La lingua affilata nei versi di Michel Houellebecq
Michel Houellebecq è una ferita enorme nel cuore decadente dell’Occidente. La sua scrittura mai conforme è una spina nel fianco.
Nei suoi romanzi lo scrittore francese mette sotto accusa il proprio tempo, ne individua l’amarezza di una deflagrazione interiore che si consuma nelle coscienze devastate da una terribile involuzione sociale.
Houellebecq ama anche la poesia e ne scrive considerandola un’attività spontanea.
Come nei suoi romanzi, anche nei libri di poesia che ha pubblicato, ci troviamo davanti una lingua affilata e gelida che colpisce a morte, una parola che castiga senza alcuna via di scampo la condizione umana che precipita in un baratro.
Bompiani, due anni fa, ha mandato in libreria La vita è rara, un cofanetto che racchiude in due tomi tutta l’attività poetica di Michel Houellebecq.
Cinque raccolte in cui il poeta Houellebecq è consapevole che scrivere poesie non è un lavoro; è un incarico.
«Un poeta morto non scrive più. Di qui l’importanza di restare vivi». Così lo scrittore francese inizia una delle sue raccolte.
Per Houellebecq percepire la realtà significa vivere un momento forte, essere una definizione perfetta, qualcosa che oltrepassi la morte.
Tra le righe dei suoi versi si può leggere la sfida a viso aperto di un uomo che ha orrore del vuoto che dilaga.
Houellebecq afferma che il mondo lo sorprende ed è per questo che scrive poesie.
«Nella poesia non sono unicamente i personaggi a vivere. Sono le parole. Sembrano circondate da un alone radioattivo. Ritrovano di colpo la loro aura, la loro vibrazione originaria».
Nelle ferite che ci infligge, la vita si alterna fra il brutale e l’insidioso. Tra questi due estremi orribili, per Houellebecq, si insinua la poesia. La sua parola guadagnerà in forza, e in ampiezza per andare fino in fondo all’abisso dell’assenza di amore.
Bisogna restare vivi, almeno per un certo tempo, per capire che la vita è una serie di test di distruzione.
Restare vivi è, per il poeta Houellebecq, un imperativo categorico in cui si può intravedere nella rinuncia a piegare il mondo alla propria volontà l’unico barlume di salvezza.
«Imparare a diventare poeta è disimparare a vivere». Questo è Michel Houellebecq, poeta che non scrive per consolare e allo stesso tempo cerca nella poesia uno stratagemma per restare vivo e resistere, inseguendo nell’immanenza «il senso della lotta».
Poesia
Bompiani
2016
802