Classe 1989, vive a Solofra (Av). Ha studiato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Salerno. Ama la compagnia di un buon libro, viaggiare per imparare, vagabondare per mostre e musei. Sostiene il Teatro di qualità, quello che pone degli interrogativi e contribuisce a formare la coscienza individuale e sociale, riuscendo ad emozionare e stupire allo stesso tempo.

Una pagina di Teatro civile. Il caso Braibanti

Nel 1996 la serie RAI I GRANDI PROCESSI si propone di raccontare otto processi penali che più di altri nel tempo hanno appassionato e diviso l’opinione pubblica italiana. Tra questi BRAIBANTI: UN CASO SENZA PRECEDENTI diretto da Franco Bernini.
Dopo la parentesi milanese al Teatro Franco Parenti, dal 30 novembre al 2 dicembre al Teatro Torlonia di Roma è in cartellone lo spettacolo Il caso Braibanti, realizzato dal regista Giuseppe Marini sul testo creato da Massimiliano Palmese, con Fabio Bussotti e Mauro Conte.
Al di là della costruzione scenica, il caso viene ricostruito attraverso le lettere private dei protagonisti, i colloqui dell’imputato con la madre, i documenti giudiziari, le cartelle cliniche e un’approfondita analisi del volume Il processo Braibanti di Gabriele Ferluga che scrisse: “Il caso Braibanti fu uno dei terreni di scontro fra le forze allora in campo, la contestazione ai valori dominanti e la reazione a chi allora si sentì messo in discussione. Era la reazione istintiva e violenta di un’Italia benpensante contro ogni anticonformismo e in particolare contro il fantasma dell’omosessualità”. Nulla è stato inventato, rendendo perfettamente la delicatezza di questa vicenda data in pasto a giornali, medici, giudici e avvocati e ricostruendo la mentalità di un Paese che considerava e forse considera ancora gli omosessuali dei deviati, dei malati.

Se si considera che nel circuito italiano al Teatro si preferisce l’intrattenimento, rappresenta un’operazione coraggiosa quella di far girare nei teatri, dal 2011, uno spettacolo di impegno civile come Il caso Braibanti che, attraverso la figura di un intellettuale libero, ci parla di politica e di omosessualità, descrivendo in maniera impietosa la società italiana.
Aldo Braibanti nasce a Firenzuola d’Arda nel 1922. Studia filosofia a Firenze e nel 1940 entra in clandestinità per partecipare ai movimenti partigiani prima con Giustizia e Libertà poi con il Partito comunista. Per due volte viene arrestato: la prima volta insieme ad Ugo La Malfa; la seconda volta viene torturato dalla Banda Carità, il Reparto dei Servizi Speciali di Firenze, che ostacola aspramente l’organizzazione partigiana in Toscana e nel Veneto. Poeta, scrittore, autore teatrale, cineasta, un “genio straordinario” lo ha definito Carmelo Bene, raccontando come Aldo gli avesse insegnato a leggere in versi. Nel 1947 Braibanti fonda a Castell’Arquato una comunità di artisti e intellettuali insieme a Silvano Bussotti e Marco Bellocchio con il quale nel 1962 fonda anche i Quaderni Picentini prima di trasferirsi a Roma insieme al suo compagno, Giovanni Sanfratello, membro di una famiglia “culturalmente di destra” con forti agganci nella politica e nel clero.

È Ippolito Sanfrantello, padre di Giovanni, che denuncia Braibanti per “plagio”: secondo l’accusa il giovane Piercarlo Toscani con cui Braibanti ha trascorso l’estate del 1960 a Como e il giovane Giovanni Sanfratello, sono stati soggiogati dall’intellettuale, un pervertitore di spiriti, la reincarnazione del demonio, che li ha ridotti in una sorta di schiavitù mentale. Giovanni viene trasferito al manicomio di Verona dove è sottoposto all’elettroshock; dopo quindici mesi di internamento viene dimesso e costretto al domicilio obbligatorio in casa dei genitori e gli viene proibito di leggere libri che non abbiano almeno cent’anni. Braibanti si difende, facendo notare che i ragazzi, da adulti, hanno deciso di seguirlo autonomamente: durante il processo, Sanfratello conferma la tesi mentre Toscani depone contro di lui. A nulla vale la difesa pubblica di Braibanti da parte di Umberto Eco, Dacia Maraini, Moravia, Guido Calogero, Pier Paolo Pasolini, Marco Pannella.

Nel 1968, l’anno entrato nella storia per la sua dirompente carica di libertà e le sue sfrontate utopie, quando l’intero pianeta è attraversato da una rivoluzione che travolge la morale, il costume e il sesso, mentre si predica la rivolta anti-autoritaria, l’amore libero, si sdogana la droga e la nudità, in Italia, Aldo Braibanti viene condannato a nove anni di reclusione poi ridotti in appello a sette ed infine a quattro anni. Due anni vengono condonati in quanto ex partigiano. Sconta “solo” due anni nel carcere Regina Coeli di Roma. Viene scarcerato il giorno in cui la Camera dei deputati approva la legge sul divorzio, voltando pagina sul tema della morale sessuale e familiare.
Braibanti resta l’unico condannato della storia dell’Italia repubblicana per il reato di plagio, abolito dalla Corte Costituzionale nel 1981. Nel 2006 lo Stato italiano gli riconosce, attraverso la Legge Bacchelli, un vitalizio, a causa delle sue precarie condizioni economiche, che non può e non deve essere considerato un risarcimento.
Tempo, n.33, anno XXX, 13 agosto 1968, Pier Paolo Pasolini scrive: “Braibanti è un caso di intellettuale che ha rifiutato precocemente l’autorità che gli sarebbe provenuta dall’essere uno scrittore dell’egemonia culturale comunista, o di sinistra; e ha poi rifiutato, naturalmente, l’autorità di uno scrittore creato dall’industria culturale … La sua presenza nella letteratura è sempre stata intelligente, discreta, priva di vanità, incapace di invadenze … Se c’è un uomo mite nel senso più puro del termine, questo è Braibanti: egli non si è appoggiato infatti mai a niente e a nessuno; non ha chiesto o preteso mai nulla. Qual è dunque il delitto che egli ha commesso per essere condannato attraverso l’accusa, pretestuale, di plagio? Il suo delitto è stata la sua debolezza. Ma questa debolezza egli se l’è scelta e voluta, rifiutando qualsiasi forma di autorità … o quella comunista o quella borghese o quella cattolica, o quella, semplicemente, letteraria … Invece egli si è rifiutato d’identificarsi con qualsiasi di queste figure – infine buffonesche – di intellettuale. Da questa solitudine gli è derivata la sua debolezza, e dalla sua debolezza la sua autorità: autorità dunque più pericolosa di tutte. Ora, degli italiani piccolo-borghesi si sentono tranquilli davanti a ogni forma di scandalo, se questo scandalo ha dietro una qualsiasi forma di opinione pubblica o di potere … Di fronte invece allo scandalo di un uomo debole e solo, essi provano, dello scandalo, tutto il terrore. Si scatenano in essi liberamente vecchie, ancestrali aggressività, ignote certamente a loro stessi e quindi condannano: a cuor leggero, perché lo scandalo è scandalo. Così come erano scandalo vivente, per le SS, ebrei, polacchi, comunisti, pederasti e zingari. In Italia esistono tuttora, insomma, quelle che Himmler ha definito una volta per tutte, vite indegne di essere vissute”.

Una pagina di teatro civile. Il caso Braibanti Book Cover Una pagina di teatro civile. Il caso Braibanti
A teatro
Alessandra Durighiello
Teatro
2018