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Racconti di Sabbia: La bolla di sapone
Racconti di sabbia è una rubrica di racconti brevi di Angelo Deiana per L’Arenone. Pillole da mandar giù in pochi minuti, una tantum, per spezzare il tran tran della quotidianità.
Racconti di Sabbia #3: La bolla di sapone (tempo di lettura: 5 minuti). Estratto dal libro “Albe, giorni e altri bagliori” (Infinito edizioni) di Angelo Deiana e Antonello Giovanni Budano
Dove sono nato, mi chiedi. Eppure dovresti saperlo bene.
Ufficialmente sono nato in ospedale, a Montefiascone, quel paese arroccato che da un lato domina il lago e dall’altro soffia il vento sopra Viterbo, ma a pensarci oggi non mi sorprenderebbe venire a sapere che, in realtà, la mia prima culla sia stata il vecchio letto di casa. […] Era febbraio e faceva molto freddo, questo mia madre me lo diceva spesso, quando allo scoccare di ogni compleanno si metteva in scena il solito giro di ricordi sul momento preciso in cui il piccolo Antonello Giovanni emise il primo pianto. Il momento in cui si nasce resta dentro di noi come un ricordo sepolto nell’inconscio, e i tanti occhi che erano intorno a noi in quel momento diventeranno poi la voce di quell’istante. Nascere e morire sono ricordi di altri.
La mia prima casa, in via del Bottalone – nel centro storico di Viterbo – non aveva lo sciacquone. Tenevamo sempre un secchio pieno d’acqua accanto alla tazza, si faceva così. Stava sul terrazzo, la tazza. Capirete dunque anche l’imbarazzo. Quel secchio pieno d’acqua è il mio primo ricordo legato alla percezione del peso: non riuscivo a sollevarlo e dovevo sempre chiamare qualcuno per farmi aiutare. Così nacque la mia sfida nei suoi confronti, mi dissi che finché non ce l’avessi fatta da solo non sarei mai diventato uomo. Ma sfortunatamente cambiammo casa ancor prima che io riuscissi a vincere la mia battaglia contro di lui, salvo poi capire che uomo ci sarei divenuto comunque e che i pesi da sopportare sarebbero stati altri, molto più immateriali del secchio, molto meno liquidi dell’acqua ma sempre difficili da mandare via senza uno sciacquone.
La mia infanzia è un’infanzia d’altri tempi, con tutto il mondo intorno a me (compresi i miei coetanei) che sembrava andare ad un altro passo. […] Puzzavo di fumo. Da via del Bottalone, infatti, ci eravamo trasferiti in una vecchia casa di campagna, alla Fornacchia, un paradiso incantato che si estende nelle campagne di Soriano nel Cimino, un paese nella provincia di Viterbo. Lì, libero di crescere selvaggio nella natura, imparai la vita. Il camino, però, era sempre acceso, non avevamo i termosifoni, così ci scaldavamo con la legna, quella non mancava mai. I miei vestiti, i miei capelli e anche la mia anima presto si impregnarono di fumo. […] Le scuole elementari che frequentavo, conosciute da tutti come “le scuole rosse”, diventarono però più distanti. Già, perché nonostante il trasferimento da Viterbo a Soriano, i miei genitori preferirono lasciarmi finire la scuola lì, senza cercarne una più vicina.
Così, in terza elementare, scoprii un’altra cosa meravigliosa: il treno. Tutte le mattine mi svegliavo presto, facevo quasi un chilometro a piedi nelle campagne per raggiungere la stazione, poi lì prendevo il treno e andavo a scuola a Viterbo. Anche questo, evidentemente, era un aspetto che non avevo in comune con gli altri bambini. […] Goldrake era stampato sulla mia cartella similcuoio, almeno da questo punto di vista non avevo nulla in meno rispetto agli altri. Quella cartella è ancora conservata nella mia casa di oggi e quando la guardo sorrido sempre. Allora era pesante addosso alla mia schiena, e l’estate arrivavo a scuola già sudato per la lunga camminata fino alla stazione. Oggi potrebbe sembrare leggerissima, vuota di libri, piena di ricordi. Sono certo che nessuno potrà mai scalfirli, in fondo c’è Goldrake ancora pronto a difenderli.
[…] A mia disposizione c’era un’intera valle, pareti di roccia da scalare e un bosco sconfinato da scoprire ogni volta a piccoli passi. A molte persone davo l’idea di essere un bambino solo: non sapevano, però, che con me c’erano centinaia di animali, mostri e alleati immaginari e canti di pastori a tenermi compagnia. L’immaginazione, in fondo, va allenata. Ed è quasi sempre la migliore via di fuga. Di quei luoghi sono piene le mie canzoni, oggi. Sono pieni i miei ricordi, i miei racconti. Gli occhi che ho incastrati nel viso non sono genetica, sono celesti come il cielo della Fornacchia, la mia voce che parla e che canta è la voce del vento che smuoveva quegli alberi. Io sono i luoghi in cui sono cresciuto.
Il fiato che ho in gola, chissà da dove proviene… Ricordi, mamma, la volta in cui soffiai la prima volta e mi vennero gli occhi rossi? È stato quando mi hai regalato il primo barattolo di bolle di sapone. Ne facevo a centinaia, soffiavo dentro quel cerchietto e mi divertivo ad inseguirle, guardando come sfumavano i colori, rincorrendo arcobaleni di sogni che spiccavano il volo. E ogni volta che ne scoppiava uno, di sogno o di cerchio, potevo farne un altro.
Fino a quando il barattolo si è esaurito insieme ai sogni.
Mi chiedi dove sono nato, dunque.
Sono nato a Montefiascone, in ospedale. E ora ne sono certo.
Ma sai benissimo che nella vita sono dovuto nascere più e più volte.
L’ultima, quando ti ho vista morire.
Infinito Edizioni
2018
110