Classe 1989, vive a Solofra (Av). Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. Ama la compagnia di un buon libro, viaggiare per imparare, vagabondare per mostre e musei. Sostiene il Teatro di qualità, quello che pone degli interrogativi e contribuisce a formare la coscienza individuale e sociale, riuscendo ad emozionare e stupire allo stesso tempo.

Alla riscoperta della pittura napoletana del XIX secolo

Per lungo tempo la critica artistica ha considerato le scuole napoletane dell’Ottocento marginali, secondarie, folcloristiche. In realtà, attraverso un vigoroso spirito di ricerca, questi gruppi hanno anticipato visioni che avrebbero guidato il rinnovamento dell’arte con effetti che giungono sino ai nostri giorni. Il realismo, la tecnica della pittura en plein air, l’importanza della luce che rende viva e modula le forme, esperienze fondamentali per gli Impressionisti e i Macchiaioli, trovano spazio nell’arte pittorica partenopea di un intero secolo.
S’era in quel tempo formato a Napoli un gruppo di pittori che abitavano a Chiaia, a Mergellina, ancor più verso Posillipo, nei luoghi stessi ove risiedevano i forestieri. Poco o punto essi avevano studiato nell’Accademia, che li guardava dall’alto in basso e li chiamava i vedutisti della Scuola di Posillipo. Dipingevano ad acquerello e ad olio i più bei punti del golfo di Napoli, di Sorrento, di Pozzuoli e i costumi del popolo”, scrive Pasquale Villari. Abbandonato ogni residuo tardo-barocco e caravaggesco, a partire dal 1820, l’arte napoletana è protagonista di una vicenda intensa che, dopo il vedutismo neoclassico di Micco Spadaro e del tardo Salvator Rosa, attingendo alle innovazioni degli artisti inglesi John Constable e William Turner, la cui fama giunge nel capoluogo partenopeo grazie ai numerosi visitatori stranieri impegnati nel Grand Tour, vede nascere con la Scuola di Posillipo l’idea di un paesaggio percepito attraverso la lente del sentimento. Non più una precisa e distaccata trasposizione su tela: l’artista, libero da convenzioni e vincoli di accademia, interpreta il soggetto pittorico attraverso la propria emozione visiva e spirituale e vi trasfonde la propria sensibilità cromatica. Anton Sminck van Pitloo abbraccia un realismo subordinato alla concezione personale, spesso malinconica, che vela e spiritualizza il dipinto ed è portavoce di un lirismo non suggerito da concetti letterari o motivi poetici. Tuttavia l’arte intima, di paesaggio o di genere, viene valutata secondaria ed esistente solo per il puro piacere estetico in confronto all’arte monumentale alla quale è attribuito un valore letterario e morale. I paesisti napoletani realizzano piccoli quadri dipinti a scopo puramente commerciale, essendo destinati alla vendita ai forestieri; lavorano al di fuori di ogni accademismo, all’aria aperta, a contatto con il paesaggio e il sole partenopeo, enfatizzando elementi che precedentemente costituivano un mero contorno, destinato a riflettere il sentimentalismo pastorale o eroico dell’artista. L’ultima tappa dell’evoluzione avvenuta nella stretta cerchia della Scuola di Posillipo si attua nell’opera di Filippo Palizzi: l’arte pur conservando caratteristiche prettamente locali, sbocca in una corrente più vasta, che uscendo dal campo ristretto d’una pittura napoletana di paesaggio, si congiunge alle tendenze artistiche di altre scuole italiane. Come un quattrocentista, Palizzi si abbandona al modello, rivive fino in fondo ogni piega di stoffa, ogni ramo d’albero, ogni vena di foglia, entrando nell’essenza plastica e materiale del soggetto; osserva le ombre, i valori pittorici, gli effetti di luce, la trasparenza dei colori. È un lavoro di analisi minuzioso, di ricerche tecniche che si svolge in infinite piccole pitture che riproducono piante, animali e qualche figura. L’intonazione è quella della luce all’aria aperta, la tecnica è un lavoro accurato a tocchi e macchie osservate nel loro valore coloristico ed in rapporto agli altri toni. È lo stile impressionistico che si ammira nei molti quadri rappresentanti asinelli, capre e contadini. La pittura napoletana di paesaggio con Palizzi matura e si spegne nel concetto impressionistico. Se Palizzi fornisce all’evoluzione dell’arte napoletana il materiale, la tecnica, il colore, in Domenico Morelli si concentrano i valori spirituali che, in contrasto alle rappresentazioni patetiche degli accademici, lo indussero ad un’analisi degli stati d’animo con schietto senso realistico.
