Ernesto Sabato: un tunnel lungo settant’anni
“E in una delle parti trasparenti del muro di pietra avevo visto questa ragazza e avevo creduto ingenuamente che arrivasse da un altro tunnel parallelo al mio, quando in realtà apparteneva al grande mondo, al mondo senza limiti di coloro che non vivono in un tunnel; e forse si era avvicinata per curiosità a una delle mie strane finestre e aveva visto lo spettacolo della mia solitudine senza scampo, o l’aveva intrigata il linguaggio muto, la chiave del mio quadro”.
In questa assurda solitudine condivisa con le stesse similari che si contendono un posto di guadagno tra le altre assurde solitudini, ci deve pur essere un intreccio con un sentimento, un’audace passione, una moltitudine di segreti intriganti, un impegno passionale, una garanzia di possibilità di riuscita, di colori sgargianti che scivolano su un letto grigio.
Non è possibile che nell’affannata scalata verso la vetta di un vulcano non ci sia un luogo di refrigerio, una fonte fresca a cui abbeverarsi e rinfrescarsi il viso, saziandosi nel momento stesso e appagandosi per il resto del tragitto, vivendo costantemente nel suo ricordo per affrontare meglio il viaggio.
Ma sì, ci deve pur essere stato qualcosa.
Ci deve pur essere un legame, una situazione analoga, tra noi e chi ci sta accanto nonostante disti migliaia di chilometri soltanto perché perso nei propri pensieri, esattamente come noi; un qualcosa che in un modo o nell’altro, per quanto non sempre tramite forzate similitudini, ci abbia collegato ad un filo di Arianna che unisce con quell’agognata libertà, seppur di un attimo, di un secondo solo, uno solo, che possa come irrorare costanza e sicurezza nel momento stesso in cui si esprime, donando sollievo al respiro a rantoli che siamo costretti a esercitare per la paura di consumare tutto l’ossigeno di cui disponiamo nel nostro spazio angusto.
La stessa questione non può non esserci appartenuta, in quanto esseri pensanti, chi più chi meno nelle sue capacità, perché, direttamente proporzionali ai nostri limiti di livello di sopportazione così allo stesso modo concepiamo il fabbisogno di tale pensiero, che quindi ci venga in aiuto nell’istante in cui la suddetta sopportazione debba cedergli il passo, prima di piombare nel baratro, in quella lunga e scura crepa che si inabissi nella coscienza, che ha creato uno squarcio tra l’essere e il poter essere.
Molto spesso ci ricordiamo tutti di quel giorno in cui ci siamo ritrovati di fronte al raggio visivo una comprensione tradotta in due occhi profondi, che scrutavano con garbo nel corridoio della nostra solitudine, facendo capolino da una delle tante feritoie che pareva volessero emanare una debole luce, la quale mai avremmo pensato potesse garantirci il percorso…se non allora, la cui densità sarebbe filtrata attraverso la capacità di quelle iridi luminescenti.
Una tale escrescenza luminosa pareva volesse rifocillare la massa buia e priva di ombre che ci si addensava davanti e ad essa ci siamo affidati.
Abbiamo goduto delle sue mani, delle carezze di un palmo che scostava di poco la peluria della nuca, dei brividi che ne susseguivano, dei bisbigli all’orecchio, delle risate silenziose, dei singhiozzi di godimento, delle convinzioni di due corpi uniti stretti come in uno solo, e in quell’istante ci siamo illusi che il tutto sarebbe stato corretto nel migliore esempio possibile, e che mai più nulla avrebbe invaso con la sua ombra minacciosa la cauta sequenza dei nostri passi, le cui orme ora solcavano di pari tempo le stesse che adesso si affiancavano, nella lunga traversata, forse comunque nella trafelata salita verso quel cratere zampillante di fuoco…e che problema poteva esserci se disposti a farla insieme?
Quante volte la nostra risorsa più sicura risaliva a quell’unica presenza che ci aveva sorriso da una delle finestre del nostro tunnel?
