mi fa un cenno con il collo della bottiglietta di birra, come a invitarmi a un brindisi, e continua. Lo assecondo.
“Poi ho incontrato Serena. Inizialmente è stato un trauma, sembrava il mio opposto. Però mi piaceva. Cazzo se mi piaceva. E allora quando mi ha chiesto di andare al cinema non ce l’ho fatta a dirle no, anche se non era venerdì. Era martedì, infatti. E non sai quanto sono felice, ancora oggi, di essere andato al cinema con lei quel martedì. Non so cosa ci abbia trovato in me, ma ho capito subito che le piacevo, e allora non potevo rischiare di perderla andando appresso alle mie stranezze”.
“Giusto”, provo a dire io. La mia prima parola da quando Emanuele si è alzato, si è messo seduto sullo sgabello vicino a me e ha iniziato a parlare senza sosta. Senza sosta, sì, perché quel mio “giusto”, detto così, in modo accomodante, non l’ha nemmeno sentito. Ha continuato, Emanuele…
“E allora senza che nemmeno ce ne rendessimo conto ci siamo ritrovati insieme. Abbiamo iniziato a fare colazione in un altro bar (vicino casa sua), ho mangiato cornetti diversi da quelli che mangiavo da sempre (anche se, devo dirlo: quelli del mio bar erano comunque più buoni), e ho smesso di mettere in ordine le bustine di zucchero separando quelle di canna da quelle bianche, dopo che un giorno Serena mi ha chiesto con tono minaccioso il motivo. Avevo ancora paura di perderla. Così, quando siamo andati a convivere io ho provato a impormi, chiedendole almeno di chiudere tutte le persiane e la porta della nostra camera, e lei mi ha accontentato. Una sera, però, è rimasta aperta, la porta, e ho dormito uguale. Perché quella sera, dopo aver visto una puntata della sua serie tv preferita, abbiamo fatto l’amore così tante volte che non riuscivo più a pensare a nulla, nemmeno alla porta aperta. E così ho capito che potevo dormire lo stesso, pure se le persiane e la porta della camera non erano state chiuse… Una volta, invece, senti-senti, una volta si è incazzata da morire – Dio, quanto si è incazzata! – perché non trovava gli asciugamani dove li aveva lasciati. ‘Devi smetterla di spostare le mie cose: il tuo ordine del cazzo non è il mio ordine’, così aveva detto. E allora ho lasciato fare, ero felice con lei, e ho capito che perderla per degli asciugamani ripiegati e sistemati come volevo io, non era una cosa intelligente. Poi mi ha regalato un libro di Giorgio Faletti, Niente di vero tranne gli occhi, e allora ho iniziato a leggere anche i gialli. Il Natale successivo le ho chiesto io di regalarmene un altro. E quando ho finito anche quello ho accettato, dopo un lungo bacio, di metterlo tra i saggi di critica letteraria, così, tanto per spezzare un po’ e dare nuova luce alla libreria. La casa che ci siamo presi in affitto insieme, dopo due anni di amore puro, era diventata la sintesi perfetta di noi stessi. Un po’ incasinata, un po’ in ordine. Non avevo mai pensato in vita mia, prima di incontrare Serena, che avrei potuto avere una vita così felice al di fuori dei miei schemi, delle mie routine, del mio ordine predefinito”.
“E allora perché vi siete lasciati?”.
“Non ci siamo lasciati”.
Lo guardo interdetto, ero certo che voleva arrivare lì.
“È morta. Due mesi fa. Un cancro me l’ha portata via”.
“Cazzo”, dico. Mentre distolgo lo sguardo da lui per finirmi in un solo sorso tutta la birra nel bicchiere.
Siamo rimasti in silenzio. Non so per quanto tempo.
Poi lui ha pagato il conto, sia il mio, sia il suo.
E mi ha detto: “L’amore è quella cosa che ti sposta i libri, che ti spiega gli asciugamani, che ti lascia le porte aperte e che ti porta al cinema di martedì. L’amore è disordine”.
E se ne è andato.
“Cazzo…”, ho pensato io.
Le immagini sono dipinti e disegni di Edward Hopper
2018
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