Gli elettori devono assumersi la propria responsabilità civile e civica per riuscire a risolvere i problemi delle loro famiglie e del loro Paese. “La conoscenza e i suoi nemici” di Tom Nichols (Luiss University Press, 2018)
a cura di Irma Loredana Galgano
Solo gli elettori possono risolvere le questioni che riguardano le loro famiglie e il loro Paese, e solo loro «devono assumersi la responsabilità ultima di queste decisioni». Ma «gli esperti hanno l’obbligo di contribuire». Per questo motivo Tom Nichols ha scritto The death of expertise. The campaign against established knowledge and why it matters, pubblicato negli Stati Uniti d’America nel 2017 da Oxford University Press e in Italia in prima edizione a febbraio 2018 da Luiss University Press nella versione tradotta da Chiara Veltri con il titolo La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia.
Oggi l’America è un Paese «ossessionato dal culto della propria ignoranza». Il punto non è soltanto che la popolazione non ne sa molto di scienze, di politica o di geografia, «il problema più grande è che siamo orgogliosi di non sapere le cose». Per gli americani rifiutare l’opinione degli esperti significa «affermare la propria autonomia», un metodo per «isolare il proprio ego sempre più fragile» e non sentirsi dire che stanno sbagliando qualcosa.
Sicuramente non è un azzardo affermare che in Italia si assiste a un fenomeno molto simile. Basti pensare, per fare un esempio, alle discussioni mediatiche relative alle vaccinazioni obbligatorie dei minori. Considerazioni e decisioni che spetterebbero alla comunità medico-scientifica date in pasto alla e dalla stampa a una intera popolazione. Riuscendo in questo modo a trasformare il tutto in una serrata quanto assurda competizione tra i pro-vax e i no-vax su chi detenga o meno lo scettro della ragione.
«Tutte le cose sono conoscibili e ogni opinione su un qualsiasi argomento vale quanto quella di chiunque altro» sembra essere diventato un mantra o un imperativo categorico anche in Italia dove si assiste, nella Rete, sui social ma anche nei classici luoghi fisici di scambio di idee e opinioni, a una vera e propria esplosione dei cosiddetti laureati alla Google University. In linea teorica, dare peso e valore all’opinione o alle idee di tutti e di ognuno è di per sé una bella cosa. Il problema si fa serio e grave quando veramente si diventa convinti che una semplice ricerca fatta con un qualsiasi motore di ricerca online sia sufficiente non solo a formarsi un’opinione in merito anche ad argomenti che riguardano la salute e la sicurezza pubbliche, ma acquisti, o debba farlo, il peso di una conoscenza acquisita con un lungo e articolato percorso di studio, di ricerca o professionale.
Il sapere di base medio è ormai talmente basso da essere crollato prima a livello di disinformazione, poi di cattiva informazione e ora «sta sprofondando nella categoria errore aggressivo». La gente non solo crede alle sciocchezze, si oppone anche attivamente a imparare di più, «pur di non abbandonare le proprie errate convinzioni». Si è passati, nel giro di pochi decenni, da una fiducia totale e incondizionata, spesso anche mal riposta, negli esperti e nei leader politici, a un atteggiamento rabbioso e di sfida, alla convinzione che esperti e leader politici sbaglino sempre, in quanto tali. È necessario però che la gente acquisti o riacquisti la consapevolezza che il giudizio degli esperti, anche laddove venga richiesto dai governanti, è un mero consulto, un parere non una decisione. Quella spetta ai rappresentanti eletti. Ecco perché la responsabilità è e ricade sugli elettori. Sono loro che, tramite voto, eleggono coloro che prendono le decisioni. Ed ecco perché è importante che le persone continuino a informarsi, a studiare, a istruirsi nel migliore dei modi possibile. Perché le loro scelte elettorali ricadranno inevitabilmente su di loro, sulle loro famiglie e sull’intero Paese.
