Ecco la consueta domenicale condivisione di un pezzo dei cugini de L’Arenone. Oggi…si parla di musica e classifiche.
In 50 anni dai Led Zeppelin a Sfera Ebbasta, il fallimento di Darwin. Aridatece il Supertelegattone
Diciamolo pure francamente: Darwin non c’aveva capito un cazzo. Proprio lui che sosteneva l’importanza della musica nell’evoluzione della specie. Perché? Date uno sguardo alle perle che questo anno di (poca) grazia ci ha lasciato. Ai primi posti della classifica dei dischi più venduti troviamo perle che sicuramente i posteri studieranno sui libri di scuola. Per capire come sia stato possibile arrivare a questo dopo avere ascoltato Beatles, Rolling Stones, Deep Purple, Aerosmith, ma anche Mina, Lucio Battisti, Fabrizio De Andrè e chi più ne ha, più ne metta.
Addio 2018, non è stato un piacere. Ai primi posti si sono avvicendati tale Riki, Nitro, Irama, Emis Killa, Gué Pequeno, i Maneskin, Sfera Ebbasta. La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: ma sti nomi ndo li trovano? Comunque il Cavallo di Troia segue volentieri il suggerimento dell’ultimo citato: Ebbasta così, pure senza sfera.
La seconda domanda, legittima, è: come è successo? No, perché basta guardare chi girava qualche tempo fa. Il 2019 è alle porte, 30 anni fa cosa si comprava? Anno già un po’ più di grazia 1989: in hit parade spadroneggiavano Zucchero con “Oro, incenso e birra” e Vasco Rossi con “Liberi liberi” (l’assolo fenomenale già da solo vale il costo dell’album). Il confronto sarebbe già impietoso così, ma nella top ten c’erano pure i Dire Straits (“Money for nothing”), Tina Turner (il disco era quello con dentro “The best”), i Simply Red di “It’s only love” e la Madonna di “Like a prayer”. Tutta un’altra musica, insomma.
E andando ancora 10 anni indietro, fino al 1979? Erano i primi anni di “Superclassifica show”, con il Supertelegattone che ballava sui tetti e il mitico Maurizio Seymandi che lanciava i dischi in tv. I quattro dischi più venduti erano tutti made in Italy: Lucio Dalla da solo con l’omonimo album e in coppia con Francesco De Gregori nel grande “Banana republic”, al terzo posto i Pooh di “Viva” e al quarto il buon Antonello Venditti e il suo “Buona domenica”. Gli stranieri, muti. No vabbè, erano solo un po’ dietro. Solo i nomi però fanno impallidire e hanno scritto la storia: gli infiniti Led Zeppelin (giù il cappello, please), i Bee Gees, i Supertramp, i Rockets, Rod Stewart, Donna Summer, gli Earth Wind & Fire, gli immensi Eagles.
Se poi proprio vogliamo farci del male facciamo un altro balzo di 10 anni, al 1969. Ecco, qui si vede quanto mezzo secolo possa essere deleterio. I Beatles erano in classifica sia con il “White album”, sia con “Yellow submarine”, i rivali Rolling Stones con “Beggars banquet” (quello di “Sympathy for the devil”, tanto per capirci) e la raccolta “Through the past darkly” (dentro c’era robetta tipo “Jumpin’ Jack Flash” e “Ruby Tuesday”, mica cotica) e la colonna sonora del film “Il laureato” con musiche di Simon & Garfunkel (robetta come “The sound of silence” o “Mrs. Robinson”, checcefrega). Mentre in casa nostra scrivevano la storia Lucio Battisti (“Non è Francesca” o “29 Settembre”) e Fabrizio De Andrè (musichette sul genere de “La guerra di Piero” e “Il testamento”).
In fondo al tunnel però si vede una lucina. Nella classifica di questa settimana al 36° posto ci sono i Queen con “Bohemian Rhapsody” (anno di pubblicazione 1975), al 49° i Nirvana con “Nevermind” (1991), al 52° i Pink Floyd di “The dark side of the moon” (1973) e pure al 65° con “The wall” (1979), al 68° il rock d’esordio dei Guns N’ Roses con “Appetite for destruction” (1987). Come cantava il Blasco, forse alla fine non è stato poi tutto sbagliato. Comunque de sti tempi a caval donato non si guarda in bocca. Pure se è di Troia. E aridatece il Supertelegattone.
Di Il cavallo di Troia
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