Dopo il capitolo romantico della Scuola di Posillipo, nella prima metà del XIX secolo, è la Scuola di Resina detta anche Repubblica di Portici, a rappresentare l’altra grande esperienza artistica della pittura di paesaggio a Napoli. Nel 1863 giunge a Napoli da Firenze Adriano Cecioni e ben presto si rende conto che la Teoria della Macchia, di cui si ritiene portatore, ha radici anche napoletane risalendo a Giacinto Gigante, sensibile interprete della pittura visionaria di Turner. A Napoli come a Firenze si erano svolte ricerche intorno alla rappresentazione del vero che si svincola dal disegno e trova una nuova formulazione nella macchia, tecnica basata sui contrasti cromatici e tonali … alla ricerca del vero si accompagna la scoperta del valore strutturale della luce e del colore. I soggetti prediletti non sono paesaggi ricercati e suggestivi del golfo di Napoli o della costiera amalfitana, ma le campagne assolate, i sentieri rurali, le case coloniche, i fienili e le stalle ripresi a occhio nudo senza sublimare la realtà. Esempi sono le opere Verso Capri di Oscar Ricciardi e Paesaggio nevoso di Attilio Pratella, Casa ad Anacapri di Carlo Brancaccio.
Non si trascurino, inoltre, due importanti fattori: in primis, molti dei pittori della Scuola di Resina approfittano della presenza dello spagnolo Mariano Fortuny, giunto a Portici nel 1874, noto per i tableautins in costume del Settecento, per aggiornare la propria pittura al gusto internazionale; tra questi Eduardo Dalbono che, assimilando le nuove possibilità espressive offerte dalla tavolozza di Fortuny, matura rapidamente uno stile di facile presa sul pubblico. In secundis, negli anni dell’Impressionismo, dunque nella seconda metà dell’Ottocento, la colonia di pittori napoletani a Parigi (tra cui spiccano Giuseppe De Nittis, Giuseppe Carelli, Antonio Mancini, Vincenzo Migliaro, Salvatore Postiglione, Francesco Paolo Michetti, Rubens Santoro, lo scultore Vincenzo Gemito) è la più numerosa e ricca di riscontri tra quelle provenienti dall’Italia. Napoli è la terza città d’Europa per numero di abitanti, la prima d’Italia, votata alla ricchezza e alla modernità della sua borghesia e che solo negli anni successivi all’unità nazionale è costretta a ridimensionare le sue ambizioni. Una città che attira dalla provincia e dalle regioni limitrofe i migliori talenti che poi invia a conquistare la propria definitiva maturità a Parigi, allora indiscussa capitale mondiale dell’arte. È il mercante Adolphe Goupil che ingaggia gli artisti italiani, facendosi promotore di una pittura di facile fruizione e scarse preoccupazioni formali. Nei napoletani apprezza il cromatismo acceso e crepitante unito al gusto per un realismo minuzioso, distante dall’essenziale realismo di Courbet.
Nella pagina della pittura napoletana della seconda metà dell’Ottocento trova posto anche la Scuola dei Costaioli, detti anche Pittori di Maiori, che si forma intorno a Raffaele D’Amato e Gaetano Capone, personalità diverse tra loro, la cui attività creativa si intreccia con storie di viaggi e di emigrazione: dal celebre soggiorno parigino di Pietro Scoppetta, a quelli più lunghi e sofferti di Antonio Ferrigno in Brasile, di Luigi Paolillo e Luca Albino in Argentina. La pittura si rivolge ancora al paesaggio raffigurato en plein air, invaso da un fluido luminoso, intensamente solare e allo studio della figura posta nella scena quotidiana, descritta con la spigliatezza di un narratore. Scrive il prof. Massimo Bignardi: Il paesaggio diviene così uno spazio carico di tensioni e di inquietudini, di passionalità, ricercate nel movimento dei colori, nelle macchie, nelle vibrazioni cromatiche: è quello che Stendhal chiama la disperazione della solitudine.

In copertina: Casa ad Anacapri di Carlo Brancaccio

Bibliografia
La Scuola di Posillipo di Federico Pfister
La pittura napoletana dell’Ottocento tra innovazione e internazionalità, Enzo Savoia e Stefano Bosi, Bottegantica 2010.
La Scuola di Resina e i Macchiaioli, a cura di Marco di Mauro 2016
La pittura a Napoli tra Romanticismo e Verismo. Omaggio ad Alfonso Grassi (1918-2002), a cura di Alfonso Grassi, Galleria D’Arte “A. Grassi” 2018.

Alla riscoperta della pittura napoletana del XIX secolo Book Cover Alla riscoperta della pittura napoletana del XIX secolo
L'arte di raccontare l'arte
Alessandra Durighiello
2018