Vorreste tradurre per una casa editrice? Scoprendo davvero tutto il lavoro che c’è dietro la realizzazione di un libro? Allora leggete quanto segue.
Accade che, un giorno, L’Ottavo pubblichi la recensione del bellissimo libro Fiume di terra, edizione Mattioli. (per leggere la recensione cliccate qui) Accade che chi ha scritto quella recensione citi il meraviglioso lavoro di traduzione e di curatela di quel libro, facendo ciò che dovrebbe essere fatto sempre: sottolineare l’importanza del lavoro di chi traduce. Dopo qualche giorno, chi ha scritto quella recensione, cioè io Geraldine Meyer, riceva una mail in cui Livio Crescenzi, il bravissimo traduttore in questione, ringrazia per la citazione. Comincia così un simpatico scambio epistolare con mail che si susseguono l’una con l’altra. In una di queste Livio, che collabora in maniera continuativa con Mattioli, occupandosi di traduzioni di letteratura americana, mi dice di avere un’ideuzza per coinvolgere in maniera fattiva i lettori de L’Ottavo alla traduzione di testi di letteratura americana. Così ho chiesto a Livio di essere lui a spiegare, in prima persona, cos’è questa ideuzza e quanto possa essere una meravigliosa occasione per chi voglia cimentarsi seriamente con la traduzione per una casa editrice. Ed ecco cosa ci ha detto Livio Crescenzi
“Un bel giorno ricevo una letteraccia urticante e scorticante di una lettrice: fanatica delle spoglie di Dickens, dei balli vittoriani, pellegrina annuale delle sue residenze e collezionatrice di scampoli di memorie e reliquie dickensiane, letteralmente mi maledice perché in un volume ho commesso un errore meritevole d’impiccagione e decapitazione. Non un errore di traduzione o di comprensione del testo, ma una dimenticanza quanto alla nota introduttiva. La mia regola è rispondere sempre a tutti i lettori, tanto più quando criticano: d’altra parte sono i nostri datori di lavoro, no?
Bene. Rispondo con molto garbo, e già la cosa un po’ disorienta l’implacabile accusatrice. Che non voglio certo perdere come acquirente dei nostri libri. E come recita l’adagio? “Dicette ’o pappecio vicino ’a noce: damme ’o tiempo ca te spertoso”. Ovvero: disse il verme alla noce: dammi tempo che ti buco.
E così una moina qua, una lusinga là, chiacchiera chiacchiera, le propongo di tradurre insieme un volumetto, per farle vedere quanto lavoro c’è dietro. Così è iniziato. Consegnato il testo definitivo all’editore, rilevo però che ha commesso un errore (tra l’altro lo stesso identico che mi aveva imputato: l’assenza di un’informazione). E io, ovviamente, zitto. Il volumetto esce e io le faccio: “Vede? Chi di spada ferisce, di spada perisce…” Che farci? Si vive di piccole soddisfazioni…
Così è nata la faccenda. Quindi ho ripetuto l’esperienza di traduzione con alcuni studenti di un liceo di Terni…
Perché, dunque, non tentare un’esperienza simile con qualche lettore della vostra rivista che fosse interessato a fare questo gioco? Scegliere un testo di letteratura anglo-americana, tradurlo, e arrivare alla pubblicazione per la Mattioli 1885, curandone insieme tutte le fasi (bozze, impaginato, ecc.). C’è qualche vostro lettore di buona volontà, incuriosito dal lavoro che c’è dietro la pubblicazione di un libro? Io sono qui…
Livio Crescenzi
PS. Data la mia esperienza, più importante di una conoscenza approfondita della lingua inglese, è indispensabile un’ottima conoscenza dell’italiano.”
Allora, se la cosa vi interessa, se pensate che questa sia (come in effetti è) un’occasione da non lasciarsi scappare, scrivete a info@lottavo e mandate la vostra candidatura. Noi la gireremo direttamente a Livio Crescenzi.