Ma sì, così come ci sembra di concepire l’esistenza terrena, come un tunnel da percorrere in solitaria, persi nei nostri stessi malaffari personali rigorosi; un tunnel lunghissimo, rinforzato da pietra viva, dentro cui non ci è consentito l’ingresso di ognuno per la paura che possa intaccare le nostre sicurezze materiali, incastonate ben bene tra un’intercapedine e l’altra, tra un orifizio e quello successivo e poi…
Poi, così, d’un tratto quelle iridi che baluginavano nella loro preziosità, hanno incontrato la nostra espressione disinvolta, spenta e disattenta alle capacità di fusione sentimentale, troppo presa dalle guardinghe confessioni interpersonali, frutto di un esasperato egoismo mai confessato.
Così, d’un tratto le nostre mani legate alle sue, le dita che sfregavano con vigore prima di avvinghiarsi alle altre, la certezza che non tutto fosse perduto, e che tutto quello che sarebbe potuto essere inganno tramutarsi in disinganno.
Già, ma per quanto tempo?
Dite la verità.
Dite la verità: quando un tempo che si consuma in un attimo come nel giro di anni, quell’abbraccio comincia ad allentarsi, quelle dita intrecciate perdono saldatura, quei singhiozzi non esprimono forza, quei bisbigli diventano suoni afoni e incomprensibili, quell’unico corpo si disunisce in due simili, d’un tratto quelle orme accanto alle nostre sembrano indugiare, curvarsi altrove o fermarsi, allora capiamo che, nella coscienza dell’incombente e solita tristezza, rischiamo di ritrovarci da soli nel nostro tunnel, dove correremmo il rischio di rituffarci nella caotica profusione di egoismo, di estro non condiviso.
Proprio allora, dite la verità, se siete stati voi la parte lesa, la stessa persona che rischiava di trascinare la propria solitudine nel tunnel, dite, è vero che vi siete aggrappati a quell’unica speranza con le unghie? E’ vero che l’altruismo si tramutava in egoismo solo per il piacere ed il vizio di soddisfare la nostra astratta e momentanea felicità? E’ vero che per preservare la vostra incolumità vi siete soffermati a pensare ad un vendetta che parlasse d’amore, una specie di paradosso sentimentale, una violenza verbale, addirittura una forzatura fisica, qualcosa, qualsiasi cosa che vi avrebbe potuto salvare da quel percorso in solitaria di nuovo nel tunnel?
E quando avete capito che quella presenza che vi aveva accudito per un tempo limitato sarebbe stata al di fuori di quel cunicolo tutto vostro, per gioire delle grazie altrui, di chi un tunnel mai lo avrebbe nemmeno immaginato, incurante dei percorsi esistenziali personali ed egoistici perché del tutto normali, come ci siete realmente rimasti?
Se qualcuno di voi lì fuori ha compreso queste parole e si è ritrovato nella stessa densità di pensiero almeno una volta nella vita, allora dovrà leggere Il tunnel di Ernesto Sabato, mai come ora, nel suo settantesimo anniversario.
La trama.
Juan Pablo Castel è un pittore di una certa fama.
Durante un’esposizione delle sue opere nota una giovane donna che si sofferma davanti ad un quadro e si accorge che sta osservando con attenzione una finestrella compresa in esso, che si trova in alto a sinistra, dove è dipinta una scena completamente estranea ai soggetti ritratti in primo piano. Comprende in un certo modo che quella donna, Maria Iribarne, è riuscita a capire, attraverso quel particolare angolo del quadro, la sua vera personalità tutta segreta e guardinga nei confronti della società circostante, quindi la convince in una relazione. La donna accetta, ma senza troppo impegno, essendo già sposata, mentre lui però inizia a forzarla di restare, per paura di ritrovarsi nella propria solitudine. Quindi Juan Pablo, nel delirio di crescenti gelosie, temendo altre relazioni di Maria e il suo allontanamento, si avvia verso un’azione vendicativa. La più estrema.
L’autore.
Ernesto Sabato nacque nel 1911 a Buenos Aires da una famiglia di origini calabresi e visse costantemente tra Parigi e l’Argentina. Dopo un dottorato in fisica lavorò in un centro di ricerca di Parigi. Nel 1940 l’esordio come scrittore sulla rivista Sur. Fu impegnato nella lotta contro la dittatura militare argentina in seguito alla cui caduta, nel 1983, fu nominato presidente della Commissione nazionale sui desaparecidos. Ha pubblicato tre romanzi e diversi saggi.
Si spense a Santos Lugares poco prima di compiere cento anni.
Universale Economica Feltrinelli
Letteratura argentina
Feltrinelli
2010
160