Isaac Asimov, citato da Nichols nel testo, sosteneva che vige la falsa convinzione che democrazia significhi che «la mia ignoranza vale quanto la tua conoscenza». Non è certo su questo genere di eguaglianza che si basa o debba basarsi una democrazia. Sull’eguaglianza dei diritti, questo sì. Il rischio è di «gettare via secoli di sapere accumulato». Pensiamo a quanto accaduto nel nostro Paese, alle lotte condotte solamente sul limitare del secolo appena concluso per ottenere un accesso facilitato all’istruzione, a tutti i suoi livelli, per i giovani provenienti da ogni ceto sociale. E oggi si è costretti ad assistere a una generale e generica, quanto allarmante, demotivazione verso l’istruzione, l’apprendimento e la cultura in generale che tanto non paga e non ripaga degli sforzi compiuti. Nulla di più deleterio. E falso. E sbagliato. E pericoloso.
Per Tom Nichols il cerchio sembra essersi chiuso e nel peggiore dei modi possibili. Partendo dall’età premoderna, in cui la saggezza popolare colmava inevitabili lacune nella conoscenza umana, attraverso un periodo di rapido sviluppo fortemente basato sulla specializzazione e la competenza, fino ad arrivare a un mondo postindustriale e orientato all’informazione, dove i cittadini si ritengono esperti in qualsiasi cosa. E anche laddove è palese che non lo sono, si astengono dal porvi rimedio con un’accurata e profonda documentazione e preferiscono di gran lunga scegliere la strada della noncuranza, colmando i vuoti di conoscenza con l’indifferenza o, peggio, con l’aggressività. «Questo è l’opposto dell’istruzione, il cui obiettivo dovrebbe essere che le persone, non importa quanto siano intelligenti o abili, apprendano per tutta la vita». Ormai si pensa invece che l’acquisizione di un sapere anche minimo sia il punto di arrivo dell’istruzione e non l’inizio. È questa è innegabilmente e assolutamente una cosa pericolosa.
Gli esperti piuttosto che addentrarsi in aride discussioni, pregiudizi e preconcetti hanno quasi sempre preferito trincerarsi all’interno della linea sicura e confrontarsi tra di loro.
In una società realmente libera, i giornalisti sono i maggiori arbitri nella grande mischia tra ignoranza e cultura. Qual è invece il ruolo da essi svolto nelle democrazie occidentali? Cosa succede quando i cittadini chiedono di essere intrattenuti anziché informati? «In questo ambiente mediatico ipercompetitivo, direttori e produttori non hanno più la pazienza – né il lusso economico – di lasciare che i giornalisti sviluppino le proprie competenze o approfondiscano la conoscenza di un argomento».
La gente sa poco e si interessa ancor meno di come viene governata o di come funzionano davvero le strutture economiche, scientifiche o politiche. Tuttavia, a mano a mano che tutti questi processi diventano più incomprensibili, «i cittadini si sentono più alienati» e così, sopraffatti, si allontanano dallo studio e dall’impegno civile e si rifugiano in altre attività. Ciò li rende a loro volta cittadini meno capaci, e il circolo vizioso si rafforza, soprattutto quando «la fame pubblica di fuga viene alimentata dall’industria del tempo libero». E così, «inondati di gadget e comodità in passato inimmaginabili, gli americani (e molti altri occidentali, a essere onesti) oppongono un rifiuto quasi infantile a un apprendimento sufficiente a governarsi da sé o a guidare le politiche che influiscono sulle loro esistenze». I cittadini, ovvero gli elettori, sembrano essere più interessati ai candidati e alle loro personalità che alle loro idee o politiche. Come se in cabina elettorale dovessero scegliere il proprio attore o cantante o showman preferito e non il rappresentante incaricato di tutelare e garantire i propri diritti, quelli della propria famiglia e dell’intero Paese.
Interessante l’analisi delle interviste condotte dal comico statunitense Jimmy Kimmel in prossimità delle ultime presidenziali americane. Ai passanti veniva chiesto quale riforma delle tasse preferissero tra quella proposta da Donald Trump e l’altra di Hillary Clinton. Dati che erano stati preventivamente e segretamente invertiti. Gli esiti dell’indagine hanno mostrato e dimostrato, purtroppo, che gli elettori scelgono in base ai candidati e ai pregiudizi ideologici, non in base al merito delle proposte nella loro concretezza. Ed è stato più o meno in base allo stesso criterio di scelta che in Italia, per esempio, si è consentito a governi di centro-sinistra, o che tali si definivano, di portare a compimento riforme, come quella del lavoro, che neanche i governi di centro-destra, o che tali si dichiaravano, erano riusciti a portare avanti.
