Mentre la scorsa settimana Netflix ha messo on line la serie tv basata su L’incubo di Hill House, proprio oggi Adelphi manda in libreria Paranoia di Shirley Jackson, un libro straordinario, tagliente, surreale, lucido. Imperdibile per chiunque ami la letteratura. Un libro la cui stessa genesi sembra uscita dalla penna di questa immensa scrittrice che, come pochi, ha fatto della vita scrittura e viceversa. Come ci ricorda la quarta di copertina: “Un giorno, a metà degli anni novanta, Laurence Jackson Hyman, il figlio maggiore di Shirley Jackson, apre la porta di casa e, sorpresa, si trova davanti una scatola di cartone senza traccia di mittente. Dentro immediatamente riconoscibili dai fogli di carta gialla e dai caratteri della sua Royal, una messe di scritti inediti della madre, ormai morta da trent’anni.” Una ricerca presso la Biblioteca del Congresso di Washington porterà alla nascita, nel 2015, del libro Let me tell you. Questo Paranoia, splendidamente tradotto da Silvia Pareschi, è una selezione di testi contenuti in quel libro. Mirabile selezione che, tra racconti, ricordi autobiografici e lezioni di scrittura, ci regala una panoramica completa del mondo della Jackson e del suo inestricabile rapporto con le parole.
Sherley Jackson, morta a soli quarant’otto anni, nel Vermont, è stata una delle più grandi scrittrici americane, divenuta famosa per le sue storie di fantasmi (che in realtà erano ben altro che semplici storie di fantasmi) e per la sua terribilmente cruda novella dal titolo La lotteria. Quando il New Yorker la pubblicò furono tantissime le reazioni dei lettori che pensarono di trovarsi davanti al racconto di un fatto reale. Ma lo scompiglio suscitato da quel racconto fu solo la dimostrazione di come “l’inquietante” avesse colpito nel segno, denunciando la crudeltà e la casualità della cattiveria umana. Nata in California, la Jackson non ebbe certo una vita facile, segnata dalla depressione e dal difficile rapporto con la madre. Cosa questa che molto influenzò la cifra con cui Shirley descrisse molti dei suoi personaggi femminili. Ma sbaglieremmo a pensare che le sue folli visioni, le sue inquietanti immagini fossero solo la trasposizione letteraria di disagi e inquietudini personali. No, nei libri della Jackson vi era qualcosa che travalicava i confini della storia personale per raccontare le paure della società della sua epoca.
Poche scrittrici e pochi scrittori hanno saputo, come lei, costruire qualcosa in cui la vita e la letteratura fossero così profondamente e inestricabilmente legate. E tra le pagine di questo Paranoia tutto ciò diviene chiaro e quasi drammatico. Il libro si apre con quattro racconti, capolavori che tengono il lettore legato alle pagine con la loro capacità di creare tensione anche stilistica. L’uomo che si sente braccato, la moglie e madre di famiglia ossessionata dal decoro al punto di vivere come minaccia tutto ciò che arriva da “fuori”, la giovane donna che torna nella cittadina in cui è nata per rimediare ad un torto di cui nessuno si ricorda, nemmeno colei che lo ha subito, la bambina che viene portata in un ristorante perché vuole sentirsi adulta per ritrovarsi, alla fine, a voler disperatamente tornare bambina sottraendosi alle violente aspettative degli adulti. Personaggi e situazioni raccontati con una precisione quasi maniacale, eppure così lucida e disperata nello stesso tempo.
Seguono poi alcuni saggi e recensioni in cui attraverso quelli che vengono chiamati “Pensamenti autobiografici” la Jackson ci porta per mano dentro ciò di cui non può fare a meno: scrivere. Il suo universo umano e letterario è quello in cui la scrittura è una cartina geografica in cui lontano e vicino sono concetti che vengono spesso sovvertiti, e privato e pubblico hanno confini labili e, forse per questo, stranianti: “Dacché mi ricordo, per me la scrittura è sempre stata un atto privato. Un libro è una rassicurante pila di fogli di carta gialli coperti di parole scritte a macchina, una nazione conosciuta e ospitale in cui mi sento a casa. […] Il libro rilegato ha una copertina sconosciuta e uno strano e insolito peso, e altre persone – estranei! – lo tengono fra le mani.”
Ciò che è dentro e ciò che è fuori sembrano essere i due cardini su cui si dipana la scrittura della Jackson, anche quando racconta di episodi di vita quotidiana e familiare, che diventano dispositivi di scrittura, per lei inevitabilmente, anche lavare bicchieri, conservare il ricordo di una piccola tazzina che va in frantumi (forse uno dei pezzi più alti di tutto il libro) che diviene la metafora del valore della memoria, che nulla consente vada perso, cosa essenziale per chi vuole scrivere.
Sublimi le pagine dedicate alla scrittura, al racconto del suo metodo di lavoro, alla possibilità che la scrittura ha anche di cambiare il corso degli eventi (questa è la magia della Jacksone forse anche i suoi fantasmi): “Una volta, però, dopo che avevo passato un’intera giornata di pioggia a lottare con lo sportello bloccato del mio vecchio frigorifero, la mia figlia più piccola mi ha chiesto perché non lo aprissi con la magia. Abbandonare il frigorifero e sedermi a scrivere un racconto sullo sportello che si apriva per magia è stato molto più divertente che continuare ad arrabbiarmi e a prenderlo a pugni. […] Il racconto, fra l’altro, mi ha fruttato i soldi per un frigorifero nuovo: sicuramente meglio che cercare di aprire quello vecchio senza magia.”
Paranoia è anche una grandissima dichiarazione d’amore verso la letteratura, la testimonianza altissima di cosa significhi essere e fare lo scrittore, del non poter abbandonare, mai, lo sguardo descrittivo sulle cose, testimonianza di come non ci si possa isolare asetticamente dalla vita pretendendo di scavarsi una gabbia insonorizzata per scrivere. No. Si scrive anche mentre si lavano i piatti o si prepara la cena. Questo viene a dirci Shirley Jackson con questo Paranoia. Un messaggio talmente forte, nella sua semplicità, da fare quasi paura. Come le sue storie. Un libro imperdibile, generoso, umoristico e amaro, delicato e violento insieme.
Fabula
Letteratura
Adelphi
2018
205