Gli esperti non sono infallibili, «hanno commesso errori terribili, con conseguenze spaventose». Ragione in più per cui i profani devono «diventare consumatori più consapevoli dei loro pareri». I cittadini devono assumersi «la propria responsabilità civica». Gli esperti devono, naturalmente, assumersi quella relativa ai pareri e ai consigli elargiti. Che però, va bene ricordarlo, sono semplicemente questo, ovvero non sono vincolanti su quelle che poi saranno le decisioni ultime prese dai politici che li hanno interpellati. Il crollo del rapporto tra esperti e cittadini «è una disfunzione della democrazia» e va risolto perché i politici non smetteranno mai di affidarsi agli esperti ma, se viene meno il controllo vigile dei cittadini, «cominceranno ad affidarsi a esperti che diranno loro – e ai profani arrabbiati che bussano con forza alle porte dei loro uffici – tutto quello che vogliono sentirsi dire».
È stato scritto del testo di Nichols che è un libro necessario a ridare la giusta voce agli esperti, unico modo per contrastare l’avanzata degli inesperti incompetenti, i quali altro non farebbero che diffondere fake news. Notizie false e allarmismi vari che sono la base dei pericolosi populismi che spopolano nel mondo occidentale. La situazione in realtà è un tantino meno semplicistica e riduttiva e l’analisi condotta da Tom Nichols ne La conoscenza e i suoi nemici molto più complessa, articolata e obiettiva.
Il fine ultimo dello studio di Nichols non è fare in modo che la voce degli esperti sia o diventi l’unico faro a illuminare le democrazie di tutto il mondo. Piuttosto che gli elettori, vero ago della bilancia di ogni sistema democratico che funzioni, imparino sempre più, e bene, e meglio, in modo tale che possano effettuare scelte più ponderate e motivate in cabina elettorale prima e siano in grado di meglio comprendere le decisioni politiche poi, nonché i pareri degli esperti interpellati dai politici che essi stessi hanno eletto. Il tutto per poter svolgere con nozione di causa il ruolo di controllo e vigilanza sulle politiche governative che ricadono, inevitabilmente, sugli elettori e sulle proprie famiglie.
James Madison, citato dallo stesso Nichols, affermava che «un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che dà la conoscenza». Lo stile di vita adottato dai cittadini delle democrazie occidentali però sembra essere dettato dalla sempre più ferrea e diffusa volontà di riservarsi «il diritto di essere ignorante». E ciò è una pericolosa caduta libera senza imbracatura né rete di protezione che reggano all’impatto, o meglio allo schianto.
I profani non possono fare a meno degli esperti e devono accettare questa realtà senza rancore. Ingegneri, avvocati, medici, ricercatori, scienziati… non possono cessare di esistere solo perché ora c’è internet con i suoi motori di ricerca. Gli esperti, dal canto loro, devono accettare il fatto che i loro pareri, che a loro potranno sembrare ovvi e giusti, non vengano sempre seguiti. Questa l’opinione dell’autore, il quale ammette che potrebbe anche sbagliarsi. Certo, potrebbe anche sbagliarsi. Oppure potrebbe avere ragione.
La libertà, inalienabile, di maturare opinioni diverse, differenti, addirittura opposte purché basate su dati, conoscenze, esperienze e il più obiettive possibili. In fondo una repubblica democratica funziona solo laddove vi sia rispetto reciproco ed equilibrio nei ruoli che ognuno sceglie e accoglie per sé. Equilibrio e rispetto che, purtroppo, vacillano in tutte le democrazie occidentali, non solo in quella americana. Ed é su questi principi che Nichols invita ad approfondire, a profondere impegno e sforzi. Non, come si è letto, sulla sedicente rivolta che gli esperti starebbero finalmente per attuare. La loro fantomatica rivoluzione contro i “nemici” della conoscenza.
Questo è il mio parere sul testo di Nichols. Ma anche io, come l’autore, potrei sbagliare. Oppure no.
Saggistica, politica, informazione
Luiss
2018
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